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Sistema Hollywood, pianeta Solaris

di Siro Ferrone
  Solaris
Data di pubblicazione su web 29/03/2003  
Regista al debutto con Confessions of a dangerous man in concorso al Festival di Berlino, l'attore americano George Clooney, ha partecipato ufficialmente alla competizione tedesca anche come protagonista di Solaris: il primo film è prodotto dalla Miramax, il secondo dalla Twentieth Century Fox. Con Soderbergh Clooney ha anche fondato una casa di produzione, Section Eight. Avrebbe meritato un Orso d'oro all'iperattività.

Poiché gli americani sono molto bravi nelle strategie di mercato, se non in quelle militari, hanno pensato bene di aggiungere al film quello che i bottegai di casa nostra chiamano il "valore aggiunto". Siccome Clooney è decisamente un bell'uomo, hanno deciso di colpire il target (si parla di mercato cinematografico non di mercatini rionali all'aperto) con effetti speciali propri del loro maschio: mostrando continui primi piani del bel viso e qualche inquadrature del suo bel corpo nudo. Lasciando il nudo al nudo (qui colto in una sola anche se gradevole espressione), resta il viso. Anche questo bello e piacevole come si deve (ottimo per la réclame di sapone da barba, rasoi, deodoranti, ecc), lontano però dalla sapiente regia della serie televisiva ER che ne aveva nascosto la monotonia grazie alla geniale tecnica dei piani di ripresa, non oltrepassa il minimo di espressioni richieste per passare l'esame a una scuola di recitazione. Ottimo nel sorriso, discreto del dubbio, seducente nella sofferenza soprattutto se sudata, meno incisivo nella fase del dubbio e della perplessità interiore. A quest'ultima è stato chiamato con una certa urgenza da Soderbergh che ha avuto l'ardire di cimentarsi in un film ispirato al celebre romanzo di Stanislaw Lem che aveva già costituito il punto di partenza per l'omonimo film di Tarkowsky. Come è stato più volte detto da autore e produttore, la differenza rispetto al film del grande regista russo consiste nel fatto che quest'ultima opera è soprattutto una storia d'amore, anche se raccontata secondo modi che ricordano in parte altri film del genere science-fiction. Il protagonista è chiamato su una stazione spaziale per risolvere un mistero. Arrivato nella grande base semideserta si accorge che il vicino pianeta Solaris esercita un influsso straordinario che provoca morti e angosce suicide negli astronauti. Si scopre che quel pianeta ha il potere di dare carne e sangue e vita ai desideri e alle memorie degli uomini che si trovano a passare nelle sue vicinanze. Comincia così per il protagonista Clooney una dura storia. Accanto a lui prende corpo Rehya, la donna amata in passato e suicida per amore o disamore, interpretata dalla bella Natascha Mcelhone.

Clooney è posto di fronte al passato che ritorna, ed anche alla possibilità (o impossibilità) di modificarlo. Si intrecciano qui i temi del destino e del libero arbitrio, ma anche quello della memoria e del presente, in una successioni di strati che Tarkovski - purtroppo per Soderbergh - ci aveva fatto percepire con sottile finezza. Qui la fotografia prevale sull'interpretazione anche se sarebbe ingiusto e politicamente scorretto strabilire confronti fra il russo e l'americano. Roba d'altri tempi. Si può solo dire che lo yankee purtroppo non ce la fa, ci prova ma non ci arriva. E lo scavo interiore del passato diventa una variazione sul tema della luce e del colore, oltre che del montaggio, di fronte alla quale ci inchiniamo perché anche la tecnica ha diritto a i suoi dovuti riconoscimenti.

Il resto è silenzio. Il confronto involontario e impari con il grande Maestro russo pesa come un macigno. Qualcuno avrebbe dovuto avvertirlo. Torna a casa, Clooney.


Solaris
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