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Gangs senza Weill, gangs senza Brecht

di Giovanni Maria Rossi
  Gangs of New York
Data di pubblicazione su web 04/02/2003  
Poteva essere Birth of a Nation + Intolerance, la riscrittura griffithiana della storia americana e del linguaggio cinematografico secondo Scorsese. Non è andata proprio così. Il soffio dell'epica (qualche benevolo recensore italiano ha scomodato Omero, oltre che Shakespeare e Dickens) si è fatto troppo spesso travolgere dalla nuvoletta dei comics, strisce affrescate con cura e dai personaggi fragili, essenzialmente per le smagliature e gli eccessi di una sceneggiatura (Jay Cocks, anche soggetto, Steven Zaillian, Kenneth Lonergan) che stenta a trovare un equilibrio drammaturgico tra le vicende individuali - una comunissima, archetipica storia di vendetta privata - e le pagine occulte e tragiche dei libri di Storia che un fantasioso reportage del giornalista Herbert Asbury aveva riportato alla luce nel 1928.



Curiosità o coincidenza: in quello stesso anno Bertolt Brecht e Kurt Weill misero in scena l'Opera da tre soldi, che sotto molti aspetti - non certo per l'ironia e la lucidità ideologica - può aver ispirato Gangs: gli slums di Soho, le folle cenciose e violente dei mendicanti e della criminalità londinese, il bandito dandy e spietato Mackie Messer dal coltello facile, la prostituta Jenny delle Spelonche, il corrotto capo della polizia Brown.

Ma il film di Scorsese, senza il coraggio di stilizzare fino in fondo una coreografia scandita dalle songs, si riveste di un immaginario splendido e ridondante, intasato di visioni in Technicolor e Cinemascope accumulate negli anni dell'adolescenza, western, reziari, gladiatori, Ben Hur, corsari, swashbucklers, Via col vento, e ricostruite nella maturità alla scuola severa di Sergio Leone. Senza leggerezza.



Nel sordido crocicchio di Five Points, Lower Manhattan, gli eventi e le personae si affastellano nell'arco di circa vent'anni, dalla cruenta carneficina all'arma bianca tra immigrati irlandesi e sedicenti nativi americani (1846) ai disordini di New York contro la coscrizione obbligatoria, sedati a colpi di cannone dalla Marina nordista (Draft Riots, 1863).

Tra le pieghe della Guerra Civile, parto traumatico della nazione americana, Scorsese ha trovato le radici di una violenza ancora più assoluta, endemica, scaturita dalla miseria, dall'intolleranza religiosa e razziale, dalla difesa ferina del territorio e del malaffare. Altro che melting pot e Grande mela delle opportunità! Altro che ideali democratici e umanitari! Five Points, New York, per il cattolico Martin è l'anticamera dell'Inferno, l'Inferno stesso, con espliciti riferimenti danteschi ai gironi e ai peccati capitali che il satanico Bill the Butcher (Bill il Macellaio) sembra esercitare in serie completa, con soddisfazione e impunità.

Corrotti i politici, corrotti i poliziotti, corrotti i vigili del fuoco, corrotti i predicatori, è la guerra per bande di tutti contro tutti, la terra s'impasta del sangue dei dannati che vivono nelle malebolge urbane e dal cimitero di Brooklyn si può scorgere lo skyline nebbioso della metropoli all'alba dell'11 settembre, 2001, in un cerchio senza fine né riscatto. Nello spazio scenico grandioso creato da Dante (!) Ferretti, multicentrico, polifonico, la rappresentazione cerca di svincolarsi dai moduli realistici, stemperando in grottesco le più trucide e inverosimili azioni di violenza, ma resta greve, appesantita dai dettagli maniacali, aggrovigliata dalla compresenza di corpi e lame e ghigni e squarci che ingenerano assuefazione più che classica catarsi.

Solo di tanto in tanto magnifici voli d'angelo di dolly e gru si sollevano sullo spettacolo opprimente di questi conflitti primari, lasciando un varco alla riflessione, prima di riscivolare a terra tra le fughe e i colpi e gli schizzi di sangue. A differenza dei dipinti di Brueghel - di cui qualcuno ha trovato riverberi in Gangs - dove tutto è simultaneo e affollato nel frame, senza che l'armoniosa unità narrativa venga incrinata dai singoli episodi raffigurati, il film di Scorsese affonda a volte in troppe scene convulse dove lo sguardo dello spettatore si mescola e si perde, smarrendo il senso del racconto e quindi della Storia. Ma forse è questo il sottofondo shakespeariano che abbiamo invano cercato in tutti i 168 minuti del film: "Life… is a tale / told by an idiot, full of sound and fury, / signifying nothing".


Gangs of New York
cast cast & credits
 


Leonardo di Caprio
Leonardo di Caprio


 

 
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