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"Revisionismo" coreografico

di Gabriella Gori
  Il lago dei cigni
Data di pubblicazione su web 18/05/2002  
La rilettura dei capolavori del repertorio accademico, e in particolare de Il lago di cigni, considerato "il classico dei classici", fa parte di una inveterata tradizione del teatro di danza che, a partire dalla terz'ultima decade del Novecento, ha trovato in questo filone una nuova vena creativa. È però il "revisionismo coreografico" degli anni Ottanta a offrire le rivisitazioni più radicali dei grandi balletti ottocenteschi ad opera di coreautori moderni o post-moderni, che rileggono trame e soggetti alla luce di problematiche e contesti attuali.

Il lago dei cigni di Mats Ek

Al ReggioParmaFestival, dopo le monografie su Martha Graham, William Forsythe e Jirì Kyliàn, non poteva mancare un omaggio al coreografo e regista Mats Ek, campione di quel famigerato "revisionismo" e figura di spicco dell'orchestica "narrativa" contemporanea. In questa celebrazione una vera perla è stata la mise en scène de Il lago dei cigni, traslitterato da Ek nel 1987 per il Cullberg Ballet, la possente compagnia fondata dalla madre Birgit Cullberg e diretta da Mats dall'85 al '95, che lo ha riproposto al Teatro Valli di Reggio Emilia.

Incline a riconsiderare i titoli più emblematici del patrimonio coreutico classico - altrettanto suggestive sono le trasposizioni 'ekiane' di Giselle (1982) e de La bella addormentata (1996) - questo geniale metteur en danse sonda i significati reconditi delle favole per cogliere, al di là di facili sentimentalismi, i meccanismi della psiche umana rivelati dall'analisi freudiana. L'archetipo coreografico de Il lago dei cigni risale a Ivanov-Petipa, su musica di Ciaikovskij, del 1895. Ek lo rilegge, conservando solo la partitura, anche se interpolata da un brano folklorico ebraico, e avvalendosi della scenografia (fondali pastello e pochi oggetti) e dei bei costumi di Marie Louise Ekman. Nella sua 'interpretazione' l'artista svedese sviscera il rapporto madre-figlio, specchio dello scontro generazionale tra una mamma soffocante e un 'pargolo' ribelle, e in questo remake non è difficile scorgere, come del resto in altri suoi balletti, il tentativo di esorcizzare quell'amore-odio che nutriva per l'ingombrante Birgit, signora della danza moderna europea, scomparsa nel '99.
Il complesso di Edipo regna sovrano ma la vocazione drammaturgica di questo figlio d'arte, nato teatrante, poi regista e infine ballerino e coreografo, trova la sua massima realizzazione nel plateale riferimento all'Amleto di Shakespeare.

Ek fa di Sigfrido un novello Amleto e il rapporto del principe del lago con la regina-madre non è che un calco di quello dell'erede al trono di Danimarca con Gertrude. Il voluto richiamo è così forte che anche l'abito di velluto verde con corpetto e maniche a sbuffo, indossato da Sigfrido, e i suoi capelli biondissimi sono chiari segni della propensione teatrale di Mats coreografo. Il nobile Sigfrido, un eccellente Christopher Akrill, è un giovane introverso che vive una turbata relazione con la regina, una mater familae dispotica, impersonata dall'ottima Talia Paz, e mal sopporta il prestante amante di lei.

Alla festa di compleanno il principe rifiuta la rosea fanciulla scelta per lui come sposa (una dolcissima Gunilla Hammer) e si allontana da una corte dedita alle peggiori nefandezze. Di notte al lago, al cospetto di quelle acque "perigliose" che simboleggiano i suoi turbamenti, il principe, sogna l'anima gemella e la individua in Odette, il cigno bianco della nerboruta Julie Guibert, che interpreta il ruolo creato da Ek per la moglie Ana, accompagnato da robusti cigni in splendidi e candidi tutù ma androgini, scalzi e calvi. Questi singolari pennuti si accapigliano mostrando una danza vigorosa, scabra, essenziale, tutta giocata su pliés à la seconde, esasperate posizioni en dedans e complicate rotazioni del corpo e delle braccia. Qui la composizione coreografica rivela l'influsso grahamniano e jossiano di Birgit, ma in essa traspare anche lo stile inconfondibile del cinquantasettenne Mats, visibile nel particolare recupero della danse d'école, affidata al protagonista, e nella gestica ironica, quotidiana, istintiva, a tratti anche volgare.

E la dissacrazione del mitico mondo delle scarpette a punta avviene con gli epici quattro cignetti che, nel Lago 'ekiano' si trasformano in tre esilaranti paperi, mentre il temibile incantatore Rothbart è un vecchio mago in tuba e barba rossa, che getta cibo ai candidi volatili. A un viaggio "di formazione" è dedicato il terzo atto in cui Sigfrido parte per ritrovare se stesso ed emanciparsi dalla figura materna. Nel tragitto conosce usi e costumi diversi, simbolicamente raffigurati da danze di carattere russe, ebraiche e spagnole, presentate come una serie di quadri impressionisti da un poderoso Cullberg Ballet. Incontra così il cigno nero - Odile, sempre la Guibert - clone di quello bianco ma diverso, che lo sconvolge con le sue profferte sessuali, rivelandogli le contraddizioni dell'eterno femminino.

Alla fine il principe ritornerà allo specchio d'acqua per recuperare l'amore puro e capirà che Rothbart non è altro che la proiezione della regina-madre ma, una volta scoperto l'arcano e unitosi alla dolce Odette, sarà la conturbante Odile ad attrarlo di nuovo e a svelargli che la lezione della vita si apprende solo affrancandosi dagli adulti, allontanandosi dal sogno e imparando a camminare da soli.


Il lago dei cigni
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