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Quando tragico fa rima con grottesco

di Melanie Gliozzi
  Enzo Moscato
Data di pubblicazione su web 24/12/2005  

Questa conversazione con Enzo Moscato è stata registrata in occasione del debutto di Disturbing a Tragedy- Schizo/Baccanti. Ovvero: psicopatologia degli spettri euripidei, in margine al vivere quotidiano, testo, ideazione scenica e regia Enzo Moscato (Benevento, Città Spettacolo 11 settembre 2005)

 
Nel 1990 hai fatto una traduzione delle Baccanti di Euripide mai messa in scena. Perché riprendere  questa  tragedia a distanza di così tanti anni? Cosa è cambiato nel tuo teatro?
La casualità, prima di tutto. Ma una casualità intesa nel doppio senso di accidente e necessità; parlando filosoficamente. Per me il caso è tutto. Sia nella messa in scena che nel gioco registico cogli attori, io mi affido molto al caso. Ma si tratta di un giocare col caso molto particolare. Ho sempre coscienza del caso, voglio dire che lo so afferrare, leggere, capire e trasformare in "cosa" teatrale. In seconda battuta  poi, ho ripreso le Baccanti, sia pure in una forma esplosa, frammentata, caotica, rispetto alla stesura del 1990, perché non mi piace abbandonare e dimenticare ciò che ho fatto nel passato. Prima o poi trovo sempre la maniera di ringiovanire il vecchio e invecchiare ciò che è appena nato. E' la dialettica "senex-puer" di cui parla sempre Hillman nei suoi lavori. E Hillman è molto presente, insieme a Jung, insieme alla psicologia archetipica, o divina, in Disturbing a Tragedy.

Non so cosa è cambiato in questi anni nel mio teatro e nel pensiero che ho su di esso. Forse nulla. Forse tutto, chi lo sa? Dall'interno di un processo, come capita a me di stare, se si parla di teatro, non si è sempre molto avvertiti in relazione al cambiamento. Si ha molta coscienza, invece, di ciò che si aggiunge al già fatto. Senza dubbio, in questi anni, il pensiero e il fatto-teatro nella mia ricerca, sono divenuti più complessi, stratificati, non facilmente riducibili a una sola dimensione o interpretazione. Anche più elusivi, sfuggenti, incatturabili rispetto al senso. Questo lo ritengo un dato positivo, vista la tendenza odierna a racchiudere in comode e false sigle – in prigionie concettuali - il problematico ventaglio espressivo di un fenomeno scenico o di un artista.


Enzo Moscato
Enzo Moscato


 

Il comico e il tragico nella tua scrittura e nella costruzione di Disturbing a Tragedy
Il tragico e il comico, che si alternano continuamente in Disturbing a tragedy, stanno lì a dimostrare l'assunto e la necessità stesse che mi hanno spinto a metterlo in scena:l'impossibilità, oggi, di praticare un genere in assoluto, sia esso tragedia o farsa. Quando si pratica un genere in assoluto, oggi, secondo me, l'effetto sul pubblico che si vuole raggiungere è invertito rispetto allo scopo: se ci si aspettano lacrime arriva il riso, se ci si aspetta il riso, arrivano lacrime o quantomeno un turbamento che ti impedisce di evadere, di liberarti. Questo avviene perché è mutato il senso stesso delle emozioni che proviamo. E' mutato il senso del dolore ed è mutato altresì quello della gioia. Ragion per cui è ridicolo insistere a battere una sola breccia. In scena, si deve praticare il limite, il crinale, la doppia faccia delle cose. Né di qui, né di lì, ma in mezzo. Pericolosamente in mezzo. Così come, confusamente e rischiosamente "in mezzo" viviamo noi oggi. Una volta c'erano i contrari, la destra e la sinistra, il Bene e il Male. Oggi, saltate tutte le barriere di distinzioni fra le cose – e i generi – stiamo nella palude. Le difficoltà ad uscirne generano il grottesco ed è esattamente questo, il grottesco, che ho deciso di praticare in relazione agli umori dello spettacolo Disturbing a tragedy. Il grottesco è la cifra espressiva universale del "senso" dei tempi che viviamo.

