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Il banalizzarsi del male

di Federico Ferrone
 
Data di pubblicazione su web 03/01/2006  
In una recensione di A History of Violence pubblicata in settembre, il critico americano Roger Ebert, sorta di Mereghetti o Morandini d’oltreoceano (da anni è infatti autore di un famoso dizionario del cinema), scriveva che al regista canadese interessano tre livelli del concetto di violenza. Innanzitutto quello - per così dire - banalmente "narrativo" legato all’intreccio e alla vicenda dei protagonisti; poi quello dell’uso storico della violenza come mezzo per risolvere le dispute; infine, la violenza come elemento fondamentale del processo evolutivo darwiniano, per il quale sono gli organismi più forti, o più precisamente i "più adatti" (the fittest) a sopravvivere e a prendere inevitabilmente il posto di quelli più deboli.

Su quest’ultimo assunto di base sembra effettivamente nascere l’ultimo film del canadese David Cronenberg, riflessione sull’origine della violenza e sulla sua essenza, nascosta eppure pronta ad esplodere in ciascun essere umano, quasi un meccanismo di sopravvivenza che scatta di fronte ad una minaccia incombente. A History of Violence è un film del quale è criminale rivelare la trama per chi non lo avesse ancora visto, ma diventa inevitabile se se ne vogliono sviscerare i differenti elementi.

Cerchiamo di raccontarne l’essenziale. In una piccola ed anonima cittadina dell’Indiana, nella provincia americana profonda, la famiglia Stall vive come milioni di altre famiglie. Il padre Tom, prestante e devoto quasi ai limiti dell’ebetismo, lavora in una tavola calda, la madre Edie è un bravo avvocato ed i figli, l’adolescente Jack e la piccola Sarah, come tutti i ragazzi, crescono tra normali difficoltà e momenti felici. I due genitori, giovani e belli, sono attivi nella piccola comunità cittadina, si concedono innocui ma partecipi giochetti erotici e si scambiano dichiarazioni d’amore, come una famiglia da spot di cereali per la prima colazione (una scelta programmatica che è forse uno dei pochi limiti del film). Un giorno Tom si trova nel suo locale due individui armati pronti a fare fuoco sui clienti. Preso da furore istintivo, li stende e li uccide dopo aver loro rubato una pistola, divenendo un eroe per la stampa locale e nazionale. Il seguito è la storia della scoperta non solo del passato nascosto del protagonista da parte della sua famiglia, ma anche della natura violenta che può nascondersi nel profondo di ogni persona.

Annunciato come un film "su commissione" per compensare gli scarsi esiti commerciali del precedente Spider, A History of Violence trae ispirazione dall’omonimo fumetto scritto da John Wagner (autore anche di Judge Dredd, già adattato/ stravolto per il cinema con Stallone nei panni del protagonista) e disegnato da Vince Locke, una delle chine dello splendido comics Sandman.

È facile capire cosa abbia affascinato Cronenberg in questa storia: oltre al tema della violenza sotterranea, c’è anche quello del "doppio". Già affrontato, tra gli altri, in film come Dead Ringers (Inseparabili), M.Butterfly e La Mosca, il tema del doppio è qui svuotato da implicazioni paranormali o fantascientifiche ed analizzato in quanto fenomeno legato alla psiche individuale e alla doppia natura dell’uomo.

Il film può essere letto come un apologo sull’ereditarietà del male, pronto a scatenarsi all’improvviso anche in individui che credono di averne vissuto al riparo, ma che invece accanto ad esso sono cresciuti. Un male che pre-esiste agli individui e che convive, silenzioso, dentro le persone. Così accade per i membri della famiglia Stall, che scoprendo il passato violento del capofamiglia vedono emergere, oltre ad alcune losche vecchie conoscenze del padre, tutte le tensioni accumulate nel profondo.

Il giovane Jack troverà uno sbocco massacrando di botte il bulletto che lo molestava nel suo liceo. La madre Edie invece, in una delle sequenze più sconvolgenti del film, sfogherà la sua rabbia trasformando un litigio cominciato con Tom in un coito selvaggio e quasi liberatorio sulle scale di casa, dal quale si allontanerà sprezzante abbandonando per terra, sdraiato e innocuo, il marito "assassino". Come se la personalità e i desideri dei due potessero essere soddisfatti solo grazie all’ingresso della violenza nella vita familiare.

A History of Violence, superficialmente etichettato da alcuni come un noir sulla provincia americana, è invece un film poco interessante sul piano della trama ma che scava a fondo nella psiche di personaggi comuni e dunque esemplari. Alcuni diranno che Cronenberg è cambiato, che si è ripulito e che ha rinunciato a dar forma ai suoi incubi. Non sanno quello che dicono.

Infatti dal gore e dalle ossesioni genetico-tecnologiche degli esordi (Rabids - Sete di sangue, Scanners e Videodrome, per fare qualche esempio) all’algida perfezione stilistica dei recenti Spider e A History of Violence passano forse anni luce di cura estetica ma i temi sono fondamentalmente gli stessi, forse perfino più inquietanti.

Con il passare degli anni e il raffinarsi della tecnica, Cronenberg ha elaborato le sue ossessioni fino a sfiorare la quasi-perfezione stilistica, affidandosi all’analisi psicologica e alla sottile arte di seminare inquietudine piuttosto che alla rappresentazione esplicita e truculenta delle sue ossessioni. Una finezza che si materializza perfettamente nella scena iniziale, con una lentissima carrellata orizzontale che segue il passo lento di due killers usciti da un motel: una scena angosciante ancor prima che sia mostrato un cadavere, una rappresentazione del male insito nella psiche umana che getta quasi automaticamente lo spettatore in un’inquietudine tanto più pervasiva in quanto non se ne comprendono bene le cause.

E a conferma della continuità di un percorso registico, nella sua follia tra i più coerenti di tutto il cinema contemporaneo, c’è la scelta dei collaboratori, gli stessi da una vita: la moglie Denise ai costumi, Peter Suschitzky alla fotografia, il montatore Ronald Sanders e l’autore delle musiche Howard Shore. E’ dal 1988 (alcuni sono con Cronenberg da prima, Sanders addirittura dall’81), dai tempi di Inseparabili che il team è sempre lo stesso. Squadra che vince...

Infine due parole per il curioso e placido finale, con la famiglia che si ritrova intorno al desco e la piccola Sarah che "aggiunge un posto a tavola" riammettendo il padre nell’intimità familiare. Un finale solo all’apparenza conciliatorio ed in realtà logica conseguenza di quanto enunciato nel corso del film. Come a voler dire che, passata la fase in cui è necessario accettare la verità della natura violenta dell’uomo e una volta accettata tale verità, le persone possono riprendere la propria vita come prima, convivendo silenziosamente con la stessa violenza pronta a riesplodere con uguale ferocia se le circostanze lo richiederanno. Quasi una conferma della banalità del male.


A history of violence
cast cast & credits
 
 

 

 

 


 



 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 




 

 
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