drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Un genocidio dimenticato e ritrovato

di F.F.
  Ararat
Data di pubblicazione su web 08/05/2003  
Con una settimana di ritardo, accompagnato da un giallo legato al mancato rilascio del visto di censura, è sbarcato anche in Italia Ararat, ultima fatica del regista armeno-canadese Atom Egoyan, la cui uscita europea era prevista per il 24 aprile, giornata mondiale della memoria del genocidio armeno, perpetrato dall'esercito ottomano tra 1914 e 1915 (ma precedenti sanguinosi c'erano stati intorno al 1896) con esecuzioni e deportazioni. Perché infatti Ararat è il primo film che affronta così direttamente questa tragedia dal punto di vista dei discendenti dei sopravvissuti, i quali a causa di quegli eventi hanno abbandonato la loro terra di origine e si sono sparpagliati tra Nord-America, Francia, ex-Unione Sovietica ed altri paesi. La famiglia di Atom Egoyan, nato in Egitto nel 1960 ma cresciuto in Canada, fa parte di questa vera e propria diaspora.
ararat
ararat


Giova ricordare che il riconoscimento del genocidio è una questione tutt'altro che conclusa e unanimemente riconosciuta, visto che solo pochi anni fa il celebre storico inglese Bernard Lewis (poi assolto) veniva portato da un gruppo di armeni davanti a un tribunale francese con l'accusa di negazionismo, e che il riconoscimento da parte del Parlamento di Francia, nel 2000, dei massacri dell'esercito ottomano, scatenava una crisi diplomatica con il governo turco.
Ararat
Ararat


Ararat (la mitica montagna, simbolo geografico e memoriale - insieme al lago Van - dell'Armenia storica) è un'opera covata per anni e, sostanzialmente, lontana da tutto il cinema precedente dell'autore, vincitore nel '97 del premio della giuria a Cannes con Il dolce domani. Egoyan ha deciso di non girare un film storico sulle vicende del '14-'15, bensì la storia, ambientata nella Toronto dei giorni nostri, della lavorazione di un film sul genocidio, realizzato da un famoso regista armeno, Edward Saroyan (interpretato dal grande Charles Aznavour, armeno di nascita), una sorta di suo alter-ego. Il film di Saroyan si basa sul libro Un medico americano in Turchia del dottor Clarence Usher, testimone oculare del genocidio, e sulle vicende biografiche del pittore armeno Arshil Gorki, che perse tutta la famiglia durante le deportazioni quando aveva 12 anni e in seguito si suicidò, esule, negli Stati Uniti. Intorno a questa lavorazione si muovono una miriade di storie parallele, storie di armeni canadesi di diverse generazioni che ritrovano, dimenticano o rielaborano la propria identità culturale e storica.
Ararat
Ararat

Tra questi c'è Ani (Arsinée Kahnjian, moglie ed attrice-feticcio del regista), critica d'arte esperta di Gorki, chiamata come consulente storica di Saroyan sul set. Ani è la vedova di un terrorista combattente per la libertà armena, autore di attentati contro diplomatici turchi. La donna e il terrorista hanno avuto un figlio nato in Canada, Raffi (David Alpay), ora 20enne e anch'egli impegnato sul set come autista. Proprio Raffi, vero protagonista del film, porta avanti una relazione quasi incestuosa con la sorellastra Celia (Marie-Josée Croze), figlia dell'ex-marito di Ani e di un altro uomo poi morto suicida in circostanze misteriose di cui la giovane accusa Ani. E poi câè il Canada. Qui milioni di persone sono appena sfiorate da questa lotta per lâidentità, tra coloro che cercano di comprendere câè Ali (Elias Koteas), attore omosessuale per metà turco ed unico, fra tutti i componenti della troupe cinematografica, ad avanzare dubbi sullo svolgimento dei fatti che sta impersonando.

L'approfondimento della propria identità armena è stata un'acquisizione relativamente tardiva per Egoyan, che si è avvicinato a questa cultura, di cui non conosceva la lingua, soltanto all'università. Ararat è dunque il frutto di una appassionata ricerca delle origini e perciò è un'operazione delicata, soggetta ad eccessi e semplificazioni. Non per questo vi è ingenuità assoluta nel regista che mette in scena anche le contraddizioni e talvolta i fanatismi degli armeni nel loro rapporto con la propria origine.

Tuttavia solo in una scena riesce a superare questa 'contingenza armena' nel rapporto dell'uomo con la propria memoria e arriva a toccare temi veramente universali, come la difficoltà di mantenere vivo il ricordo del passato ed essere al contempo capaci di riconciliarsi con esso nel presente. Ricordare un dramma, addirittura un genocidio ma saper vivere ugualmente nel proprio tempo. E'la scena del dialogo tra Raffi e Ali: il confronto tra un ragazzo che con ferocia ricorda la storia dei tormenti del suo popolo a un uomo che lo invita semplicemente a brindare e a dimenticare i rancori, poiché questi risalgono a 80 anni fa. E' il momento di massima emozione del film, nel quale il regista, nonostante le apparenze, non si schiera con nessuno dei due.

Egoyan ha affrontato la sfida gigantesca di questo film in solitudine: ha diretto ma soprattutto sceneggiato da solo (!) una storia che parla della coscienza e dell'identità di tre generazioni di una stessa diaspora. E questo è il grande limite di Ararat: troppo squilibrato, troppo teso a voler raccontare ogni sfaccettatura e contraddizione dell'identità armena recente. I figli dei sopravvissuti, i figli di quest'ultimi nati allâestero e che non hanno mai visto l'Armenia, i nipoti ormai canadesi in tutto, i terroristi armeni che negli anni '70 assassinavano i diplomatici turchi e infine i turchi che negano o ignorano la responsabilità del loro paese nelle vicende. Egoyan ha voluto esplorare tutto questo, con un personaggio per ognuna di queste 'categorie', senza voler rinunciare ad alcune delle tematiche più tipiche dei suoi film precedenti, come l'incesto e la dissoluzione della famiglia.

Il risultato è appunto un film eccessivo, squilibrato ma affascinante e addirittura importante perché è il primo a divulgare il racconto del genocidio al cinema. Ararat, in fondo, grazie anche alla fama acquisita in precedenza dal regista, sta già facendo il giro del mondo e non è un male che in Turchia, i cui governanti ancora non riconoscono la continuità di responsabilità tra Impero Ottomano e Repubblica Turca, abbia addirittura scatenato un putiferio diplomatico e un aspro dibattito.

Amarum in fundo (ma c'era da aspettarselo): la versione italiana massacra con un doppiaggio monolingue tutto il sottile gioco di passaggi tra l'inglese - la lingua di larga comunicazione - e l'armeno - la lingua che denota una comunità più ristretta e intima. 


Ararat - Il monte dell'Arca
cast cast & credits
 

Christopher Plummer
Christopher Plummer





 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013