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Il memoriale di Humbert

di Siro Ferrone
  Elif Mangold (Lolita)
Data di pubblicazione su web 17/01/2001  
Vladimir Nabokov completò la sceneggiatura cinematografica del suo romanzo Lolita nel giugno del 1960, quattrocento pagine che il regista Stanley Kubrick giudicò sovrabbondanti. A settembre Nabokov consegnò un copione più breve e modificato. Il 13 giugno 1962 lo scrittore, assistendo alla "prima" del film a New York, si accorse che del suo lavoro era rimasta ben poca cosa. Più di dieci anni dopo (1973) riprese in mano quel copione, lo rilesse e lo corresse, reinserendo alcune scene che aveva eliminato durante l'estate del 1960.

Quasi vent'anni dopo, superando complicate questioni di diritti d'autore, il nostro più grande regista, Luca Ronconi, ha deciso di mettere in scena proprio quel lavoro, nonostante che del romanzo esista una versione teatrale (secondo molti pessima) firmata da Edward Albee. E il risultato è eccellente. Uno degli spettacoli più intelligenti degli ultimi anni.

Humbert Humbert, il protagonista della storia, è un uomo che fugge. Fugge dalla morte della prima fidanzata, fugge dalla prima moglie e dall'Europa. Poi dalla seconda moglie e dalla provincia americana. E fugge soprattutto da sé, mascherando i ricordi. Maschera con un lutto (quella morte precoce della prima fidanzata) e un presunto grande amore il suo delirio erotico per le ninfette; si nasconde all'evidenza dei fatti che la stessa Lolita progressivamente gli svela: la violenza sessuale e psichica su di lei; è ossessionato dalla paura che lei racconti alle amiche e al mondo i suoi abusi; non accetta neanche che la bambina diventi donna come non aveva accettato la relazione con le due donne adulte che aveva sposato: la disperazione è grande al momento della scoperta che Lolita diventerà madre ma ancora più grande quando si accorge che il degenerato scrittore Quilty gli è preferito. Costui è il doppio di Humbert, incarna la libidine alla stato brutale, denudata dei mascheramenti "europei" e culturali di Humbert (che abbellisce le sue ossessioni con riferimenti colti agli amori di Edgar Allan Poe). L'estremo rimascheramento di Humbert è il delitto, l'uccisione di Quilty (= Guilty, la colpa).

Più o meno da questa interpretazione (mi sono forse permesso di ricostruirla con qualche libertà) è partito Luca Ronconi nel suo lavoro drammaturgico. Un lavoro di grande intelligenza critica accuratamente trascritta in scena. La sceneggiatura e quindi il copione teatrale che il regista ne desume si prestano bene a enucleare la sostanza prima dell'opera di Nabokov.

Non si tratta del racconto di un caso patologico condotto da uno scrittore analista (al contrario, qui il personaggio dello psicanalista viene largamente sbeffeggiato). Lolita è piuttosto un memoriale, il resoconto del flusso di coscienza di un uomo malato e disperato. Ronconi non si è lasciato ingannare dalla sceneggiatura di Nabokov, né tanto meno dai suoi "obblighi" teatrali, e ha proceduto alla sua maniera, come ha sempre fatto in tutta la sua lunga carriera, non considerando il testo una sequenza di battute appartenenti a personaggi diversi, ma come un unico flusso di parole appartenente ad un solo personaggio, l'autore, il quale si maschera (e si smaschera) di volta in volta servendosi dei personaggi-attori.

Poetica del resto pienamente condivisa e anzi estremizzata da Nabokov che nella prefazione all'edizione della sceneggiatura di Lolita così si esprimeva: "se mi fossi dato al palcoscenico o allo schermo [...] avrei propugnato e messo in opera un regime di totale tirannia, dirigendo io stesso il film o la commedia, scegliendo scenografia e costumi, terrorizzando gli attori, confondendomi tra loro in ruoli secondari di ospite o di spettro, suggerendo loro la parte: in una parola, permeando l'intero spettacolo del volere e dell'arte di un individuo unico - poiché non c'è niente al mondo che mi sia più odioso dell'attività di gruppo, quel bagno collettivo dove villosi e viscidi fraternizzano, in un moltiplicarsi di mediocrità" (V. Nabokov, Lolita (sceneggiatura), Milano, Bompiani, 2001, pp. 22-23).

Nel caso di Lolita c'è da aggiungere - sottintende Ronconi - il mascheramento del proprio io operato da Nabokov per mezzo di Humbert Humbert (anche questo è un nome doppio): grazie a questa "delega" lo scrittore allontana da sé la storia esemplare bilanciando la pietà con la "verità" e la "cattiveria" (che producono effetti di grottesco ridicolo). Un procedimento già mille altre volte adottato dalla narrativa del Novecento, e non solamente, ma che solo la scena può potenziare al massimo grado.

