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Previn incontra Tennessee Williams

di Paolo Gallarati
  Un tram che si chiama desiderio
Data di pubblicazione su web 18/03/2003  
Un tram che si chiama desiderio, Tennessee Williams musicato da André Previn con la mediazione del librettista Philip Littel, è approdato al Regio in prima esecuzione italiana. L'opera, rappresentata nel 1998 a San Francisco, ha avuto una grande fortuna in America dove il teatro musicale è sulla cresta dell'onda, con una produzione numericamente doppia rispetto a quella europea.
Un tram che si chiama desiderio



Un tram che si chiama desiderio è un'opera di tipo tradizionale: racconta una storia, la mette in scena in modo realistico, ha una perfetta linearità narrativa, poggia sul canto declamato su cui fioriscono frequenti spunti melodici, affida all'orchestra un discorso mosso e vario, confida nella tonalità, impiega gli strumenti con varietà di colori e di ritmi. Tutto ciò si riferisce ad un codice ben noto, ha un potere rassicurante, non obbliga lo spettatore a sforzi intellettuali per capire ciò che sta dietro la lettera del testo e della musica. In questo sta forse la ragione del suo successo. L'opera, infatti, è assai lunga: lo spettacolo, nel bell'allestimento di Giorgio Gallione, con scene e costumi di Guido Fiorato, dura, intervalli compresi, più di tre ore e mezzo.

Eppure, il dramma si segue bene, grazie ai sopratitoli che traducono il testo inglese, e la musica va giù come acqua fresca. Dicono che questa partitura, composta da un maestro del music-hall e della musica per film, non sia una colonna sonora: sarà. Ma, certo, il dramma di Tennesee Williams, con la storia della nevrotica, ninfomane e alcolizzata Blanche che, dopo tante disgraziate vicende, finisce in manicomio in seguito alla violenza usatale dal brutale cognato Stanley, perde, nella partitura di Prévin, ogni violenza, si discioglie in una colloquialità scorrevole che non pretende di creare personaggi forti, sbalzare situazioni impressionanti , ma si accontenta di arredare il dramma con una gradevole tappezzeria sonora.

Così, non ci sono sentimenti personalizzati, ma un flusso, abbastanza indistinto, di moti umorali: quella musica potrebbe anche essere applicata ad altre parole, e il risultato cambierebbe poco. Riesce, però, a non essere noiosa grazie al suo eclettismo: Puccini e Strauss, il jazz e il music-hall, qualche spruzzo di espressionismo e il blues, un melodizzare gradevole, specie nelle arie di Blanche. Il termine di paragone più immediato, però, è il grande Menotti, di cui l'opera di André Previn sembra seguire le tracce, senza però mai raggiungerne la poesia, anche se nell'ultimo atto ci sono cose notevoli, atmosfere visionarie e oniriche connesse con la patologia della stralunata protagonista: la sua aria, in cui vagheggia la morte, strappa infallibilmente l'applauso.

E' utile e interessante , dunque, conoscere questo esemplare che ci mostra dove va, oggi, l'opera più legata allo stile tradizionale; forse è un po' megalomane inserirlo in un cartellone di soli nove titoli, quando molte, grandi partiture del Novecento sono ancora sconosciute a Torino, o non più rappresentate da molti anni. Comunque, quando, fa le cose, il Regio le fa bene: la direzione di Steven Mercurio è ottima, brillante ed elastica, Barbara Haveman è una bella e disinvolta Blanche, Randal Turner non è schiacciato dal paragone con Marlon Brando nella parte di Stanley, Laura Chierici è una disinvolta Stella, e Keith Olsen, Monica Minarelli, Davide Livermore completano molto bene il cast.

La scena unica di Fiorato ricorda le incastellature di legno e le palizzate d'un fortino del Far West; è funzionale, serve bene lo spettacolo, ed è variegata da bei giochi di luce; la recitazione sobria ed efficace. Si capiscono, quindi, le ragioni del successo che ha accolto lo spettacolo alla prova generale e che lo segnerà, prevedo, durante le repliche.

Un tram che si chiama desiderio
opera in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama

 
Da "La Stampa"
del 19 marzo 2003



Foto:
Ramella&Giannese

 
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