Come ha  funzionato la memoria del tragico in questa rappresentazione?
La memoria, in ogni cosa che facciamo oggi, è una traccia originaria cancellata, o soggetta di continuo a rimozione, perciò funziona a intermittenza, a sbalzi, ad assenze e presenze. Così come il mito. Anche il mito è un barlume, una fioca ed evanescente rimembranza degradata. Assurdo pretendere di darli compiutamente, come se da 2500 anni nulla fosse cambiato. Memoria e mito, così come la presenza/assenza degli dei o del politeismo di una volta, oggi sono sentiti più come disturbo, interferenza psicopatologica, che come salutari elementi del patrimonio culturale del mondo.

La scena delle Baccanti del 1990 era concepita  come una Rovina post-bellica.  In Disturbing a tragedy resta questa suggestione ma è l’elemento grottesco che predomina nell’insieme. Perché?
Le rovine e il grottesco che deriva dall'averci a che fare, è il logico risultato, oggi, per chiunque cerchi di accostarsi al classico e voglia riportarlo in scena. Non è possibile alcuna operazione filologicamente purista, col classico, con la tragedia. Viviamo nella contaminazione, nel meticciato, nell'ossimorico più estremo, per quanto riguarda il nostro rapporto con gli antichi. Da questo punto di vista, tutto è soggetto a revisione e a "grotteschizzazione": dagli eventi narrati ai personaggi chiamati in campo, tutto si trasforma in parodia. La visionarietà stessa di alcuni snodi dello spettacolo è dovuta ad una sorta di "laicizzazione" odierna di ciò che un tempo era considerato divino o numinoso. Il divino – tramite la volgarizzazione massmediale – è divenuto gossip e il gossip, sempre attraverso lo stesso tramite, è assunto a divinità suprema; perciò tutto il lavoro di riadattamento e quello insieme agli attori somiglia ad un burlesque reality show, non certo alla tragedia antica. Ma è un reality show volgare e "passatico", non per colpa o volontà mia, dell'autore-regista, bensì dei tempi che viviamo e dell'opera di cancellazione–farsizzazione della dolorosa traccia originaria, operata dall'incultura e insensibilità contemporanea

I tuoi copioni sono spesso accompagnati da una parte meta-testuale di materiali che si intersecano con la parte specificatamente testuale.
Il mio tessere drammaturgico tra testo e meta testo è innanzitutto una peculiarità filosofeggiante, un omaggio alla mia vera formazione culturale di base di stampo scientifico, epistemologico-linguistico. Sono prima di tutto un ricercatore che ama riflettere, oltre che giocare scenicamente, con il proprio oggetto di studio. Fino a confondermici talvolta, fino a far combaciare soggetto e oggetto di ricerca. Inoltre il meta-testo è una sorta di finestra, dal teatro sul mondo, uno spiffero salutare, che arriva dall'esterno a vivificare la materia, certe volte troppo asfittica e ripetitiva della drammaturgia. Se si vuole, il mio meta-testo, oltre che essere la riflessione speculare del ricercatore sul ricercato  (e viceversa), è anche una sorta di originale coro moderno che dilata e fa sconfinare, oltre gli angusti limiti del palco, i temi e le forme di ciò che si sta rappresentando. Un teatro sganciato dal meta –testo è un teatro privo di testa o di coscienza di ciò che si sta attuando. Dietro la necessità del meta-testo, che però deve sempre cercare di combaciare perfettamente con il testo, con la rappresentazione, altrimenti si cade nel didatticismo, c'è la grande lezione del teatro della crudeltà di Artaud – quella del suo rigore e delle sue alchimie - come pure il bisogno d'anarchia e di sovvertimento delle assisi convenute del teatro tradizionale, operato da Genet. La frantumazione della drammaturgia, la sua esplosione dinamitarda, in Disturbing a Tragedy è in fondo un grande omaggio al Genet del saggio su Rembrandt: "ciò che rimane di un Rembrandt fatto a pezzettini e gettati dentro al cesso". Questo è un grande esempio dell'odio e del disgusto che un autore deve portare verso il proprio lavoro, se si vuole procedere sulla via della continua perfettibilità della scrittura.

