"Succede, in un match di tennis, che la palla sfiori la sommità della rete e, per un quarto di secondo, possa andare da una parte o dallaltra. Con un po di fortuna, raggiunge il bersaglio e vinci. Ma può anche ricadere dalla tua parte, e allora perdi". Inizia con questa battuta il nuovo bellissimo film di Woody Allen, lormai settantenne maestro che non ha mancato di presentare Match point allultimo festival di Cannes, riscuotendo, come al solito in terra europea, apprezzamenti e consensi.
Potremmo dire che il nuovo film inizia laddove il precedente Melinda & Melinda era terminato, e tutto sommato ne costituisce uno sviluppo e un superamento. Innanzitutto Match point non è ambientato a New York, ed è privo dunque di quella tanto familiare mitologia legata alluniverso culturale del regista americano: non cè la Manhattan in bianco e nero dellalta borghesia intellettuale liberal e progressista, non ci sono le sue nevrosi, le sue tragi-comiche battute al vetriolo, i suoi lussi e le sue miserie. E soprattutto non cè il jazz, la colonna sonora riconosciuta e riconoscibile di unintera carriera artistica.
In Match point la città che emerge prepotentemente come spazio dellazione è la Londra odierna (tornata, più che mai dopo l11 settembre, ad essere la capitale culturale del mondo occidentale), e più precisamente quella dellalta società, quella della finanza nella City e delle tenute di campagna nello Yorkshire, delle battute di caccia e del mecenatismo nellarte, dei tennis club e delle Aston Martin, delle letture colte e dei palchi allopera (è per questo che il jazz viene sostituito dalle arie di Donizetti, Verdi ecc.). Ma non solo. E anche la Londra dellambizione, dellimbroglio, delle menzogne, dellarrivismo sfrenato, delle colpe impunite.
In Melinda & Melinda, attraverso un preciso disegno metalinguistico, le componenti della tragedia e della commedia si mescolano in un pastiche ben definito, in cui la loro coesistenza viene presentata alla fine come necessaria, in Match point si assiste, in un generale cambio di tono, solo ad unapparente polarizzazione di questa dicotomia sul personaggio principale. Nello specifico si tratta di un giovane e sfacciato arrampicatore sociale irlandese interpretato da Jonathan Rhys-Meyers, che riesce a farsi strada nellalta società sposando lingenua figlia di un ricchissimo uomo dellalta finanza, salvo poi innamorarsi alla follia e mettere incinta la ex fidanzata del cognato (una viziata attricetta americana interpretata dalla splendida, sensuale e bellissima Scarlett Johansson), con conseguenti complicazioni difficili da gestire nel suo nuovo ruolo di rampollo e manager di successo.
Come il Martin Landau di Crimini e misfatti, questo bieco personaggio, tra la passione amorosa e la perdita del suo status sociale, sceglie lomicidio, leliminazione fisica della ragazza, il solo elemento di pericoloso disturbo nella sua nuova vita; riesce perciò ad architettare e a realizzare con freddezza inusuale una sorta di delitto perfetto (risuonano nel climax della lunga scena dellassassinio, le arie dellOtello di Verdi, raro caso di uso didascalico, ma efficace della musica nel film), grazie alla fortuna, al caso.
La frase posta come esergo esplicativo al film ritorna alla fine a sottolineare quella visione nichilista e spregiudicata della vita che Woody Allen ha posto di fronte ai suoi spettatori in ormai quasi quarantanni di carriera e cioè quella tendenza (di evidente derivazione culturale ebraica) a concepire lesistenza come una tragedia priva di senso: la mancanza di un centro spirituale nelluomo, la paura di vivere, luniverso vuoto, lannichilimento eterno, la vecchiaia, le malattie terminali e lassenza di Dio sono stati sempre temi e paure che il regista americano ha fatto filtrare da molte sue opere, anche quelle più apparentemente "leggere". In Match point la fortuna sostituisce quello che in Melinda & Melinda era la componente comica della vita, e cioè un sollievo, seppur fragile e temporaneo, alla tragicità intrinseca dell'esistenza.
Naturalmente, e non poteva essere diversamente, ciò ha però delle forti implicazioni morali. Alla fine del film, la fortuna che aiuta il protagonista riguarda la sua impunità. E la colpa che non viene punita, è il delitto senza castigo, parafrasando il romanzo di Dostojevskij che egli legge allinizio del film, ed è il contrario di ciò che succede nel libro dello scrittore russo. In Match point il senso di colpa viene esorcizzato da una lucidità meschina, da un senso di conservazione sociale che ricorda lhomo homini lupus di Hobbes. Non cè una discesa agli inferi psicologica, non cè una colpa morale interna da espellere tragicamente. Essa permane solo in superficie, in quello sguardo nel vuoto che chiude il film, nella terribile accettazione di una normalità presente che appare già postuma.
Il caso, la fortuna, in questo senso, diventano non solo causa di ogni sviluppo drammatico del film e del suo personaggio, ma anche un mezzo nelle mani del regista per operare una lucida e sottile critica sociale. Il giovane omicida viene incorporato nel macrocosmo che lo ha accolto, cresciuto e formato, ed egli continuerà ad essere splendido attore sul palcoscenico di una casta di eletti, il denaro e la sicurezza economica gli garantiranno sempre il posto nella vacua ritualità di questa sua nuova famiglia, ignara di quanto invece la vita sia tragica e oscura.
Verrebbe da attribuire ad Allen uno sguardo tipicamente buñueliano, se non fosse che comunque il regista americano riesce a conservare in questopera quella amara piacevolezza del raccontare e quella lieve, ma ferma moralità che sono due capisaldi del suo modo di fare cinema e di pensare, nonostante tutto, la vita. Quella reale e quella immaginata.
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