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Dreamer in the dark

di Melanie Gliozzi
  Kinder-traum seminar
Data di pubblicazione su web 08/04/2005  

Presentato durante la scorsa edizione del Mittelfest di Cividale del Friuli, Kinder-traum seminar è uno degli spettacoli in cui Enzo Moscato si confronta con la Storia, come ama fare e già aveva fatto nel 2001 con Sull'ordine e disordine dell'ex macello pubblico, il cui tema è la rivoluzione partenopea del 1799. Questa volta, oggetto dello studio scenico proposto è la tragedia collettiva dell'Olocausto, in un'intensa e poetica «rivivificazione mnemonico-emotiva» dei fatti, costruita attraverso un ricco intarsio di voci-citazioni  (da Tadeus Kantor, Janusz Korczak, Etty Hillesum, Primo Levi, Elie Wiesel, Paul Celan, Marina Cvetaeva).

Il titolo dello spettacolo, che ricalca quello di un seminario di Carl Gustav Jung (prediletto spirito guida di Moscato), si presta ad una doppia interpretazione lasciata volutamente ambigua: seminario sui sogni dei bambini o anche seminario sui bambini in sogno. La cornice, nonché il filo rosso della rappresentazione, è quella di un incubo che affiora dall'oscurità, ci racconta di un'infanzia vittima  fra le vittime dell'immane strage nazista, e, più in profondità, del potere rivoluzionario dei bambini che continuano a sognare, anche di fronte alla morte...

Nel buio è la voce registrata di Moni Ovadia (direttore del festival) ad introdurre il pubblico in questo allucinante lager immaginato: le parole-prologo annunciano l'importanza della memoria come strumento di conquista dell'identità e della possibilità di costruire un mondo diverso.


Kinder-traum seminar
Kinder-traum seminar


La scena, realizzata da Tata Barbalato, è illuminata da una fioca luce soffusa quanto basta per far percepire una rete sottile, come una tela di ragno, che separa la platea dagli attori, una distanza simbolica, anche quella che permette alla memoria di esercitare meglio la sua funzione. Non ci sono veri e propri arredi scenici, solo una sagoma di albero fatta con assi di legno sul fondo, in posizione centrale, e due leggii (cifra ricorrente negli allestimenti di Moscato) collocati frontalmente al pubblico, più vicini alla rete. In questo inferno appena accennato si aggirano con movimenti "a serpentina" le spettrali figure dei vivi, che adombrano – secondo le note di regia - i contorni di deportati e di prigionieri, di guardie Kapos e SS, ma anche di comuni individui vestiti da civili. Un bambino con indosso un grembiulino da scolaretto (elemento di straniante alterità rispetto all'atmosfera generale) entra nella prigione e percorre lentamente lo spazio scenico lanciando petali rossi di carta, mentre pronuncia, quasi fosse una benedizione cantilenata, le toccanti parole di Etty Hillesum: «nel sangue, nel sangue, c’è un ritmo più profondo che si deve insegnare ad ascoltare / nel sangue, nel sangue, è la cosa più importante che si può imparare in questa vita». Resterà sempre in scena, quasi in trappola, a volte seduto immobile sotto il finto albero, a volte interagendo con i fantasmi, che ora cercheranno di prenderlo, ora giocheranno con lui e lo porteranno a mimare il passo dell'oca, con lenti movimenti di meccanica freddezza. Piccolo testimone del grande incubo di sterminio, il piccirì (come lo chiamano gli spettri-figure) è anche protagonista di questo sogno; in  proposito, una citazione da Dostoievski ritorna ossessivamente durante lo spettacolo - «il sogno è una terribile volontà di potenza» -, quasi a commentare l'assurda contraddizione a cui assistiamo.

