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La città del cinema

Marco Luceri
  ''Dogville''
Data di pubblicazione su web 19/11/2003  

Presentato all'ultimo festival di Cannes, come una delle pellicole favorite per la Palma d'Oro (il premio ad Elephant non ha reso forse piena giustizia né a Mystic River né a Von Trier), Dogville, ultimo film del discusso, ammirato, odiato, idolatrato, detestato ultimo genio del cinema nordeuropeo, apre, come è tradizione nella filmografia del regista, una trilogia. Dopo la "trilogia europea" con L'elemento del crimine, Epidermide, Europa e la "trilogia dei cuori d'oro" con Le onde del destino, Idioti, Dancer in the dark (Palma d'oro nel 2000, un trionfo assoluto per Von Trier e la straordinaria interprete, la rockstar islandese Bijork), ecco iniziare una trilogia sull'America, intitolata, con tono beffardo, "America, paese della opportunità" (il secondo film, Mandelay, è già in preparazione).

È un fatto strano per uno che in America non ci ha mai messo piede e che la conosce "solo" attraverso il cinema, il teatro, i libri, la televisione. È per questo che Von Trier si è tirato addosso le feroci critiche di Hollywood e dei suoi giornali, a cui ha risposto sostenendo che Michael Curtiz non ebbe mai bisogno di andare a Casablanca per girarci il film omonimo e utilizzando inoltre per Dogville tre icone dello star system hollywoodiano di ieri (Lauren Bacall e James Caan) e di oggi (Nicole Kidman). Quanto basta dunque, per accostarsi alla visione di questo film con il solito strascico di domande sulla lealtà e la sincerità del regista danese e per dividere critica e pubblico tra adoratori e detrattori.

Una scena del film
Una scena del film


Dogville dimostra in maniera inequivocabile tutta l'ambiguità e la scorrettezza che fanno di Von Trier un insolito genio della macchina da presa, un autore "cattivo" cioè, che dopo aver dato uno dei contributi critici più importanti degli anni Novanta con il manifesto di Dogma 95, ha cercato con il tempo di metabolizzare le sue stesse idee senza cedere ad altre regole che non fossero quelle della propria ispirazione artistica. Una sorta di stile anti-stile che ha trasformato il suo inneggiare alla realtà senza maschere né fronzoli (luoghi naturali, luce naturale, macchina da presa mobile, a spalla, per catturare il reale così com'è nella suo "darsi" quotidiano, il ritorno ad un cinema quasi autarchico) in un poema visivo che questa volta ha addirittura lasciato il vero volutamente fuori dallo studio. Un'operazione rischiosa che però Von Trier ha saputo condurre sui giusti binari, trasformando questo film in un vero e proprio apologo sul cinema della crudeltà.

Il racconto inizia grazie alla voce fuori campo di un narratore onnisciente che non solo racconta, ma giudica, nasconde, rinvia. È diviso, come un romanzo, o uno dramma brechtiano, in capitoli, anticipati da un prologo, ciascuno con un numero ed una frase introduttiva (sono gli strumenti di quello che Von Trier chiama "cinema fusionale", intendendo per fusione quella tra cinema, teatro e letteratura). È già questo il primo tentativo di rimandare il tutto ad una dimensione chiusa e codificata, in cui la misteriosa protagonista, la giovane e bella Grace (ancora una grande prova di Nicole Kidman, positivamente risucchiata nel personaggio, come lo era stata Bijork nel precedente film) sarà imprigionata.


Nicole Kidman
Nicole Kidman


La donna, per sfuggire ad una banda di gangster, cerca riparo in una piccolissima cittadina pedemontana della provincia americana. Un'altra codificazione: anche prima di vederla, Dogville è la città che Grace e lo spettatore conoscono a memoria perché da sempre messa in scena dal cinema e dal teatro e raccontata dalla letteratura (è il filtro che Von Trier usa, da straniero, per raccontare l'America): Grande Depressione e subito aleggiano gli spiriti di Faulkner, Steinbeck, Tennessee Williams, Thornton Wilder, Frank Capra. La gente è infatti quella che ci si aspetta: cordiale, timorata di Dio, operosa, risparmiatrice e semplice, ma non è altro che la spettrale comunità di una città che non c'è. La realtà bandita carica la finzione di un nuovo pittoricismo: Dogville non esiste, è appena disegnata su una tavola simile al Monopoli, ci sono solo elementi abbozzati, un campanile, delle porte, le travi di una miniera, le rocce di una collina, un albero: tutto è uno scarno palcoscenico dalla brechtiana scheletricità.

Questo mondo artificiale non-fisico (da cui la scena non si sposta mai) non a caso è Dog-ville, in italiano "città del cane" o "dei cani", perché pian piano queste miti figure danno sfogo alle loro più represse, ferine, animali appunto, pulsioni, costringendo la povera Grace a sottostare a prestazioni di varia natura: economiche, psicologiche, lavorative, fino a quelle sessuali a cui seguirà l'incatenamento in una sorta di cuccia, come per il cane disegnato sulla scena. La logica, o meglio, l'etica a cui questi personaggi obbediscono, è quella del profitto personale, materiale e spirituale. Gli abitanti infatti, pur rappresentando fasce sociali diverse (si va dal contadino al filosofo, dal commerciante al cappellano), sono tutte perfettamente inquadrate nei loro ruoli sociali da cui non escono mai e, attraverso l'arma del ricatto, animalescamente si servono di Grace come di un cane a cui dare ordini e da cui farsi obbedire per essere accontentati. In questo senso la distanza che cresce tra essi e Grace è di carattere sociologico.
Nicole Kidman
Nicole Kidman


Grace a Dogville è fuori dal suo ruolo sociale, è una creatura fuori posto, che sperimenta questo tipo di diversità sulla propria pelle, pensando di poter cambiare l'etica del mondo a cui in realtà lei appartiene. Ma questo tentativo fallisce miseramente, Grace ritorna ad essere quella che è e, recuperato insieme al suo originario ruolo sociale anche l'etica che ad esso sottende, guida il racconto verso la tragedia finale. In questo è stata molto brava Nicole Kidman a dare volto e voce ad un personaggio che vive ed è motore di un ribaltamento drammaturgico molto profondo nel film, un personaggio che trasforma i suoi iniziali connotati angelici in una ferocia finale ancora più crudele di quella dei cittadini di Dogville.

È dunque una tragedia dell'etica sociale quella che lo scorretto Von Trier ci sbatte con violenza davanti. E lo fa attraverso la macchina-cinema anti-Dogma (anche se le riprese a spalla e l'uso del godardiano "jump-cut" ci sono ancora) che, bandendo il realismo da questa misera scena, ribadisce in maniera maldestra e sgradevole quanto il cinema è falso e immorale. È forse solo per questo che la realtà, quella vera, viene fatta scorrere sotto forma di istantanee fotografiche sui titoli di coda, con sottofondo la musica di un vecchio pezzo di David Bowie. La realtà (emarginazione e violenza) è là, fuori dal film, nel mondo, che resta però ancora l'unica dimensione possibile in cui cercare un barlume di verità.


Dogville
cast cast & credits
 

La locandina del film
La locandina del film




 
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