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Così fa Scola

di Paolo Gallarati
  Così fan tutte
Data di pubblicazione su web 02/05/2003  
Bravo, Ettore Scola, la sua prima regia lirica, tanto attesa, è complessivamente una riuscita. Nell'affrontare Mozart non ha fatto delle stranezze, ma si è prudentemente infilato nel solco della tradizione. Il che non vuol dire fare uno spettacolo "vecchio". Non esistono regie vecchie o regie nuove, come sostiene chi pensa ingenuamente di essere all'avanguardia, ma solo buoni e cattivi spettacoli, messinscene che possono apparire decrepite trasportando il Nabucco sulla luna e altre che, in costumi tradizionali, presentano lavori di duecento anni fa come se fossero stati scritti ieri. A teatro, insomma, si può fare tutto: basta farlo bene. E Scola ha reso vitale e godibile, cioè perfettamente attuale, Così fan tutte, dalla prima all'ultima scena. Non è poco.

Bandite le interpretazioni strampalate e cervellotiche oggi di moda (il Regio ne ha dato un saggio egregio con il Macbeth dello scorso autunno) Scola serve fedelmente la frizzante commedia di Da Ponte, e la costruisce attraverso un lavoro sugli attori di qualità rara nel teatro d'opera. Il suo segreto: aver ascoltato con attenzione la musica di Mozart che suggerisce con precisione gesti, atmosfere, luci, alternanza di movimento e stasi, azione e contemplazione.

La recitazione, così, è spigliatissima e garbata, molto vera anche nelle grandi arie in cui i cantanti tendono a esprimersi in gesti convenzionali. Qui, invece, ognuno dei sublimi canti di Mozart ha il ritmo giusto, il movimento inatteso, il guizzo ironico mai caricato, e, soprattutto, una naturalezza che quella musica, incredibile per verità e leggerezza, spirito e malinconia, realismo e religioso stupore, postula come condizione primaria della sua realizzazione scenica.


 

Bozzetto di Luciano Ricceri
Bozzetto di Luciano Ricceri


I concertati sono pezzi di vero teatro: e Scola non ha paura di assecondarli nei loro ritmi interni. Non li riempie, ad esempio, di gesti superflui come fanno altri registi di teatro e di cinema poco abituati alla dinamica interna del melodramma: vivaci e realistici quando l'azione va avanti, i pezzi d'assieme sono pronti ad arrestarsi in quei momenti in cui la musica ferma l'azione esteriore per lasciare affiorare quella interiore. Nascono così pulsazioni naturali del ritmo drammatico e personaggi assai pungenti, soprattutto in rapporto alla bravura dei cantanti-attori.

La più vivace è la servetta Despina: una popolana piena d'arguzia e di cinico realismo che, con la sua figura pienotta, Giovanna Donadini rende in modo straordinariamente simpatico. A lei il regista dà più peso del solito: ogni tanto la mette sullo sfondo ad amoreggiare con un giovanotto, il che presta al personaggio una consistenza sensuale tutt'altro che inopportuna. Bene anche le altre due donne, Patrizia Ciofi, cui manca un po' lo spessore delle note basse ma che disegna una Fiordiligi di grande classe vocale e scenica, e la vivace Laura Polverelli nella parte di Dorabella, anche lei molto addentro ai segreti insidiosi del canto mozartiano. Ferrando è il tenore Jeremy Ovenden, voce esile ma garbatissima e sufficiente a rendere attendibile e gradevole il romantico Ferrando, con le sue arie stupende e difficilissime. Guglielmo, più estroverso, brillante e spiritoso del compagno è impersonato magistralmente da Nicola Ulivieri, anche se è vittima dell'unico vero errore del regista: l'aria "Donne mie la fate a tanti" con cui apostrofa le donne in una brillantissima e ammiccante ramanzina sulla loro leggerezza amorosa, va rivolta alle signore e signorine presenti in sala. Qui Mozart squarcia la quarta parete e la commedia borghese diventa per un momento commedia dell'arte: l'effetto, voluto, è un piccolo, spiritosissimo choc che va perduto se il regista fa cantare l'aria a un gruppo di ragazze presenti in scena. Ma nel cinema la quarta parete, si sa, è indistruttibile, e Scola viene di lì. Infine, Don Alfonso: Umberto Chiummo lo rende con grande controllo. Non ne fa un demonio, ma, più giustamente, un filosofo tollerante verso le debolezze del bel sesso: solo lo vorremmo un po' più intrigante, autorevole e divertito nel sostenere la tesi che "così fan tutte" e nell'intrecciare i fili della burla con cui Guglielmo e Ferrando, travestiti da esotici ufficiali, fanno la corte l'uno alla fidanzata dell'altro, facendone crollare la supposta fedeltà e perdendo la scommessa con il loro disincantato amico.

La direzione di Corrado Rovaris è assai pertinente: nella prova generale è cominciata un po' in sordina , con una secchezza eccessiva (perché così frigida l'Ouverture, a cominciare dagli accordi iniziali?) ma poi si è sciolta e ha avuto i suoi momenti di vivacità, incanto e affetto, ben assecondata dall'orchestra da cui Mozart pretende raffinatezze sovrane.

Il lato debole dello spettacolo sono invece , a mio parere, le scene di Luciano Ricceri (i costumi, un po' scoloriti, sono di Odette Nicoletti). C'è un nastro di ambienti che scorrono: salotto, camera da letto, giardino, bagno, molto carichi di arredi e francamente pesanti. S'è voluto ricostruire l'ambiente napoletano, ma la Napoli di Mozart, di cui all'inizio e alla fine si vede anche il porto, con tanto di vigorosi scaricatori (cosa del tutto inutile), non è quella concreta, robusta e barocca di Vinci, Pergolesi, Paisiello e compagnia; la Napoli di Mozart è vista di lontano, dall'osservatorio aristocratico della Vienna imperiale, è una cosa cristallina, stilizzata, lieve, deve avere l'incanto di una veduta settecentesca, trasparente di colori pastello, e un tocco di leggera ironia. Son sicuro che in un ambiente meno pesante il mordente conferito alla recitazione avrebbe sprizzato più argento vivo, come suggerisce quella musica che ogni volta non finisce di stupire anche chi la conosce e l'ha studiata a fondo: sarà opera d'un uomo o d'un semidio? Successo vivissimo.


Da "La Stampa" del 23 aprile 2003


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