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Dalla parte di Prévost

di Paolo Patrizi
  Manon Lescaut
Data di pubblicazione su web 29/12/2005  
Manon Lescaut è un'opera che procede per ellissi. Se Massenet pedina il romanzo di Prévost, seguendolo quasi passo passo, Puccini sceglie di fare una sorta di Momenti della vita di Manon Lescaut: va avanti per salti, dà per scontato che alcuni raccordi siano superflui, crede che il 'non detto' sia estrapolabile dalla musica. Regista attento alla piena leggibilità dei meccanismi teatrali, Stephen Medcalf gestisce con scioltezza ogni frammentazione narrativa, capovolgimento di tono, trapasso d'ambiente, in una lettura che privilegia la chiarezza del racconto anche a costo di qualche espediente didascalico (Des Grieux che, prima dell'inizio, estrae il manoscritto con cui in flash-back rivivrà la storia; il sipario, all'inizio di ogni atto, incorniciato da frasi estrapolate dal libro di Prévost e da mappe geografiche che indicano dove, di volta in volta, si sposta l'azione...). Così i numerosi 'buchi' del libretto, più che apparire azzardi drammaturgici, sembrano voler dare l'idea che la Manon – come diceva Hitchcock a proposito del cinema –  sia come la vita, ma con le parti noiose tagliate.

Daniela Dessì e Carmelo Corrado Caruso
Daniela Dessì e Carmelo Corrado Caruso

In quest'ottica il regista pare interessarsi più ai rapporti tra i personaggi (scandagliato con insolita cura, ad esempio, quello che si instaura nel primo atto tra Lescaut e Geronte) che a un lavoro introspettivo sui due protagonisti: Medcalf,  si direbbe, ha ben presente che Prévost, dando alle stampe Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut, si era prefissato di realizzare un grande romanzo avventuroso a sfondo morale e, dunque, fondamentalmente antipsicologico. A questa scorrevolezza narrativa offrono un contributo non marginale i costumi e le scene di Jamie Vartan, capaci di passare dai suggestivi effetti da tableau vivant del primo atto al cinereo e mortifero bianco e nero del secondo, che con un colpo d'occhio condensa quel "v'è un silenzio... un freddo che m'agghiaccia" di cui parla Manon; mentre il deserto del quarto atto si riassume in un quadro vuoto, una manciata di sabbie mobili che inghiottono la protagonista, travolgendola così come "le sue colpe travolgerà l'oblio".

Daniela Dessì e Fabio Armiliato
Daniela Dessì e Fabio Armiliato

La recita di cui si dà conto schierava, al posto dei titolari Daniela Dessì e Fabio Armiliato, la giovane Michele Capalbo e Marcello Giordani. Nel secondo caso non c'è da rammaricarsi per la sostituzione: pur tra qualche velatura di suono e occasionali slittamenti d'intonazione (ma governarla fino in fondo è un problema per quasi tutti i tenori, in quest'opera), Giordani è stato un Des Grieux assai apprezzabile per squillo, fraseggio (qua e là scabro, ma sempre coinvolto e coinvolgente), qualità sceniche. Per la Capalbo, molto bella e alquanto acerba, il discorso è più problematico sia sul piano vocale e interlocutorio (i tentativi di messa di voce non si risolvono in un'unica arcata dal fortissimo al pianissimo, ma nella divaricazione tra un suono tendenzialmente gridato e un altro falsettante) che su quello interpretativo. Di Manon Lescaut, fisicamente, non si sa nulla. Come Defoe per Moll Flanders, come Henry James per Isabel Archer di Ritratto di signora, anche Prévost non dà ragguagli sull'aspetto della sua eroina: di lei sappiamo solo che ha sedici anni (diciotto secondo Puccini). Non priva di momenti genericamente passionali, ma di fatto molto impersonale, la Capalbo dà l'impressione di una protagonista solo nominale e quasi senza volto, ineffabile come il suo modello letterario. Ma se resta fermo che – per Prévost, per Medcalf, forse anche per Puccini – l'occhio narrante della vicenda è Des Grieux, una Manon sbiadita è comunque difficile da apprezzare.

Daniela Dessì
Daniela Dessì

Di grande icasticità invece i due baritoni. Carmelo Caruso è un Lescaut ben cantato e 'conversato', all'inizio cialtronesco quanto basta, poi in grado di conferire spessore drammatico a un personaggio che – magari forzandolo un po'– il regista vede capace, nel terzo atto, di un momento di autentica disperazione. Mentre la grottesca senilità si traduce, nel Geronte di Angelo Romero, non nel solito vecchio porco da ridicolizzare, ma in un maturo satiro con un suo spessore antagonistico, che guarda all'antica tradizione del buffo senza nulla perdere in pericolosità: quasi un Don Bartolo incattivito dai tardivi appetiti sessuali. Complessivamente affidabili i comprimari. Il tutto governato dalla bacchetta di Pier Giorgio Morandi, non al meglio. Perché lo spessore fonico impresso all'orchestra è talvolta poco rispettoso delle voci. Perché quello stesso spessore non rende sufficientemente differenziati tutti quei momenti giocati sulla giustapposizione di diversi piani sonori. E perché il ventaglio dei colori e delle dinamiche è comunque limitato: né particolarmente drammatico né particolarmente sensuale anche l'Intermezzo scivola via, come un black-out narrativo che aspetta solo che l'azione ricominci.

Manon Lescaut
Dramma lirico in quattro atti di M. Praga, D. Oliva, G. Ricordi e L. Illica


cast cast & credits

Foto:
Roberto Ricci





Teatro Regio di Parma

 





Daniela Dessì, Manon Lescaut
Daniela Dessì

 


 


 

 

 


 



Fabio Armiliato
Fabio Armiliato


 

 

 


 

 

 



 



Daniela Dessì e Fabio Armiliato
Daniela Dessì e Fabio Armiliato

 

 
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