drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Grand-Opéra e piccoli teatri

di Elisabetta Torselli
  Aida
Data di pubblicazione su web 06/10/2003  
Sta girando grazie al circuito Eti, ed è approdata anche alla Pergola, l'edizione dell'Aida con le scene e la regia di Franco Zeffirelli (già ideatore assieme alla De Nobili di una delle messinscene novecentesche più celebrate dell'opera) nata in circostanze assai particolari, il 27 gennaio 2001, nel piccolissimo Teatro Verdi di Busseto, aprendo i festeggiamenti dell'anno verdiano con quella che suonò come una sfida particolarmente attraente sul piano della messinscena: ficcare un Grand-Opéra verdiano in un teatro carico di memorie del maestro però piccolo, anzi piccolissimo, come quello di Busseto (sette metri di boccascena); ma lasciandolo Grand-Opéra, con tutta la vocazione alla visualità e al décor grandioso che è proprio del genere, anzi abbracciando senza inibizioni un'idea tradizionale, o, se si vuole, nostalgica, della messinscena operistica.


aida


A Firenze, un'Aida con tutti i crismi della tradizione la si era vista peraltro abbastanza di recente, in coda al Maggio 1996, con la messinscena di Raffaele Del Savio per Zubin Mehta, a fondali dipinti, ispirata alla pittura pompière; si trattava, piuttosto che di "tradizione", di un recupero, filtrato modernamente più che esplicitamente nostalgico; anti-kitsch nel suo complesso e con il tocco modernista dei ballabili affidati alle geometrie coreografiche di un solo danzatore solista, Daniel Ezralow. Tornando all'Aida mignonne di Zeffirelli, l'operazione fu considerata con molta benevolenza dalla critica, anche perché si agganciava ad una selezione di giovani voci verdiane (la materia prima di più difficile reperimento per i teatri di tutto il mondo, in questi tempi) che avrebbero potuto usufruire del grande Carlo Bergonzi, uno dei migliori Radames del Novecento, in qualità di autorevole dispensatore di consigli, e di un'orchestra di decorosissimo rango professionale com'è l'orchestra regionale dell'Emilia Romagna, la "Arturo Toscanini".


aida


Si lodò allora soprattutto la soluzione elegante adottata da Zeffirelli per risolvere il monumentale Trionfo del secondo atto. Trionfo che viene lasciato all'immaginazione: ci si finge infatti alle spalle della terrazza regale da dove la corte ammira la sfilata che noi non vediamo, componendo un elegante tableau da pittura storico-archeologica ottocentesca. È, in effetti, anche nel diverso spazio della Pergola, il tocco di genio di questa Aida (ma allora, immaginazione per immaginazione, perché tagliare il celebre ballabile? potevamo fare lo sforzo di immaginarci anche quello, e lasciare all'orchestra la soddisfazione di suonarlo). Ci sono piaciute molto anche alcune reinterpretazioni in una chiave visuale di fantasia ricca ma delicata dell'egittomania ottocentesca: soprattutto il bel bassorilievo verdeazzurro con uccelli, fiori di loto, basilischi, navicelle, cacciatori, che campeggia sullo sfondo degli appartamenti di Amneris nel secondo atto.


Ciò che vediamo è l'Aida di sempre, con alte statue (il dio-sciacallo a sinistra, la dea-gatta a destra del proscenio), geroglifici, flabelli e figuranti, però, nelle invenzioni migliori, suggerendo la consueta grandiosità come di scorcio: è qui, nello sfruttamento dello spazio delle scene di massa, che si rivela l'abilità e l'esperienza del celebre regista fiorentino. Un atto d'amore per un'idea tradizionale della messinscena operistica, non senza qualche tocco da kolossal, un'antichità voluttuosamente imprecisa alla Cecil B. De Mille, come quelle sacerdotesse incartate in oro e anzi addirittura dipinte d'oro - ma qui più che altro veniva in mente la Goldfinger Girl di Zero Zero Sette - che nella scena del tempio di Vulcano a Menfi dipanano una coreografia da dea dalle molte braccia, più Kalì che Iside a dire il vero.


Dipende dai gusti: delle tradizioni ci si può anche stufare, e come ci si stufa di vedere sempre in Cavalleria Rusticana il coro maschile che aggancia i pollici alle bretelle, lo stesso può succedere se Amneris incrocia gli avambracci sugli omeri nella posizione egiziana di prammatica (l'altra famosa posizione egiziana di prammatica, le braccia a triplo angolo retto ascella - gomito - polso, ce la mostrano le già menzionate sacerdotesse quando alla fine si affiancano ai morenti Radames e Aida); e crediamo che nessuna tradizione di messinscena operistica di alto rango giustifichi il solito plateale sbracciarsi dei cantanti in luogo di un lavoro sensato di costruzione dei personaggi. Chi scrive ha fatto in tempo a vedere nell'infanzia messinscene che oggi sono certamente ricordate come "tradizionali", e può testimonare che non in tutte ci si muoveva così. Eric Hobsbawm, da quel grande storico che è, ci insegna che la Tradizione è un'invenzione: una selezione di elementi evidenziati dal magma vario e cangiante della consuetudine... in certi vecchi spettacoli dominava l'idea che per certe cose ci volessero luci abbaglianti, e possiamo ricordare Aide in cui nel Trionfo ci sarebbero voluti gli occhiali da sole per resistere allo splendore abbacinante delle dorature; in questa, per fortuna, non era così e le luci erano calibrate con più eleganza.


