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Due ore di palle, parte seconda
(la vendetta)


di Roberto Fedi
  Locandina de "L'allenatore nel pallone" di Sergio Martino, 1984
Data di pubblicazione su web 07/11/2005  
Siccome non siamo maramaldi (cfr. Francesco Ferrucci: “vile Maramaldo, tu dài a un morto”: che è la versione originale del più diffuso “tu uccidi un uomo morto”), abbassiamo la voce: l’avevamo detto.

Beh, non ci voleva molto: bastava essere gente con gli occhi gli orecchi e un orologio. Non ci voleva un grande intuito, si vuol dire, a capire che quella baracca presuntuosa e mediatica di Serie A, versione Mediaset di Novantesimo minuto, cascava da tutte le parti (domenica, canale 5, ore 18). Così l’abbiamo scritto: Due ore di palle. Siamo stati fra i pochi, anzi pochissimi, anzi quasi nessuno.

Come è ormai arcinoto, Paolo Bonolis era in crisi con il programma, che ha avuto ascolti bassi. Se ne va? non se ne va? Come scrivevamo, a noi non piacciono quelli che partono per stravincere e poi ci sbattono il naso (ci scusiamo per l’autocitazione). Serie A è il tipico prodotto della presunta onnipotenza televisiva: vi annoio per due ore, ‘sforo’ quanto mi pare, infilo siparietti comici (si fa per dire) per sfottere tutti fuorché me, sono o non sono il più strapagato di tutti?, e quindi faccio quello che voglio. No, amigo.

Lo sport, se il calcio è sport (no: ma in televisione è come se lo fosse), è una bestia difficile. Parlarne lo è altrettanto: condizione indispensabile è essere modesti, e mettersi al suo servizio. I protagonisti, piaccia o no, sono i giocatori: che sudano, tirano calci, vincono o perdono. Ma gli attori sono loro, non chi li presenta e li sfotte. Questo va bene la sera, ma a bocce ferme e in una trasmissione ‘di nicchia’, per la Gialappa’s, che infatti in quel programma di Bonolis ci sta come il cavolo a merenda. Prendete un telegiornale: chi metterebbe gags e risate mentre il giornalista parla di politica o di notizie? Smitizzare il calcio (parola d’ordine) così come la politica non vuol dire fare una pernacchia ogni volta che Prodi o Berlusconi appaiono in televisione (quella si fa dopo, semmai). Vuol dire essere professionali e distaccati: che ci piaccia o no, i protagonisti sono loro, non chi ne parla al tiggì.

Bonolis fa in quella trasmissione il bello e il cattivo tempo. Insopportabili e imbarazzanti, per esempio, i dialoghi con i vari inviati, tutti vòlti a sfotterli in diretta: qualcuno deve averglielo detto, e ora si limita. Ma ci si chiede come facessero a non mandarlo, sempre in diretta, a quel paese. Il protagonista è lui, e non è all’altezza dell’argomento: anzi, il fatto che si approfitti della sua posizione per ironizzare sui collaboratori denota insicurezza. E anche la Gialappa’s, in quel contesto, stona: lì non si tratta di inventarsi momenti demenziali o comici, come sono bravissimi a fare, ma di commentare fatti reali. E la presentatrice ‘a latere’, Monica Vanali, non è una ‘letteronza’ da prendere in giro a contratto. In quella figura, seria, il pubblico in qualche modo si identifica: l’ironia su di lei, come sui giornalisti inviati a seguire le partite o sui collaboratori in studio, rimbalza addosso agli spettatori. Da qui l’imbarazzo e la confusione dei ruoli. Stupisce che esperti di comunicazione strapagati e ‘geniali’ (si fa per dire) non se ne accorgano.

Così domenica 6 novembre è accaduto (prima volta a nostra memoria) che il Bonolis si sia dovuto ‘scusare’ in diretta con il pubblico. Ha giocato sulla suspense: se ne va o no? Può darsi che gli ascolti si siano alzati, per questo. Non se ne va, come era chiaro. Ha dato la colpa ai giornalisti, responsabili di aver detto che il programma è loffio. Ma guarda te che cattivoni. Ha detto che la redazione si sposta a Roma perché lui sta a Roma e lì ha affari e famiglia. Ha detto alla Vanali che, se vuole, può venire a Roma anche lei. Ha fatto di peggio: si è collegato con un primario di Roma che l’ha ringraziato per aver fatto, la volta scorsa, un appello per donare sangue in un’emergenza. Che buono. Che santo. Che cuore. A noi è sembrato indecoroso.

E quindi se il programma va male, nonostante che nell’ultima puntata ci fosse uno schieramento di ben quattro ‘big’ – si fa per dire – del giornalismo sportivo televisivo (inutili come sempre), ben gli sta. Dove si vede anche che il ‘conduttore’ più di tanto non vale. Bonolis se n’è andato dalla Rai sbattendo la porta e con un contratto da far paura. Tutti a piangere. È arrivato Pupo (dico: Pupo!) e in due giorni ne ha distrutto anche il ricordo. Dai pacchi al calcio: e giù come se piovesse.

Aspettiamo, fiduciosi, la prossima fuga a Mediaset, notando che c’è in tutto questo una bella notizia: che i cittadini italiani hanno risparmiato un sacco di miliardi. Era ora. Ma è inutile sperare in Pippo Baudo e Mara Venier: quelli a Mediaset ci sono già stati, e col cavolo che se li riprendono.











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