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Una regia modello

di Elisabetta Torselli
  clemenza di Tito
Data di pubblicazione su web 26/05/2003  
La polemica soprattutto romantica inchioda Pietro Trapassi detto Metastasio ad un'immagine riduttiva, di scarsa profondità e svenevolezza. Ma Metastasio non si può leggerlo e basta, senza fare i conti con la musica. Prendiamo proprio questa Clemenza di Tito. Al di là dell'omaggio obbligato, e, riconosciamolo pure, un po' ridicolo a virtù regali la cui pazienza non si stanca mai (non per niente questo dramma nato nel 1734 fu rispolverato a beneficio di Mozart, oramai morto Metastasio, dall'impresario Guardasoni, per l'incoronazione del nuovo imperatore Leopoldo d'Asburgo a re di Boemia), anche qui, quando trasforma fattacci come congiura e tradimento in nodi sentimentali morbidi e ambigui, Metastasio sembra calcolare, predisporre per la musica e le sue seduzioni, gli spazi che il suo teatro crea proprio mediante questo gioco di attenuazioni.


In questo caso la musica è di Mozart e il di più che ci mette è molto. Ma questo avviene proprio perché Mozart, per dir così, lavora su ciò che in Metastasio è interessante: su questi interstizi, terreni vuoti e fertili creati da ciò che in Metastasio è più o meno la regola, una sorta di placido esitare e rifluire all'indietro della marea del tragico, dell'incalzare dell'azione. Prendiamo per esempio la scena culminante con l'aria di Sesto Parto, ma tu, ben mio: ci troviamo di fronte alla tipica e stigmatizzata convenzione dell'opera per cui si dice che si parte e poi non si parte mai. Ecco però che Mozart tira fuori il suo modo di interpretarla, ed esprime nella musica la verità, e non la convenzione, di quella situazione, il dover agire in contrasto con il cuore: ciò che viene messo a fuoco è allora la seducente passività di quell'eroe della sottomissione amorosa che è Sesto, "Come ti piace imponi / regola i moti miei", "Farò quel che ti piace / quel che vorrai farò" !. Ma altrettanto interessante Vitellia, eroina legata a codici arcaici (far vendetta del padre uccidendo Tito, altrimenti la riparazione mediante legame di sangue, ossia nozze) la cui definizione serve a Metastasio proprio per illustrare per contrasto le razionali e 'moderne' virtù di Tito.
clemenza di Tito
 


Nel 1791 questa miscela straordinaria di bellezza tornitissima e, insieme, torbidi e oscillanti affetti non può trovare il suo luogo che nella musica di Mozart. Gli aggiustamenti portati nell'occasione da Caterino Mazzolà adeguano il testo metastasiano ad una nuova e più attuale misura drammaturgica (significativa ad esempio la trasformazione di ciò che nell'originale metastasiano è l'aria di Sesto Se mai senti spirarti sul volto in un più fluido e drammatico terzetto Sesto - Vitellia - Publio, Se al volto mai ti senti), gli danno una flessibilità e un interesse più palpitante di quello che il secco regime musicale propriamente "alla Metastasio" (la ripetizione all'infinito della sequenza recitativo - aria solistica) consentirebbe, d'altro canto assecondano la tendenza belcantistica nuova che si profila, mediante quello sdoppiamento degli affetti (implorazione/risoluzione, mestizia/terrore) che si realizza nell'aria-rondò, soprattutto, come il rondò di Vitellia, quando sapientemente introdotto da un recitativo grande, di intensi accenti, accortamente strumentato: Questo è il punto, o Vitellia... / Non più di fiori vaghe catene... / Infelice ! quale orror...