Tragedia e mass-media. Tenere presente questo nesso contrastivo è importante per accostarsi a Disturbing a tragedy
La volgarizzazione e la banalizzazione del senso del tragico, la sua sostituzione odierna con l'agghiacciante insito nel grottesco; la trasformazione stessa, forse, del senso del dolore e della gioia, oggi, è in gran parte imputabile all'invasione, nelle nostre vite e nelle nostre menti, del messaggio dei mass-media, prima di tutto della televisione. Perciò in Disturbing, la conduzione della kermesse, dell'assurdo reality show che fa della tragedia antica una farsa sanguinosa e devastante, più disperante del finale di Re Lear, è affidata ad un incredibile Anchor man cinico e presuntuoso, violento e millantatore, che usa una lingua tutta sua, barbara e demagogica, simile a quella di molti eroi odierni – televisivi, che non si ferma davanti a nulla pur di far spettacolo, notizia. Nemmeno davanti al disperato grido di un bambino che  prega con fervore gli dei di un tempo, affinché risparmino almeno un pezzetto di questa landa desolata, detta mondo… Nemmeno davanti al kamikaze adolescente che, all'ultimo, arriverà con le sue bombe per far esplodere ogni cosa, compreso l'Anchor man medesimo!

Nel tuo teatro s'incontrano spesso  frammenti di narrazioni. Come affronti il raccontare a teatro? Che senso dai a questa pratica?
Il mio narrare – de/narrando e viceversa è un fatto prima di tutto istintuale, personale. Ho sempre avuto problemi con la "norma" delle cose. Ogni cosa l'ho appresa e riprodotta a modo mio, mi è successo così anche quando ho voluto confrontarmi con la traduzione e il riadattamento di qualche classico del passato. L'ho ri-fatto, ri-detto, ri-narrato, a modo mio, tradendolo fino ad essergli completamente fedele. E' così: io mi allontano per avvicinarmi, mi avvicino per estraniarmi. Racconto per avvertire del contrario, vale a dire per narrare dell'impossibilità di raccontare, oggi, giacchè della parola si è smarrita la traccia, l’origine, il senso e quello che pratichiamo, anche con le migliori intenzioni, è semplicemente chiacchiera, non senso, bla-bla-bla che è poi simmetrico di quanto già detto sulla tragedia. Il senso dell'immagine-visione a teatro, poi, dovrebbe combattere l'in-senso dell'immagine televisiva, a cui siamo assuefatti. Dovrebbe cioè favorire la perdita dell'inscatolamento e imprigionamento della fantasia  e dell'immaginario individuale, operata dai mass-media. Dovrebbe favorire il risveglio e la rivolta dei nostri neuroni, delle nostre sinapsi, di fronte ad un evento; essere finalmente liberi di leggerlo ed elaborarlo alla nostra personalissima maniera. Questo è lo scopo, che ovviamente può riuscire o meno, ma l'importante è almeno tentare di farlo.

Cosa è per te la memoria?
La memoria per me, ma penso anche per gli altri, è davvero un mistero. E quanti tipi ce ne siano dentro di noi, fuori di noi, in mezzo a noi; quanti ne pratichiamo e perché alcuni si ed altri no… La memoria è il cuore stesso della vita, e in quanto particolarissima forma di vita, il teatro, ha molto a che fare e a che vedere con la memoria. Basti dire che senza memoria - memoria di un testo, memoria di una parte, memoria di un'azione – il teatro stesso è impensabile. Più interessante è chiedersi se senza vita, oltre la vita, è dato praticare lo stesso la memoria, o la memoria medesima si trasforma in "im-memoria", coincidendo così con l'inconscia sfera dello psicoide di cui parla Jung.



 




Enzo Moscato
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