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La grazia compiaciuta dello stile

di Filippo Bologna
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Data di pubblicazione su web 31/08/2003  
Il matrimonio è una cosa seria, bisognerebbe leggersi bene tutte le postille degli accordi pre-matrimoniali prima di avventurarsi nella giungla della vita coniugale. Dopo La figlia di un soldato non piange mai Ivory si ripresenta a Venezia con una commedia tratta da un romanzo di Diane Johnson. Come se non bastasse il clima da separati in casa tra Usa e Francia dopo le divergenze d'opinione in materia di politica internazionale, ci si mette anche questo film a soffiare sul fuoco.


Ivory racconta con disinvolta eleganza il divorzio di un inespressivo pittore francese, rampollo di un'influente famiglia dell'alta borghesia parigina, con una bella poetessa americana figlia di saggi e pragmatici yankees. Non basta però fissare un invito a colazione per entrambe le famiglie, stigmatizzare le ben note incomprensioni tra sessi e culture, inserire un quadro conteso da battere all'asta, una matura scrittrice impaziente di trasferirsi nel Maine, una sorella con la vocazione di concubina e un brizzolato politico donnaiolo per fare una brillante commedia. La sceneggiatura avrebbe velleità scoppiettanti ma incespica spesso nei facili luoghi comuni del campanilismo Europa-America. Ironia e freschezza arieggiano la commedia solo a sprazzi. Più che caustiche frecciate sui vizi del vecchio e del nuovo continente, sullo sciovinismo francese e la mancanza di tatto americana, le battute del film a volte rassomigliano a quelle vecchie barzellette nazionaliste che circolavano una volta. Le divorce è un film aristocratico e patinato, di grande nitore espressivo e rigore formale, (basta vedere come Ivory giochi con il montaggio riesumando nostalgicamente le desuete "tendine"). I virtuosismi tecnici non possono tuttavia riscattare la mondana superficialità della pellicola.


 

Ivory padroneggia con maestria il mezzo cinematografico ma spesso s'incanta compiaciuto ad osservarne la grazia come si farebbe davanti ad un bel quadro. La satira di costume vira così nel bozzetto oleografico, e il film non riesce a andare oltre l'affresco salottiero. La commedia ha il pregio di non essere mai volgare ma non riesce a graffiare e manca di mordente, anche se il sottile humour inglese ci regala più di un sorriso. I personaggi, prigionieri dei rispettivi cliché di rango, sono imbalsamati nei loro ruoli stereotipati, per non parlare di quelli di contorno, puro arredamento narrativo. I borghesi parigini discorrono di caccia al cervo e inorridiscono se non si usano le zollette per zuccherare il tè,la fedifraga russa è veramente troppo svampita per essere credibile e il marito geloso tratteggiato in un modo così grossolano da scivolare nel grottesco. Solo Glenn Close sembra a suo agio nella parte della scrittrice dal fascino ingrigito, e anche la bionda Naomi Watts se la cava piuttosto bene.


In questa pochade un po' loffia, dall'epilogo passionale tra triangoli e inopportuni intrecci famigliari, c'è persino il traditore tradito dall'abitudine recidiva di regalare le stesse borse e gli stessi foulard alle sue amanti: ma, come Ivory suggerisce, come rifiutare una vera "Kelly", la mitica borsa che portava Grace?


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Le divorce
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la locandina del film
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