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Napoléon

di Roberto Fedi
  Napoleone - Rai Uno
Data di pubblicazione su web 20/09/2002  
Secondo chi scrive, che per solito non è incline a pensar male, molti di quelli che sono intervenuti nel dibattito sul Napoleone televisivo, fino a pochi giorni fa ritenevano che 'Napoléon' fosse più che altro il nome di un cognac. Quando si sono accorti che era anche un imperatore, e che razza di imperatore, ci sono rimasti male. Così hanno fatto dichiarazioni di fuoco, si presume dopo un buon brindisi di più patriottici grappini. "Napoleone distrusse i popoli del Nord", ha dichiarato il Nordico; "fu un massacratore", ha ribadito un massacrato; "noi siamo per i Serenissimi", hanno detto i Serenissimi. I tempi cambiano: una volta, almeno, se ne occupava Manzoni ("fu vera gloria? ai posteri / l'ardua sentenza …"), non immaginando certo di avere questi posteri.

Il personaggio è passato più volte sullo schermo, grande e piccolo. Questa megaproduzione italo-francese, in quattro parti su Rai1, non sfigura al cospetto delle precedenti, e nemmeno del cinema, almeno recente. Come ormai accade sempre più spesso anche in Tv, la ricostruzione è notevole e senza risparmio, gli interpreti sono di buon livello; la sceneggiatura è professionale (da una biografia di Max Gallo) e il racconto fila via senza intoppi, né eccessive lungaggini. Come è giusto in un prodotto così, si capisce tutto.

Ma il lungo film televisivo non ci 'prende', dandoci un'impressione generale di grande illustrazione senza pathos. Eppure, gli attori sono di prim'ordine: Christian Clavier ha l'altezza (fisica) giusta, e sembra proprio Napoleone come ce lo siamo sempre immaginato, con la lunga palandrana che sfiora il terreno, la mano destra infilata all'altezza della pancia, e i capelli pettinati sulla fronte; Isabella Rossellini è Giuseppina, e fa quello che ha sempre fatto, cioè praticamente sempre la stessa parte: insomma, l'attonita - qui con un'anima; Gerard Depardieu è Fouché, e fa quello che ha sempre fatto, nei Miserabili o altrove; John Malkovich è Talleyrand, e a dire il vero sembra fatto e basta.

Accanto a Napoleone spunta spesso Claudio Amendola, nei riccioluti capelli di Murat, dando allora alla scena, inopinatamente, la sfumatura anche linguistica di un serial romanesco a basso costo. Spunta anche la faccia interessante, a dire poco, di Anouk Aimee, nei panni di Letizia Bonaparte, sufficientemente tagliente.

Quindi il cast è di quelli 'all stars', e forse anche per questo ci dà l'idea del déjà vu, nonostante la ricchezza della scenografia, e qualche buona trovata (David che dipinge il grande quadro dell'incoronazione senza soluzione di continuità scenica con l'incoronazione reale, per esempio). Le battaglie sono imponenti per comparse e location, ma anche queste senza dramma. Sembra cioè che la scelta del regista Yves Simoneau sia stata quella, appunto, di fare come David: grandi quadri immobili, attenzione ai particolari, grandi campi (cosa strana, in un film televisivo), immagini lente anche nelle scene di massa. Tutto è visto retrospettivamente, perché la sceneggiatura ha scelto di iniziare dalla fine: a Sant'Elena, Napoleone malato e solo racconta la sua eccezionale vicenda a una ragazzina, figlia di un ufficiale della guarnigione. Da qui, forse, la scelta stilistica dell'arredo sfarzoso, dell'immobilità, della presenza costante del protagonista sulla scena, come in un quadro. Da qui, anche, l'impressione di inadeguatezza, specialmente del protagonista: che 'è' talmente Napoleone - insomma, è truccato e inquadrato in modo da somigliargli troppo, o meglio da somigliare troppo allo stereotipo - da sembrare preso a prestito dalla bottega di Madame Tussaud, senza sfumature, senza tempeste interiori, senza grandezza.

Lo sceneggiato (chiamiamolo così, in omaggio ai grandi sceneggiati del passato) proprio per la generale impostazione del prodotto privilegia non poco gli avvenimenti interni: la famiglia, gli intrecci di pubblico e privato. Talleyrand - che, ripetiamo, è proprio strafatto: Malkovich sembra un pusher in un film alla Tarantino - origlia alla porta come un qualsiasi cameriere mentre si tiene il consiglio di famiglia: fa un po' ridere, ma dà il senso della scelta narrativa. E le riunioni dei parenti, con la spartizione delle spoglie e dei reami, suggeriscono - anche queste - l'atmosfera del già visto, insomma proprio un'aria di famiglia. E così, una volta che la regia 'taglia' il profilo bonapartesco in un primissimo piano rivelatore, ecco svelato l'enigma. Quel tale l'avevamo già visto. Più che Napoleone, più che i Bonaparte con sorelle e cognati e madri, più che Parigi. A noi in un flash è sembrato di vedere una riunione della famiglia Corleone. Quel profilo, più che al grande Corso, assomiglia (oh quanto alla lontana!) a quello del grande Al Pacino, e i compari si stanno spartendo i quartieri di New York, non l'Europa. A costo di essere un po' ingenerosi, più che l'Imperatore e il Padrone questo qua, onestamente, sembra piuttosto il Padrino (parte seconda, of course).



Napoleone

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