Ma per chi aveva magari sperato in un'Aida diversa l'impressione è forse quella di un'occasione mancata. Ci rendiamo conto che è arduo pretendere da Franco Zeffirelli un'Aida intimista; ma nella componente musicale era proprio quello che si doveva puntare a fare, riscattando il capolavoro verdiano dallo stereotipo trionfale, facendoci ascoltare quella che vorremmo chiamare l'Aida di Aida: l'Aida che nel percorso drammatico fondato sul conflitto tra desiderio e ethos rappresenta un culmine sofisticato (anche per l'avvenuta assimilazione e superamento da parte di Verdi delle novità wagneriane) in cui la lacerazione dell'eroina (un'eroina dal cui esotismo Verdi trae immenso profitto per ombreggiature misteriose) è tratteggiata da Verdi in tono musicalmente mosso, ardito, indagatore, nei due grandi monologhi di Aida (Ritorna vincitor!... E dal mio labbro uscì l'empia parola!; O cieli azzurri) e soprattutto nella magistrale invenzione e costruzione del duetto con il padre Amonasro. Aida è un'opera archeologico-esotica, è il Grand-Opéra commissionato dal Khedivé d'Egitto per l'apertura del Canale di Suez; ma è anche la parola verdiana definitiva sul tema del conflitto padri-figli, così centrale nella sua drammaturgia ma destinato, dopo la lunga pausa operistica seguita ad Aida, ad essere radiato dai due ultimi capolavori.


Questa Aida a noi cara l'abbiamo ascoltata nel primo dei due giovani cast proposti grazie alla protagonista, il giovane soprano cinese He Hui, Aida intensa ed emozionante che ha realmente il fascino vocale, la morbidezza, le ombre (insolitamente belle e seducenti infatti le note basse), la presenza del personaggio (tanto più che la consueta tinta marrone sui suoi tratti orientali produceva un esotismo insolito ma più vero, da ragazza di Gauguin); non ha mancato, vocalmente e sul piano della recitazione, nessuna delle grandi occasioni, riuscendo convincentissima in particolare nel grande dialogo con il padre Amonasro. Era valente il coro, istruito da Marco Faelli, e c'era il buon Ramfis di Enrico Giuseppe Iori (citiamo anche Stefano Pisani nel breve ma importante arioso del Messaggero): ma gli altri ruoli principali del primo cast (Walter Fraccaro, Radames, Tiziana Carraro, Amneris, Giuseppe Garra, Amonasro) restavano un bel po' sotto, soprattutto, sembrava, estranei a quella rilettura "dall'interno" e psicologica che poteva costituire la reale valenza dell'operazione. Né li aiutava la direzione solida ma alquanto legnosa, alla guida dell'Orchestra Toscanini, di Massimiliano Stefanelli, il cui maggior pregio consisteva in una praticità e robustezza di conduzione (del resto non infallibile) che aveva molto di "tradizionale": la pesantezza routinière con cui si allargava così prevedibilmente il ritmo di tante clausole musicali conclusive rappresenta appunto il tipo di tradizione verdiana contro cui hanno reagito Schippers, Muti, Abbado e C.


E' del resto inevitabile che in una partitura come Aida, con la sua ricchezza di colori, un'orchestra a ranghi ridotti per serrarsi in una buca piccola, con così pochi archi, si squilibri verso una sonorità che anche con le migliori e più delicate delle intenzioni perderà gli sfumati e suonerà un po' dura e bandistica (né ci accontentiamo della replica "ma nell'Ottocento si facevano anche le opere grandi nei teatri piccoli e si faceva così"). Si conferma con ciò che la figura chiave per la rilettura vera - intendiamo dire condotta dall'interno della scrittura - di un'opera non è il regista, è il direttore. Successo comunque caloroso, con vivi consensi soprattutto alla protagonista, e un tributo d'affetto al carisma che sfida il tempo di Carla Fracci, protagonista dell'unico ballabile (coreografato da Luc Bouy) sopravvissuto ai tagli, quello della danza sacra nel tempio di Vulcano.




Aida
opera in quattro atti


cast cast & credits
 
trama trama















 

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013