I personaggi e gli attori cessano di essere "credibili" e "necessari" come vuole la lezione del migliore naturalismo per diventare ombre di un sogno disturbato, proiezioni di una memoria imprecisa, prodotti di una catena di lapsus, menzogne volontarie e involontarie (straordinarie caricature sono realizzate da Massimo Popolizio e dall'eccellente Laura Marinoni).


Laura Marinoni (Charlotte Haze) e Franco Branciaroli (Humbert Humbert)
Laura Marinoni (Charlotte Haze)
e Franco Branciaroli (Humbert Humbert)

Se tutta la vita è un sogno e ogni sogno è un mascheramento della vita, il teatro è la perfetta trascrizione della vita. Ecco allora che, in perfetta coerenza, il protagonista dello spettacolo è sì un malato, ma prima di tutto un attore, che vuole credere di essere sincero, appassionato, puro, ed è solo un povero guitto. E dunque fa pena ed è ridicolo al tempo stesso. Egli non inganna, fraintende; non dirige, ma si lascia dirigere; non osserva ma immagina; non ricorda, ma inventa.

Franco Branciaroli può così sfoderare con una misura eccezionale tutte le gamme del repertorio del grande attore "all'italiana" (mattatore, raisonneur, fine dicitore, primo amoroso, mélo, brillante, padre nobile), facendo risuonare gli accenti ora di Carmelo Bene, ora di Gassman, ora di Albertazzi, fino ad accennare anche a una citazione dello Strehler didattico e "padre nobile".

Il riassorbimento nel punto di vista di Humbert, come in un canocchiale rovesciato, di tutti i personaggi, delle azioni - naturalmente senza unità di tempo e di luogo come si conviene a una sceneggiatura - e delle didascalie - recitate queste ultime come fossero battute narrative in terza persona, con una tecnica già adoperata nella bellissima drammaturgia di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (vd. "Drammaturgia", Quaderno 1996, pp. 42-46) - tutto questo determina il registro stilistico dello spettacolo.

Il montaggio delle sequenze - realizzato dallo scorrimento orizzontale di suggestivi tapis roulants e accattivanti scenografie, e da quello verticale di schermi su cui si accampano diapositive e animazioni elettroniche - scompone lo spazio-tempo del palcoscenico secondo i ritmi di una memoria affannosa e imperfetta; questa diventa ossessione onirica ingombra di attrezzeria e colori neobarocchi e floreali nel secondo tempo, durante l'enfasi della felicità amorosa, per poi progressivamente spegnersi, con l'approssimarsi del presente narrativo, in un bianco e nero senza diapositive e con pochi movimenti di macchine.



Bozzetto di Lolita (Margherita Palli)
Bozzetto di Lolita (Margherita Palli)

Esemplare di questo linguaggio metaforico lo sdoppiamento di Lolita. Ronconi ha assegnato la parte a due attrici: una (Elif Mangold) è quasi una silhouette, recita in inglese per i due terzi dello spettacolo, senza particolare autonomia, è uno strumento passivo nelle mani del regista-narratore, rappresenta la bambina come è percepita, desiderata e mitizzata da Humbert; la seconda (Galatea Ranzi) per due atti fa da controcanto all'altra, recita la traduzione italiana delle sue battute con un suono straniato, e rappresenta lo smascheramento fonico e visivo dell'immagine idealizzata di Lolita. Nella parte finale sopravvive solo la seconda donna, e qui la recitazione della Ranzi è di un'efficacia disarmante. Disadorna, orridamente realistica, la sua persona oppone una naturale imbattibile resistenza a qualunque velleità di Humbert, smaschera insomma tutte le illusioni mitopoietiche dell'uomo, lo lascia solo nel suo falso e autoreferenziale melodramma.


Galatea Ranzi
Galatea Ranzi
 

Il dialogo finale tra Branciaroli e la Ranzi è un capolavoro teatrale. Lui è un cumulo di nefandezze e tenerezze mattatoriali, vile come qualunque amante latino e come qualunque intellettuale ipocrita, non ha più vie di scampo, le sue "arie" da tenore spompato si infrangono contro il freddo muro di una Lolita uscita dai sogni e diventata, ora moglie e madre, mediocremente reale e naturale. E così sul finire dell'azione teatrale si compie la tragedia che l'incapacità di vivere dell'uomo aveva rimandato per tante scene come in un melodramma grottesco.


Lolita
cast cast & credits
 



Franco Branciaroli e Luca Ronconi
Franco Branciaroli
e Luca Ronconi



 
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