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La discrezione, questione di stile

di Fernaldo Di Giammatteo
  Il cerchio
Data di pubblicazione su web 01/01/2001  
C'è saggezza orientale in Panahi. Ma c'è anche parecchio altro. Ad esempio, una prudenza che sconfina nell'astuzia, e una pazienza infinita. "La società iraniana, in particolare se messa a confronto con questa parte del mondo - chiarisce l'autore in un'intervista che è un capolavoro di sincerità commovente e 'dimezzata' - è in buona misura un mondo maschile. Il raggio del cerchio può essere, in certi casi marginali, piœ lungo per gli uomini. Il mio film non si propone di essere contro gli uomini, né vuole essere un film femminista. È un film sull'umanità. Uomini e donne fanno parte dell'umanità. Non mostro mai alcun tipo di maltrattamento o di collera maschile verso le donne. Per esempio, vediamo le donne che hanno paura della polizia. Può essere vero o non vero. Quando la polizia è vista in campo lungo, ha un aspetto minaccioso. In campo medio, però, il poliziotto ha un aspetto gentile. [...]. Alla fine, quando le donne sono a bordo del cellulare - tutte durante il film avevano voglia di fumare e non potevano - sono finalmente immerse in una atmosfera umanitaria" (D. Walsh, An Interview with Jafar Panahi, director of 'The Circle').

Per Panahi, figlio di un paese "chiuso", il "giocoliere" che tiene le donne nelle sue mani è lo stato, mai nominato ma onnipresente (la polizia vigila dappertutto, silenziosa, inflessibile): lo stato come potere e organizzazione sociale, come religione, ideologia, tradizione, costume. Lo stato che si manifesta soprattutto, dal punto di vista del linguaggio cinematografico, nel frastuono compatto che domina le strade di Teheran, una presenza insieme oppressiva e inavvertibile. Se i personaggi pirandelliani urlavano il loro dolore e il loro furore, le donne di Panahi parlano a bassa voce, quando parlano, e non confessano il loro cruccio, e neppure le colpe per le quali sono state condannate. Del resto, anche il confessare sarebbe per loro un delitto. A differenza dei personaggi pirandelliani, che covavano una ribellione immaginaria o impossibile, le giovani e meno giovani recluse de Il cerchio non sanno che voglia dire ribellarsi: sanno soltanto che devono nascondersi o fuggire (Nargess, la piœ giovane, sogna di tornare al suo paese fra le montagne e nel sogno lo vede come il paradiso).

Il film scorre lieve di inquadratura in inquadratura, di strada in strada, di casa in casa, di giorno e di notte, senza mai lacerare il tessuto fitto ma sottile della struttura drammaturgica. Avvolte dal rumore della città, le otto donne "afasiche" cozzano di continuo contro l'impossibilità (non possono fumare per strada – " questo è un quartiere di gente perbene ", ammonisce un passante – , non possono fare nulla perché non hanno documenti e perché non sono accompagnate da un uomo, telefonano ma non trovano mai nessuno che risponda). Come se un muro invalicabile le circondasse. Come se i contatti con l'esterno fossero stati tagliati per il volere imperscrutabile di una potenza invisibile. Kafka, oltre che Pirandello? Anche. Le coincidenze, e le sorprese, sono impressionanti.

La "discrezione" è lo stile di Panahi. Una discrezione tanto profonda che il Reigen si svolge senza che nulla giustifichi (o spieghi) il passaggio dall'una all'altra donna e senza che la vicenda di ciascuna sia conclusa (e nemmeno chiarita) prima che entri in campo la successiva. Di qui l'oscurità e la suggestione che emanano dalle varie sequenze e dal loro succedersi inarticolato. Come se tutto avvenisse sempre fuori campo e fuori tempo (tutto è accaduto altrove, prima che l'azione cominciasse). Donne in fuga, inseguite da un "mostro" invisibile, che soltanto loro conoscono. Donne che si nascondono per non essere viste dal potere. Kafka piœ di Pirandello.

La macchina da presa di Panahi spesso si immobilizza in lunghe inquadrature fisse, dove nulla accade o dove ciò che accade è precluso alla vista. Esemplare lo scorcio del vicolo in campo lungo con la porta di un'abitazione a sinistra: arrivano due uomini, entrano, la porta si richiude, dall'interno giungono grida; si avvicina circospetta la giovane Nargess che è venuta a cercare l'amica Pari, ascolta e rapidamente si allontana, ripercorre il vicolo e scompare dietro l'angolo. Pari la vedremo piœ avanti, nello spogliatoio delle infermiere dell'ospedale dove lavora Elham, la compagna con cui ha condiviso la cella del carcere. Un'altra lunga inquadratura fissa, Pari, seduta immobile (attende l’ nella speranza che Elham possa aiutarla ad abortire), è raggiunta da un paio d'infermiere che aprono i loro armadietti e ogni volta dalla porta aperta (fuori campo a destra) entra un grande fascio di luce bianca. Vista sospesa (non si vedono coloro che nel vicolo gridano dietro la porta, se non per un attimo, quando la porta si apre). Tempo sospeso (Pari è stata abbandonata come uno straccio su una sedia nel ripostiglio in ospedale, ad aspettare che un aiuto la salvi). Vita sospesa, in ogni inquadratura, in ogni momento del film.

Sottotono sempre, Il cerchio non rinuncia del tutto alla "prepotenza di vita": la si può leggere, soffocata, nei volti delle donne. La mostra soffocata, appunto. Ossia, ancora piœ lancinante. Come il muro nero su cui termina la panoramica circolare che conclude il film. È il sigillo definitivo di una schiavitœ (il nero e la lunga immobilità del nulla nell'immagine valgono piœ di cento proclami, Panahi ha imparato la lezione del neorealismo superandolo tematicamente e prosciugandolo stilisticamente). Non si urla mai. Nessuno urla, né le schiave né i guardiani. Tutto avviene nell'ombra, come si addice alla civiltà in cui il film è immerso. La cella esplorata dalla panoramica è una tomba, il muro nero è la morte cui le otto donne sono condannate.

"Tutti nel mondo - dice Panahi nell'intervista citata, con quel tono di trepida filosofia che è il suo (ed è forse della sua cultura) - vivono dentro un cerchio. Per problemi o tradizioni economiche, culturali o familiari. Il raggio del cerchio può essere piœ o meno lungo. Non conta la collocazione geografica, tutti vivono dentro un cerchio. Spero che, se il film esercita una qualche influenza su qualcuno, lo induca a cercare di allungare il raggio". Com'è  "poetica", e timorosa, questa metafora della libertà. E come bene coincide con lo stile sommesso del film. Toni smorzati, sguardi furtivi, parole sussurrate, incontri casuali, situazioni inesplicabili. Tanto piœ inesplicabili quanto piœ drammatiche. 

 
Il cerchio
cast cast & credits
 



Sul web
An interview with Jafar Panahi, director of The Circle

 
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