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La realtà fa paura

di Fabio Tasso
  Fortezza Bastiani
Data di pubblicazione su web 06/11/2002  
Fortezza Bastiani è il nome di un appartamento che cinque studenti universitari condividono nel centro di Bologna. Il nome, ispirato al celebre romanzo di Dino Buzzati Il deserto dei Tartari, ne individua immediatamente la caratteristica peculiare: un rifugio, una protezione da un pericolo proveniente dall'esterno del quale non si conosce l'origine e il nome, né si sa quando arriverà.

Con una sceneggiatura segnalata al Premio Solinas nel 1999, Fortezza Bastiani registra con lucidità quella che si potrebbe definire una "sospensione esistenziale": tutti i personaggi (in misura maggiore o minore, ma è il loro denominatore comune) vivono in una condizione evanescente, indecisi nelle loro scelte e continuamente sballottati tra un esame e l'altro. È un vivere alla giornata, chiudendosi gli occhi per non guardare troppo al di là nel futuro; una situazione che ben rappresenta quella della stragrande maggioranza degli studenti universitari. La "Fortezza Bastiani" è il loro riparo, ma cela il rischio, e in questo la linea di demarcazione è davvero sottile, di diventare una prigione dalla quale non si vuole più uscire, un non-luogo che procrastina a un tempo indefinito, ma comunque lontano, l'ingresso nel mondo del lavoro, degli adulti, delle responsabilità "vere".



La realtà esterna, in ogni caso, non sembra offrire alternative apprezzabili: la città è chiusa, bigotta, infestata da proprietari di appartamenti strozzini che speculano su affitti indecenti; i lavori temporanei sono faticosi e sottopagati (uno dei ragazzi finisce in una discarica); l'Università, infine, è un mostro tentacolare che soffoca gli studenti e inghiotte ogni cosa in una burocrazia alienante, provoca la morte dei suoi docenti migliori e spinge gli studenti stessi a scagliarsi contro i professori, immaginando di sparare loro addosso o limitandosi a insultarli (quasi irresistibile, in questo senso, la scena dell'esame, che ricalca però in maniera eccessiva il celebre esame su Apocalypse Now dei fumetti di Pazienza, poi ripreso in Paz!).

Il film segue le vicende dei cinque protagonisti cercando di tracciare un racconto corale e non disdegnando le divagazioni umoristiche. I due registi, esordienti al cinema ma con una notevole ed evidente esperienza teatrale, dirigono con disinvoltura, accentuando il conflitto dei personaggi con la realtà e insieme la difficoltà di evadere da una stagnazione intellettuale e fisica.

Eppure, ancora una volta, Fortezza Bastiani dimostra esemplarmente la difficoltà (o, forse, l'impossibilità) di realizzare una storia di questo tipo (sui giovani e sugli studenti, ma non necessariamente generazionale in senso stretto) senza cadere nella trappola dei luoghi comuni: studenti ormai alle soglie dei trent'anni senza uno scopo, rifiuto cronico delle responsabilità degli adulti, incapacità congenita di concludere gli studi... Sembra, a tratti, di rivedere I laureati di Pieraccioni; ma se il comico toscano ricorreva spesso e volentieri al "macchiettismo" per stigmatizzare la "sindrome di Peter Pan" che affliggeva i trentenni toscani, Mellara e Rossi puntano più in alto, abbozzando un tentativo, peraltro non pienamente riuscito, di analisi sociologica della realtà studentesca bolognese (o forse, addirittura, di una realtà studentesca tout-court).

Ma la storia pare troppo esile per offrire davvero uno spaccato credibile della Bologna degli studenti; dopo un inizio convincente, che coincide con la presentazione dei personaggi e della loro "Fortezza", si affloscia su se stessa, evidenziando una netta carenza nell'impianto narrativo. I film latita anche dal punto di vista drammatico, difettando di scene madri e di un vero conflitto, e procede placidamente verso una conclusione che lascia quasi tutti i personaggi irrisolti; un finale aperto (molto simile, nel suo mancato scioglimento, a quello di un altro film sui "giovani", Santa Maradona di Marco Ponti) che non chiude le storie ma neppure apre successivi spiragli d'interpretazione, e che sembra, soprattutto, dimostrare l'incapacità (la non-volontà?) di dare un senso a una storia discontinua.


Fortezza Bastiani
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