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La finestra-cinema

di Marco Luceri
  La finestra di fronte
Data di pubblicazione su web 19/03/2003  
Proseguendo lungo la strada iniziata precedentemente con Harem suarè, Il bagno turco e ancor di più con Le fate ignoranti, il regista italo-turco Ferzan Ozpetek, ci parla nuovamente di amore, di sentimenti contrastanti, senza peraltro quasi mai cadere nella trappola del facile sentimentalismo.

Questo gli riesce soprattutto grazie a un procedimento, che pervade tutto il film, di sottrazione. A più livelli (fabula, caratterizzazione dei personaggi, scelte registiche) infatti Ozpetek gioca con lo spettatore una partita di sguardi difficilmente comprensibile se non vista alla luce della sua volontà di conservare comunque un alone di mistero e di sospensione.



Il film ha quasi la costruzione di un noir e, come tutti i noir che si rispettino, prosegue attraverso lo svelamento di tracce e di identità imprecise. I legami che si instaurano un po' tra tutti i protagonisti di questa storia risentono di una volontà intrinseca e in parte anche inconsapevole degli stessi di non svelarsi più di tanto, anche dopo che le chiavi del "mistero" sono giunte a portata di mano.

A questo proposito (ed è sicuramente questa la vera forza del film) si notino le insistenze (a partire proprio dal titolo stesso) sulle zone liminari (anche di senso) come le finestre. Vediamo molto spesso, da spettatori, i personaggi che guardano di fronte a loro, attraverso un vetro (spesso in soggettiva). Vetri che separano ed uniscono, finestre aperte e chiuse come lo sono le vite ed i sentimenti di questi protagonisti anonimi. Finestre, sguardi sull'altro, che avvicinano ed allontanano nella consapevolezza di non poter mai, forse, raggiungere quella vita altra che è lì, a pochi metri, di fronte appunto, ma da cui si è separati da un confine che, più si cerca di scavalcare, tanto più appare come distanza incolmabile.

Non si perde, però, fino all'ultimo, la fatale attrazione, il desiderio più profondo di avventurarsi in quel mondo sconosciuto (molto convincente la ricostruzione di una Roma notturna, silenziosa, intima quasi, quanto paurosa): questo inconscio è qui rappresentato da Simone (Massimo Girotti nella sua ultima prova d'attore prima della scomparsa), un uomo anziano che ha perso la memoria e che vaga impaurito per le strade della capitale. Quando Giovanna (Giovanna Mezzogiorno) e Filippo (Filippo Nigro) decidono di aiutarlo e cercano di entrare in un mondo che a loro non appartiene, le loro grigie vite cominciano a muoversi, a rivelare volontà e desideri prima tristemente assopiti. Sarà chiaramente l'iniziale atteggiamento repulsivo di Giovanna ad innescare, con il proseguire del film, il crescere in lei di un sentimento opposto e la volontà di intrecciare nuovi legami.

Anche la recitazione di Girotti, qui nei panni di un eroe (?) debolissimo, fragilissimo, prosegue fatta di silenzi, di attese, di sguardi nel vuoto, di paure improvvise, di mezzi, rari sorrisi; è anche uno stravolgimento dell'icona legata a questo attore (chi non ricorda la sua virulenta attrazione fisica in Ossessione o, ma minore, in Cronaca di un amore?), che ci appare debole, sconfitto, con un dramma interiore pesantemente irrisolto. E' anche la figura a cui si lega la doppia dimensione temporale del film, quella odierna e quella, ancora più tragica, degli avvenimenti che precedettero e seguirono la notte del 16 ottobre 1943, quando i nazisti rastrellarono il ghetto di Roma e ne deportarono gli abitanti.

Se la memoria qui, che torna e scompare, è un'altra zona di confine, allora il cerchio si chiude. Dal passato spunterà fuori una misteriosa, disperata, commovente lettera d'amore, il cui testo, in un silenzioso, autunnale parco di Monteverde, rivelerà gli stessi sentimenti di amore e rinuncia che (s)legano Giovanna al tenebroso ed affascinante giovane interpretato da un insolito Raul Bova. Amore e rinuncia sono in questo film due sentimenti omologhi, assolutamente irrinunciabili, che creano un sorta di vuoto in cui tutti e tre i protagonisti si trovano: come il vecchio aveva rinunciato al suo amore diverso (il tema dell'omosessualità è sempre presente nel cinema di Ozpetek), anche i due giovani non riusciranno a consumare una notte d'amore. Potranno solo continuare a guardare oltre le loro finestre, o almeno a tentare di farlo, per cercare di restare profondamente uniti e, paradossalmente, per non cedere ad uno stravolgimento delle loro vite che è agognato e mai realizzato.

A sollevare il tono dimesso di tutta l'opera contribuiscono gli interventi ironici e grotteschi legati alla grassona, amica di Giovanna, interpretata da Serra Yilmaz, agli ingenui bambini, al marito Filippo e a tutto un piccolo stuolo di personaggi appena abbozzati, ma mai definiti. E, naturalmente alle grandi, sontuosissime tavole imbandite a dolci e leccornie che la cinepresa di Ozpetek offre ai nostri occhi.

Alla fine su tutto, però, rimane, forte, quel senso di rarefazione e di malinconia che non può essere stemperato se non (come succede nell'ultima scena) nella dimensione del ricordo (la vecchia fontana ormai coperta dagli sterpi, dove fu lasciata la lettera) e dello sguardo (forte, in macchina) finale degli occhi di Giovanna. Forse, un'altra finestra. Ancora.

 


La finestra di fronte
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