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Un gradito ritorno

di Elisabetta Torselli
  Le nozze di Figaro
Data di pubblicazione su web 20/11/2003  
Figaro e il suo padrone, Almaviva e il suo servo; la celebre trilogia teatrale di Beaumarchais (Il barbiere di Siviglia - Il matrimonio di Figaro da cui Mozart e Lorenzo Da Ponte trassero le Nozze di Figaro - La madre colpevole) ci rappresenta un confronto in tre riprese, ma è tutta la vita dei due personaggi ad esserne compendiata: giovanotti e complici nell'impresa amorosa, poi adulti e rivali nell'amore come nel conflitto di classe fra nobiltà e Terzo Stato, poi anziani, sempre fra contrasti, equivoci, incomprensioni.

Perché, nella storia dei rapporti letterari fra un servo e un padrone, il Figaro di Beaumarchais non è certo Sancho Panza, e neanche il savio, mite Jacques, il Fatalista di Diderot, senza il cui dimesso ma fantasioso filosofare il padrone non saprebbe come impiegare il proprio cervello; è l'incarnazione del Terzo Stato orgoglioso di esserlo, e anche un po' dell'autore, dalla vita quanto mai avventurosa e accidentata (carcerazioni, processi, e, fra le mille sue imprese, quella concernente una partita di armi da inviare ai ribelli americani, che la Francia proteggeva in odio all'Inghilterra).

Le nozze di Figaro



Pochi anni dopo il successo di scandalo del Mariage de Figaro in Francia (1783), è tipico della sottile strategia culturale dell'imperatore Asburgo Giuseppe II l'autorizzare nel suo teatro, a Vienna, un'opera da quella pièce, e al tempo stesso attenuarne l'aggressività (già con il fatto stesso di trasformarla in opera), ma non smussarne del tutto l'acuta punta; in quest'equilibrio il librettista, il geniale letterato- avventuriero Lorenzo da Ponte, è maestro. Ma è la musica di Mozart a riscrivere la vicenda di Beaumarchais a modo suo, senza che si spenga la pungente satira sociale legata alla contrapposizione Conte - Figaro (non per niente l'incipit più popolare dell'opera è l'ironico "Se vuol ballare, signor contino"); ma anche in un'altra chiave, quella del paradiso amoroso perduto che tutti i personaggi cercano e che per tutti è così difficile da trovare; e alla fine, a differenza che in Beaumarchais, si può sospettare che il Lieto Fine mozartiano (come poi anche nel Don Giovanni e in Così fan tutte) sia, per usare la bella formula di Maynard Solomon, "viziato da un eccesso di conoscenza".

Ecco dunque i rimpianti della Contessa (nello spettacolo di cui riferiamo, la regia le inventa una figlioletta abbastanza cresciuta, che la viene a salutare accompagnata dalla governante secondo l'usanza della gente bennata, ed è come se dai tempi del Barbiere fossero passati almeno dieci anni). Ecco l'inquietudine commovente di Cherubino, che però forse è Don Giovanni a quindici anni (nella Madre colpevole, Beaumarchais ne avrebbe fatto un diverso ritratto, postumo, rivelato dalla Contessa nella sua confessione: quello di un eroe romantico che vive un amore colpevole e poi muore; cosa da cui molti registi delle Nozze hanno tratto motivo per ricamare anche su questa corrente di desiderio, di attrazione; ma la Madre colpevole è di molti anni posteriore); i sospetti di Figaro; i desideri del Conte, che nella musica di Mozart (pensiamo al duetto con Susanna "Crudel, perché finora"), a dispetto di Beaumarchais, non è più solo un tracotante aristocratico che cerca di ripristinare clandestinamente lo ius primae noctis; soprattutto il canto d'amore di Susanna, "Giunse alfin il momento... Deh vieni, non tardar", che è cantato nella meccanica della vicenda per far stizzire Figaro, ma che nella musica di Mozart è cantato davvero da Susanna con l'abbandono della sposa all'amore e alla notte (alla "notturna pace", evocando la quale Mozart fa scendere la voce del soprano ad una nota bassa misteriosa come le note basse di un flauto).


 

Le nozze di Figaro

Ecco un'altra via per rendere onore al Terzo Stato: le Nozze di Figaro è polifonia di caratteri, ma Susanna resta il fulcro. Ciò che Mozart e Da Ponte operarono con Susanna fu la nobilitazione definitiva, dopo una vicenda teatrale secolare, della servetta, della soubrette, al ruolo realmente più importante, a primadonna di fatto: non per niente a Vienna la primadonna della compagnia, Nancy Storace, cantò Susanna, non la Contessa, anche se è la Contessa ad avere due arie grandi, importanti.