Nella Clemenza di Tito andata su alla Pergola per il Maggio Musicale Fiorentino, Federico Tiezzi ha ideato per il dramma romano di Mozart un percorso registico chiaro e volutamente, un poco marcatamente didattico. La scena di Maurizio Balò è infatti un museo, gessi bianchi di monumenti romani, templi, teatri, obelischi e statue equestri, raggruppati in una miniatura di città ideale oppure ordinatamente esposti sui riquadri - scaffali di fondo. Anzi, all'inizio, la pantomima che accompagna l'ouverture (i soldati panneggiati in nero che svolgono dai drappi che la coprono questa Roma in miniatura: non era necessario) sembra suggerire che si tratta di un modello distante, forse provvisoriamente dimenticato, ma recuperato ad una nuova attualità ed esemplarità dalla sua stessa distanza storica (e può capitare a questi modellini di venire addirittura spolverati per mezzo di flabelli sui loro scaffali, o solennemente presentati a Tito con effetto 'la Roma è servita').
clemenza di Tito

 

E' una regia che qualche volta sembra un po' una lezione, una lezione di storia del teatro prima di tutto, ad esempio negli equilibri fra la stilizzazione neoclassica dei gesti e certi atteggiamenti occasionalmente più sciolti, da romanzo o dramma borghese, da ritratto romantico, sottolineati dalle vesti fine Settecento di Vitellia, Sesto, Annio, Servilia e Publio (ma Tito è panneggiato in nero e, alla fine, manto rosso ed ermellini, come Napoleone). Questa lezione coinvolge l'iconografia, la storia dell'arte: nel gestire dei singoli come nelle scene di massa, si punta molto al tableau, alla posa fremente come bloccata nel marmo, al tocco alla Jacques-Louis David. Ogni tentazione di realismo nella messinscena è espurgata (basta vedere come viene risolta con ombre e lampeggiare di rosso sullo sfondo la scena dell'incendio del Campidoglio). Ma, parlando in generale, Tiezzi rivela, non per la prima volta, sensibilità al discorrere inquieto e insieme plastico della musica come sismografo di affetti e passioni, e insomma, lascia che sia la musica di Mozart a scrivere questa regia: ma forse, quando sembra cercare il personaggio di Vitellia nelle esitazioni sentimentali eleganti di certe eroine di Marivaux e Goldoni, l'ascolta un po' a modo suo.


Qui forse non poteva fare altro perché Hillevi Martinpelto ha più grazia che spessore: la sua è una Vitellia elegante ma un po' fragile e logorata, in palese difficoltà con le note gravi e lo 'stile sublime' della sua grande aria-rondò, mentre Ramon Vargas è un Tito più volonteroso che nobile, come calato in questa parte da un profilo tenorile ottocentesco, sicuro e generoso nelle agilità, ma rigido e vocalmente teso là dove Mozart chiederebbe morbidezza. A loro si affiancano con puntualità e correttezza Gabriella Sborgi (Annio), Veronica Cangemi (Servilia), un po' ruvidamente Maurizio Muraro (Publio). Però questo cast aveva un punto di forza: Monica Bacelli, intensa, squisita, emozionante nel ruolo di Sesto fin dalla prima battuta, e più che mai nella grande aria con il clarinetto obbligato a cui facevamo riferimento.


L'altro punto di forza, forse il più importante di quest'edizione fiorentina, è costituito dalla concertazione di Ivor Bolton. Il modo in cui la musica racconta passioni e turbamenti, pur sottomettendosi alle limpide, razionali, ampie arcate - appunto - neoclassiche di questo Mozart 1791, diventa con Bolton qualcosa di spontaneo, eloquente, vibrante, ben dosato; impeccabile il ritmo drammatico e musicale - che in questo Metastasio-Mozart non possono che essere la stessa cosa - e indichiamo come esemplare al riguardo almeno la realizzazione di Bolton della sequenza finale del primo atto, il terzetto e poi quintetto con coro, in cui il nodo della vicenda si stringe così magnificamente. Con questa prova Bolton completa egregiamente un percorso fiorentino iniziato con Monteverdi, L'Incoronazione di Poppea, e proseguito con l'indimenticabile e premiatissimo Tamerlano di Haendel: il che significa oramai l'intero spettro dell' 'opera antica', e ci fa formulare l'augurio che la collaborazione del direttore inglese con il Maggio Musicale possa durare anche nelle prossime edizioni del festival.


La clemenza di Tito
dramma serio in due atti K. 621


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