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Epifania di un mito

di Michele Manzotti
  Bob Dylan
Data di pubblicazione su web 21/11/2005  

Quando sale sul palco l'ovazione è immancabile. Perché comunque siamo di fronte a chi ha rivoluzionato dall'America la canzone d'autore, provocando schiere di ammiratori e seguaci in tutto il mondo. Bob Dylan fa poi sempre parlare di sé: nel 2005 abbiamo avuto in ordine sparso l'edizione italiana dell'autobiografia Chronicles, il film di Martin Scorsese su di lui No Direction Home e il relativo doppio Cd della colonna sonora. Ma una cosa è confrontarsi con un mito a distanza, un'altra poter verificare dal vivo il suo stato di salute, come è successo nella prima delle due date italiane d'autunno al Palamalaguti, alle porte di Bologna. Allora ecco che in scena Bob Dylan, 64 anni portati benissimo, ha una valenza tutta particolare: si presenta con vestito, stivali e cappello nero facendosi accompagnare da un gruppo di musicisti che raccoglie il meglio che la scena americana di base può dare, come i chitarristi Danny Freeman (da Austin, Texas, che ha suonato anche con Jimmy Vaughan) o il bassista newyorchese Tony Garnier vero direttore d'orchestra di questa formazione, dato che dal 1989 ha suonato in oltre 1500 concerti con Bob.


Bob Dylan
Bob Dylan


Dylan preferisce porsi sul palco a sinistra suonando le tastiere (non toccherà mai la chitarra) e qualche volta la fedele armonica, quasi a mostrarsi come  primus inter pares nonostante sia assoluto protagonista con le sue canzoni. Perché il repertorio è vastissimo e spesso non è facile operare scelte lasciando da parte brani conosciutissimi, a partire da Blowin' in the Wind e Mr. Tambourine Man per continuare con i pezzi dell'album Desire. Però c'è tanto materiale da rivisitare. Questa è la parola giusta, perché Dylan non si preoccupa di fare i suoi successi tali e quali, ma si diverte a talvolta a stravolgerli. Pensiamo alla suadente Girl from the North Country, irriconoscibile alle prime battute o A hard rain’s gonna fall. La voce in questi casi preferisce inventare melodie differenti che spesso possono risultare poco gradevoli all'orecchio abituato ai dischi. Ma soprattutto è interessante la  scelta interpretativa: quella del rock'n'roll di un gruppo ininerante, cone le Revue americane insegnano. Un fatto che porta come conseguenza molta energia, in alcuni casi rotta occasionalmente da ritmi più lenti e dall'uso di strumenti acustici.

Splendida e intensa ad esempio è la versione di Highway 61 revisited, così come l'iniziale e potente  Maggie's Farm, o Down Along the cove. Oppure la ritmata Tweedle dee, Tweedle dum o la ballata Sugar Baby, entrambe da Love & Theft del 2001. Compaiono anche brani meno conosciuti come Cold Irons bound o Never gonna be the same again, ma sembra che ad ogni pezzo Dylan voglia conferire una propria dignità nell'ambito di una proposta generale nel segno dell'eccellenza. I bis non deludono: c'è la canzone più bella del secolo scorso Like a Rolling Stone e All along the Watchover, sempre a tutto volume. Un concerto che ha mandato in delirio il pubblico, fatto anche di tanti giovanissimi. Peccato che c'era almeno un terzo del parterre vuoto, segno che anche i miti possono fare poco se i biglietti hanno un costo che ormai molti non si possono permettere.




Concerto di Bob Dylan



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