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Un esperimento prevedibile

di Roberto Fedi
  The experiment
Data di pubblicazione su web 01/01/2001  
La claustrofobia si addice al cinema (ricordate Le iene - tit-orig.: Reservoir Dogs, 1992 - di un giovane e non ancora autocompiaciuto Quentin Tarantino?), ma mica sempre. A volte è solo una gabbia di contenzione per il regista, per gli attori, e francamente anche per lo spettatore. In questo film tedesco lo spazio minimo della scena - qui una prigione - è un limite, più che un confine.

Film tedesco di un esordiente nei lungometraggi e autore di numerose fiction televisive (Oliver Hirschbiegel), realizzato nel 2001 è stato importato ora in Italia con il titolo originale (Das Experiment) tradotto in inglese: misteri della distribuzione. La pellicola ha vinto numerosi premi internazionali che ne hanno fatto un 'caso', a basso costo, dall'impianto teatrale e aristotelico, nel senso delle fondamentali unità di luogo, di azione e (quasi) di tempo, e dalla recitazione quasi televisiva.




Si conferma che il pauperismo (il film ha avuto finanziamenti pubblici per poi essere venduto a una società di produzione), la semplicità dell'allestimento, la secchezza della fotografia, la limitatezza dei movimenti di macchina (a parte un po' di soggettive in corsa), la fissità della scena, sono una scelta stilistica pagante solo quando alla macchina c'è un occhio non incline al manierismo da piccolo schermo, e 'dietro' una sceneggiatura come si deve. Altrimenti, siamo alla noia. O, peggio, allo svelamento del trucco: lo spettatore, semplicemente, non ci sta più a credere alla storiella, e la vede come, appunto, un film di genere. Che, a meno che non stiamo parlando di straniamento brechtiano, è proprio il peggio che possa capitare a un film, si ammetterà.

Il soggetto conta poco: quello che serve è la messa in scena (qui affidata a Mario Giordano, autore del romanzo da cui si è partiti, Black Box, e rivista, evidentemente non abbastanza, da un professionista americano, Don Bohlinger). Lo spettatore, mai come nei film claustrofobici, è disposto generosamente alla sospensione della incredulità: lo spazio ridotto (la prigione, un sommergibile, una stanza chiusa e assediata…) evoca paure sedimentate nell'inconscio, toglie l'aria, dispone alla partecipazione e all'identificazione. In un film dello scorso anno, The Hole di Nick Hamm, 2001, un fetido buco in un bosco in cui per un gioco abbastanza perverso alcuni studenti si erano ficcati senza riuscire a venirne fuori lasciava, effettivamente, con il fiato sospeso.

Qui il punto di partenza è debole (ma, tanto per dire, quasi tutti i film di Hitchcock non hanno forse un incipit volutamente inverosimile?). Ma attiene al reale: si tratta di una drammatizzazione del test meglio noto come Stanford Prison Experiment, 1971, che vedeva alcuni studenti californiani imprigionati senza spiegazioni, per studiarne le reazioni. Qui invece un tassista ex reporter (Moritz Bleibtreu) si offre volontario per un poco chiaro esperimento, della durata di due settimane. Accompagnamo così il giovanotto (che si è munito di un paio d'occhiali che 007 se li sogna, con incorporata telecamera) alla sede della Facoltà di Medicina dell'Università locale (siamo in Germania), dove l'esperimento si svolgerà. Un professore-psicologo (involontaria parodia degli scienziati pazzi del cinema), una dottoressa e un assistente spiegano al variopinto campionario di venti volontari che per due settimane si troveranno in situazioni estreme: alcuni verranno reclusi in una prigione fedelmente ricostruita e monitorata (all'Università!), e gli altri saranno le guardie incaricate di sorvegliarli. Tutto qui. Alla fine, un assegno e buonasera a tutti.



La sera prima però il tassista ha sbattuto contro una macchina, guidata da una ragazza misteriosa che si è portato subito a letto, e che ora lo cerca e alla fine lo troverà. È la storia parallela, infrazione all'unità aristotelica attraverso qualche flash-back, ma anche all'intelligenza. Sorpresi di come in Germania si risolvano le cose con le investitrici che ti hanno sfondato la Mercedes, seguiamo i fatti. Che ovviamente degenerano: le guardie si immedesimano nel ruolo, i reclusi si ribellano, i repressi e i latenti omosessuali (ovviamente biondi) si trasformano in nazisti tout-court, le personalità dominanti emergono, e giù botte da orbi. Si capisce che tutto è una metafora molto accademica dell'universo concentrazionario del nazismo, ma questo è il punto: che si capisce. Ignari, nonostante i monitor, della baraonda che hanno innescato, i tre snaturati docenti si concedono tranquille pause pranzo; di là, intanto, ne succedono di tutti i colori.

Detta così, la cosa sembra ridicola. Nel film è quasi peggio. Messo alle strette, il regista sfrutta gli occhiali del reporter per riprese in soggettiva bianco-nero (come nel sopravvalutato The Blair Witch Project), ma è l'unica risorsa - e fra l'altro dimenticandosi una regola fondamentale del gioco: che l'assunto può essere inverosimile, ma dopo la credibilità deve essere assoluta, e la gratuità non è ammessa: si legga l'intervista di François Truffaut a Hitchcock e poi se ne riparla. Per dire: a chi sta trasmettendo la telecamera jamesbondesca? e perché chi riceve non interviene a fermare il massacro? e se non trasmette, a che serve, variazioni di stile a parte? Si vedono un paio di morti, una mezza tortura (citazione dalle Iene di cui sopra: ma lì la violenza aveva un climax intollerabile, qui solo fastidioso), e il colpo di mano delle guardie, che acchiappano perfino l'assistente e la dottoressa.

Poteva mancare la violenza sessuale? Infatti non manca, almeno nelle intenzioni del violentatore, sì da permettere alla signora - nel cast solo per questa scena - di capire (era ora) la follia dell'esperimento, tirare un paio di pedate nelle parti basse del bruto, lasciar da parte la psicologia e mettersi a menare. Inevitabile il prevalere dei buoni, e fine dell'esperimento. I docenti andranno in galera (il professore, che si è beccato un colpo di scacciacani in un occhio, resterà orbo: onestamente, era il minimo), e per i sopravvissuti si presume che non ci sarà neanche il rimborso spese.

La morale? Mai fidarsi degli accademici (e tanto meno degli accademismi). Nove volte su dieci, danno solo fregature.



The experiment
cast cast & credits
 






 
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