In Kinder-traum seminar Moscato ha costruito un concerto polifonico di emozioni in poesia, tradotto nel mosaico di lingue a lui familiare che vede qui insieme il tedesco, il napoletano, il russo. Una partitura musicale che non si appoggia su azioni sceniche, ma crea immagini in parola, attraverso i suoni accostati per estremi opposti: il ritmo tagliente e duro del tedesco della giovane SS (un'intensa Cristina Donadio) ritorna ripetutamente (nei frammenti di una poesia di Paul Celan) a rompere la melodia delle altre voci, come quella dello stesso Moscato; anche la pesantezza del costume nero con la fascia al braccio, indossato dall'attore-autore, è ossimoricamente bilanciata dalla leggerezza, quasi soprannaturale, con cui vaga all'interno del lager. La scelta registica è tesa a sovrapporre all'ordine di morte, alla disciplina imposta dall'aspra lingua dell' SS in uniforme, il disordine creativo della poesia, che emerge dalle altre voci-memoria di tragici momenti di vita nel campo di stermino, contaminati con schegge di lirica bellezza che fanno sembrare più dolce la morte stessa. Così sono scelte e montate anche le musiche, parte integrante della rappresentazione, che vedono il lied di Zarah Leander sfumare nella canzoncina di regime di Giarabub. Anche Stille nacht è introdotta con effetto straniante a commento di una scena esemplare (anch'essa ripresa più volte) in cui Moscato, seduto insieme al bambino sotto l'albero illuminato con piccole candele, ricorda, come fosse una fiaba d'infanzia, l'atroce notte in cui l'attesa del Natale si trasforma inconsapevolmente in attesa del treno della  morte: «e na notte come quella, Chella Notte – dice - porta in sé come una gemma, 'a mala nova, la sciagura. 'E ccriature, però 'spettano 'o stesso. Sempe. Qualsivoglia cosa. Non importa».

Tutta la materia drammaturgica riaffiora in scena «come da un attonito quaderno dell'orrore con i giorni e gli anni disposti al contrario», commenta a più riprese uno dei prigionieri, a testimoniare che è ancora possibile scardinare il tempo, e forse proprio in questa direzione va interpretata l'unica voce fuori campo (di Salvio Moscato), da attribuire ad un manichino in gommapiuma posizionato oltre la rete, che porta il nome di Totore Zezzeniello, partigiano napoletano durante l’occupazione tedesca. La voce registrata, attraverso il consueto meccanismo del leit-motiv incastonato nella partitura dello spettacolo, racconta un episodio di rivoluzione realmente avvenuto, quando i napoletani buttarono giù dalle finestre dei Quartieri Spagnoli oggetti disparati per contrastare il passaggio dei Tedeschi in città. Dunque, i balenanti moti della trasformazione e la bellezza della poesia possono sopravvivere anche in uno spazio pervaso dalla morte; la presenza del bambino sulla scena dello sterminio ne è l'esempio, perché, come suggerisce la melodica lingua dell'autore, «'e ccriature sunnavano. Continuavano a sunnà. Nonostante il tatuaggio sulle tempie che avrebbe loro impedito di farlo. E 'o cuntrario 'e nuie, ca invece, a sunnà buone nun ereme cchiù, a tantu tempo. E perciò si è dovuto eliminarli.Tutti».

L'uccisione del piccirì che cade sotto il crescente coro delle convulse voci dei prigionieri, con una sottile se pur tragica ironia che richiama la sceneggiata napoletana, segna il ritorno al silenzio e al buio iniziali. Forse un monito rivolto al pubblico, ma anche alla Storia, per non sottovalutare l'oscurità profonda dell'infanzia che nessuno conosce veramente (parafrasando la citazione di Rilke), e per non dimenticare «l'incoercibile attitudine a stare fuori dal reale. A dormire ad occhi aperti. O a vegliare ad occhi chiusi. Nonché l'orribile, mostruoso, inaccettabile inclinarsi di quel genere d'età ad uscirsene fuori dai ranghi».

Anche le citazioni trascritte dal copione di Kinder-traum seminar testimoniano come il teatro di Enzo Moscato sia innanzitutto un corpo-pensiero che abita la scena. Lavorando sulla Storia attraverso una dimensione registica e drammaturgica simbolico-evocativa, l'autore-attore ha realizzato una complessa tessitura scenica che può risultare una sfida alla comprensione immediata, ma che lascia  tracce e connessioni aperte nella memoria del pubblico.




Kinder-traum seminar
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Kinder-traum seminar
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