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La decadenza alla fine dell'impero

di Gianni Cicali
  M. Barney in Cremaster 3
Data di pubblicazione su web 01/01/2002  
Non siamo alle tartarughe incrostate di pietre preziose di J.-K. Huysmans, ma a qualcosa di più strutturalmente decadente: ai 'rantoli patinati' della fine di un impero, quello dell'arte americana (e non solo), sia essa concettuale, minimalista, postmoderna e quante altre sigle e siglette si vogliano adoperare per evocare, sostanzialmente, il nulla.


Matthew Barney e Aimee Mullins
Matthew Barney e Aimee Mullins

Preceduto da un'abile campagna di stampa, incensato da articoli su importanti testate quotidiane o periodiche, è giunto in Italia (al teatro Goldoni di Firenze, evento speciale del 65° Maggio Musicale Fiorentino) Cremaster 3 di Matthew Barney, artista californiano, nato nel 1967 a S. Francisco, laureato a Yale, corpo da decatleta da lui utilizzato con inutile generosità nel suo film.


Richard Serra,
Richard Serra, "l'architetto" Hiram Abiff

Prodotto da Barney e da Barbara Gladstone (una delle maggiori galleriste di New York), e presentato in prima mondiale dal Guggenheim Museum nel lussuoso Ziegfield Theatre di Manhattan, Cremaster 3 (il cremaster è un muscolo dei testicoli) è l'episodio centrale di una 'saga' in 5 'capitoli' di cui i numeri 1, 2, 4 e 5 sono stati girati in precedenza. Il terzo è il più lungo, 'biblicamente' lungo: 182 minuti, che in questo torrido giugno paiono giorni. La 'storia', anzi l'orgia paradiegetico-simbolica è ambientata nel Chrysler Building (progettato da William Van Allen nel 1928/30). Nel film una loggia massonica costruisce l'edificio, simbolo dello splendore industriale americano e capolavoro dell'Art déco. L'architetto è niente meno che il leggendario progettista del tempio di Salomone, l'egiziano Hiram Abiff, interpretato dallo scultore Richard Serra.

Nel grattacielo, 'affollato' di simboli della libera muratoria, un apprendista massone (Matthew Barney) tenta di sabotare la costruzione. Poi, dopo un allucinante intervento chirurgico che lo tramuterà in uno scozzese con tartan e copricapo rosa, l'apprendista eseguirà una scalata iniziatica della spirale di Wright del Guggenheim Museum, dove troviamo gruppi di metallari e rappers, ballerine in stile musical Berkley e una modella priva di gambe con delle protesi in plexiglass (la campionessa delle Olimpiadi per disabili Aimee Mullins). Questa la 'trama', se così vogliamo definirla, che si apre e si chiude nel mare del Nord dove si svolge uno stralunato mito nordico. Tralasciamo le numerose deviazioni e complicazioni di questo plot non-narrativo.

Il film, assolutamente incomprensibile, aspira alla creazione di una sorta di epica americana, con finale irlandese prima, e celtico poi. Procede per lunghe sequenze, montaggi incrociati al limite del banale, e, soprattutto, con un'insopportabile ripetitività senza senso, se non quello 'facilone' ma coperto dall'allure dell'intellettualismo concettuale.

L'unico aspetto interessante di Cremaster 3 non risiede nella supposta raffinatezza decadente delle immagini e delle ambientazioni Art déco, o nella parodia di certi generi cinematografici, ma nella tecnica di ripresa. Peter Strietmann (fotografia) ha girato in digitale. Questo film rappresenta un eccellente esempio della potenza dell'alta definizione, oltre ad essere il primo 24P (standard per le immagini digitali) edito interamente on the desktop. Il risultato è sicuramente eccellente per la resa visiva.
(vd. più dettagli sulla ripresa e il montaggio digitali di Cremaster 3 - in inglese)

Viene da chiedersi se tutto questo dispendio di mezzi abbia prodotto qualcosa di 'bello'. La risposta è no. Matthew Barney coinvolge una moltitudine di persone, accozza insieme strumenti chirurgici, simboli massonici, effetti speciali. Costo: 2-3 milioni di dollari. Risultato: la pretenziosità della decadenza. Si pensi, invece, allo sgangheratissimo, scandaloso e 'oltraggioso' Lonesome cowboys di Andy Warhol (1967), al limite tra il porno e la rivoluzione drammaturgica, in cui si mischiavano, seguendo un non-copione, contemporaneità, stilemi western, Shakespeare ed erotismo da suburra, e senza una sola inquadratura girata come si deve. Il risultato fu qualcosa di assolutamente rivoluzionario e iconoclasta più degli stessi film di Carmelo Bene. Per non dire di tutto quello che ha inventato, in anni più recenti, David Lynch, che aleggia, mal citato, in Cremaster.

New York sembra molto cambiata, già da prima di September 11th. Forse non vi abiteranno più dei Warhol e ci dovremo 'rassegnare' al vitalismo decatletico-intellettualistico, e ad alto budget, dei Barney di turno, complici istituzioni culturali paludate ma oramai sterili.

Cremaster 3
cast cast & credits
 



Il poster di Cremaster 3 con il Chrysler Building
Il poster di Cremaster 3 con il Chrysler Building


 


 

Matthew Barney (a sin. di spalle) e Peter Strietmann (alla camera) sul set di Cremaster 3
Matthew Barney (a sin. di spalle) e Peter Strietmann (alla camera) sul set di Cremaster 3

 


 

Barney e Strietmann
Barney e Strietmann

 


 

Peter Strietmann durante le riprese nel Mare del nord. La camera è una Sony F900 CineAlta
Peter Strietmann durante le riprese nel Mare del nord. La camera è una Sony F900 CineAlta
 


 

Peter Strietmann controlla sullo schermo della camera una ripresa.
Peter Strietmann controlla sullo schermo della camera una ripresa.


 

 
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