drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Il difficile futuro della musica

di Michele Manzotti
  Pierre Boulez
Data di pubblicazione su web 24/10/2005  

A ottant'anni si permette di fare il tutto esaurito dei concerti che dirige. E anche di dire verità scomode e al tempo stesso sacrosante sulla musica di oggi, dato che in tempi non sospetti ha saputo guardare lontano. Pierre Boulez, compositore e direttore d'orchestra, nel corso degli anni '60 ha ricoperto un ruolo importantissimo nel ripensamento del linguaggio dell'arte, in direzione di un'astrazione e sperimentazione sempre maggiori. Nel decennio successivo il presidente della Francia Georges Pompidou chiese a Boulez di creare e dirigere un istituto per l'esplorazione e lo sviluppo della musica moderna: nacque così l'Ircam, di cui rimase direttore fino al 1992. Più recentemente  ha conquistato il pubblico del festival Anima Mundi  nel Duomo di Pisa a capo dei Wiener Philharmoniker in un programma dedicato a Schoenberg e Bruckner. E' in questa occasione che l'abbiamo incontrato per fare il punto sulla situazione musicale odierna.

Pierre Boulez, Ojai Music Festival, 2003
Pierre Boulez, Ojai Music Festival, 2003

 
Maestro, in un'intervista di qualche anno fa lei disse che la musica era finita, come mai?
«Intendevo dire che avrebbe avuto un futuro molto difficile, dato che eravamo arrivati a una cultura di massa. Al tempo stesso la cultura musicale è esigente e richiede degli sforzi, e oggi le persone non sono incoraggiate a fare questi sforzi. Prima di tutto perché c'è una certa musica popolare legata al mercato ed è quindi soggetta ad altre logiche soprattutto non ci si preoccupa di far passare questa cultura esigente per accontentare un pubblico più vasto. Non sono pessimista, ma devo dire semplicemente che bisogna lottare perché venga mantenuto un certo livello di esigenza culturale».

Eppure una volta lei disse di apprezzare un personaggio della musica 'pop' come Frank Zappa, tanto da averlo fatto conoscere nella sua attività di direttore d'orchestra. Come mai?
«Perché ha rappresentato un'eccezione nel suo ambito. E' stato un personaggio che non ha avuto un seguito. Lui aveva una grande ammirazione per Edgar Varèse, e nella sua produzione si sente l'influenza di questo autore. Il suo era un interesse per un altro livello della cultura, che lo ha spinto a trovare nuove idee, senza che per forza dovessero essere commerciali».

Negli anni '60 lei creò l'istituto di sperimentazione musicale Ircam ed è stato uno dei primi a utilizzare l'elettronica, cosa che oggi fanno molti autori. Come le venne l'idea?
«Il materiale elettronico è moderno, contemporaneo allo sviluppo dell'elettricità. Non è il rimedio miracoloso ma è un'ulteriore possibilità per la musica, così come per l'architettura non c'è solo il legno di una volta ma c'è anche il vetro e il cemento. Materiali che possono fornire all'immaginazione soluzioni che non sono ancora state trovate e utilizzate. Pensi alle grandi torri del passato e a ciò che è stato fatto per costruire la struttura dei musei Guggenheim di New York e Bilbao. Così è nella musica, grazie al nuovo materiale elettronico».

Pierre Boulez, Bruno Maderna e Karlheinz Stockhausen, 1958
Pierre Boulez, Bruno Maderna e Karlheinz Stockhausen, 1958


Lei è l'autore di un saggio famoso dal titolo  Schoenberg è morto, mentre nel concerto per Anima Mundi lei ha incluso il suo Verklaerte Nacht.  
«Dissi che Schoenberg era morto come una constatazione della fine di un'epoca. Allora (1951) avere un punto di vista su Schoenberg era più difficile. Tutto l'articolo era una critica, ma non per questo negativa, era piuttosto un'analisi di ciò che aveva realizzato e di ciò che non aveva potuto sviluppare».

Sempre nel programma per  Anima Mundi  lei ha incluso una sinfonia di Anton Bruckner. Su questo autore pubblico e critica si dividono. Alcuni lo detestano, altri lo considerano un grandissimo, superiore anche a Gustav Mahler. Ovvio che la verità sta nel mezzo, ma al tempo stesso vorremmo sapere cosa ne pensa.
«Bruckner è la catena di congiunzione perfetta tra Wagner e Mahler. In genere si parla sempre di un dualismo tra Bruckner e Mahler, ma in effetti si tratta di due autori di generazioni differenti. Quindi la situazione di Mahler era totalmente differente da quella di Bruckner: Mahler è sicuramente più vicino a Schoenberg, mentre Bruckner è più vicino a Wagner e da lui ha raccolto la prassi della lunghezza dei brani musicali. Anche per questo è importante, così come il suo sviluppo e la ripetizione del motivo; ma è interessante anche per lavoro armonico che è molto spinto, più di quello di Mahler, così come è stato sottolineato in un testo del filosofo Adorno. Certo Mahler lavora molto più sulla forma, e attua una ricerca dello sviluppo molto più complessa».

Le piace lavorare ancora come autore?              
«Sì, mi piace comporre e mi tengo dei periodi proprio per lavorare in questo senso. Sfrutto anche la mia attività di direttore d'orchestra per avere ispirazioni a volte trarre spunto da musiche che studio. Magari un'idea su cui lavorare e che trasformerò in tempi successivi».

Lei ha diretto compositori italiani come Berio, Donatoni. Cosa pensa della scena musicale del nostro novecento?
«Non conosco i dettagli della vostra scena: non so se ci sono gruppi che fanno musica contemporanea come l'Ensemble Intercontemporain in Francia, sostenuti dallo Stato per questo. Penso sia molto importante che ci sia una formazione che abbia questa funzione istituzionale, nel senso che rappresenti tutti e che sia abbastanza forte da diffondere questa musica attirando così un pubblico sempre più numeroso».



 

Pierre Boulez
Pierre Boulez




 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013