Si sono riviste al Comunale le Nozze di Figaro di Zubin Mehta e Jonathan Miller, nate alla Pergola per il Maggio Musicale Fiorentino del 1992. L'impressione è che la messinscena in sè - per la musica, purtroppo, il discorso è un altro - non ci perda poi tanto quanto si temeva, a spostarsi al teatrone di corso Italia dal piccolo, settecentesco palcoscenico della Pergola, a perfetta misura mozartiana.
Questa resta la regia mozartiana più bella di Jonathan Miller a Firenze, e si capisce perfettamente nel corso dello spettacolo che non ci troviamo davanti la solita "ripresa", tutt'altro; Miller l'ha evidentemente ridisegnata su questo spazio e sulle caratteristiche dei nuovi interpreti. Nella scenografia di Peter J. Davison (con i bei costumi di Sue Blane), ispirata ad un fine Settecento pulito e luminoso, qui più ariosa magione feudale che salotto, il tocco di Miller, il suo indovinato equilibrio fra naturalezza e costruzione, la sua concezione ariosa ed elegante - nonostante l'apparenza felice di spontaneità - dell'arte della commedia, non ha meno efficacia al Comunale che nel 1992 alla Pergola, anzi in certi momenti c'è un che di più ardito, di più libero e geniale.

Certo c'è qualche cedimento o allargamento rispetto a quella che per molti resta la tradizionale misura mozartiana (i tic in cui si sfoga nel primo atto la rissosità di Marcellina, gli espliciti palpeggiamenti del Conte a danno di Susanna), ma si è visto ben altro; e il terzo atto in particolare ci è sembrato, come nel '92, un vero capolavoro di regia d'opera; con il duettino del biglietto Contessa - Susanna ("Canzonetta sull'aria... Che soave zeffiretto") che dà ragione alla seducente musica di Mozart e ci mostra le due donne assorte - a dispetto delle ragione e della meccanica dell'intrigo - in una soave rêverie amorosa; con lo strisciare delle tensioni e delle trappole della vicenda sullo sfondo delle danze campagnole, il tutto condito dagli omaggi un po' riottosi del Terzo Stato, anzi Quarto Stato contadinesco. Abbiamo visto una regia trasparente, che lascia respirare la musica di Mozart e ne rispetta i ritmi, la geometria delle passioni che si esprime nei famosi concertati.

Le nozze di Figaro

L'aver ritrovato questo spettacolo bello non può impedirci di constatare che la componente musicale è meno riuscita che nel '92. Non certo per demerito di Zubin Mehta, che anzi definiva dal podio il Mozart che oramai riconosciamo come suo dopo tante prove fiorentine (ha fatto a Firenze, oltre alla "trilogia italiana" Mozart - Da Ponte Don Giovanni - Così fan tutte - Nozze di Figaro, il Flauto Magico e il Ratto dal Serraglio).

E' un Mozart serrato nei ritmi (fino alla punta di piacevole aggressività di certi concertati), ma tutt'altro che secco, anzi nutrito e seducente; un'immagine mozartiana, questa di Mehta, in bilico tra memorie di una classica maniera mozartiana viennese (quella della sua formazione di direttore), le formulazioni più asciutte ed elettriche che vanno di moda oggi, la pienezza di sonorità che comunque gli piace. Purtroppo, però, ciò che pativa molto dallo spostamento al Comunale era la vocalità, o meglio la minor evidenza della dizione, che sacrificava lo splendido libretto di Da Ponte ben più che alla Pergola. Certo da questo punto di vista come da quello di una risultanza fluida, facile ed elegante del canto, fare Mozart al Comunale è un grosso rischio. Nel complesso, gli incanti della partitura orchestrale (pensiamo a come venivano chiamati alla ribalta gli strumentini nell'arietta di Cherubino "Voi che sapete che cos'è amor") finivano così per scavalcare quelli delle voci di un cast che rispondeva più che bene alle sollecitazioni registiche, ma era meno significativo sul piano vocale.

La simpatica e spiritosa Susanna di Patrizia Ciofi cantava bene, ma senza incantare; Giorgio Surian riusciva un Figaro un po' statuario e indefinito, e casomai era il Conte di Lucio Gallo a scendere dal suo piedistallo feudale e a risultare più interessante, in uno strano capovolgimento della prospettiva delineata da Mozart e Da Ponte sulle piste di Beaumarchais; nelle due incantevoli arie, Porgi amor e Dove sono i bei momenti, Eteri Gvazava era una Contessa anche troppo rassegnata, vocalmente un po' fragile; la pur brava Marina Comparato non riusciva a far dimenticare il vibrante Cherubino di Monica Bacelli nel '92. Gli altri, ben in parte, erano Giovanna Donadini (Marcellina), Eduardo Chama (Bartolo), Sergio Bertocchi (Basilio), Carlo Bosi (Curzio), Gianluca Ricci (Antonio).

E poi: della lunghezza delle Nozze già si scusava a Vienna nel 1786 Lorenzo Da Ponte nella prefazione al libretto ("l'opera non sarà delle più corte che si sieno esposte sul nostro teatro"), ma questo non sembra giustificare che delle arie dei comprimari siano sopravvissute solo quelle di Bartolo e Barbarina: ci dispiace in particolare l'eliminazione dell'aria di Marcellina, la cui malinconica perorazione in difesa delle donne, secondo Diritto e Natura, esprime con tanta grazia una vulgata illuminista e sentimentale in cui la cultura e la sensibilità di Mozart e Da Ponte si danno la mano. Molto bene orchestra e coro (dai cui ranghi venivano anche le due contadine della "scena degli omaggi": Laura Lensi e Gabriella Cecchi), successo ottimo.

Le nozze di Figaro
commedia per musica in quattro atti


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