''Ava Gardner chiuse gli occhi quando la biga romana, con i quattro cavalli bianchi al galoppo, si precipitò dallo schermo verso la platea. Le zampe dei destrieri levavano gli zoccoli in avanti in gigantesche falcate tra il fracasso delle ruote e le grida degli spettatori. Non vi era più confine tra la platea e lo schermo, tra le immagini del film e le persone degli spettatori''. Ava Gardner, evocata dalla colorita prosa di Gianni Granzotto, stava assistendo con altri 6000 selezionatissimi invitati alla presentazione ufficiale de La Tunica (The Robe) di Henry Koster, il primo film realizzato in CinemaScope dalla 20th Century Fox. Era il 16 settembre 1953, e il cinema Roxy di New York, installato per l'occasione un gigantesco schermo ricurvo di quasi 20 metri di base, salutava l'alba della terza era del cinematografo: dopo l'avvento del sonoro, dopo l'avvento del colore, era il tempo dello schermo panoramico.
Il cinema americano per strappare gli spettatori ai loro salotti stava cambiando pelle e puntava all'esasperazione della propria offerta spettacolare. Alla luce del "pericolo televisione", nel contesto del decisivo mutamento socioculturale del dopoguerra, lo schermo panoramico appagò l'esigenza non più rinviabile per una ridefinizione radicale della produzione. La sobria immagine rettangolare 1.33:1 (rapporto tra la base e l'altezza dell'immagine proiettata), formato standard di oltre cinquanta anni di storia del cinema, lasciava così il passo alla nuova immagine panoramica di proporzioni ben più ardite, esaltata dalle dimensioni impressionanti dei nuovi maxi-schermi. Gattopardescamente, una Hollywood alle corde stava cambiando tutto affinché tutto, sostanzialmente, rimanesse invariato.
Inizialmente, le proporzioni del quadro CinemaScope erano addirittura di 2.66:1: due volte il quadro classico dei classici di Chaplin, Renoir, o Ejzenstejn. L'alloggiamento sulla pellicola delle quattro piste magnetiche del nuovo suono stereofonico direzionale, necessario complemento alla dilatazione orizzontale del campo, portarono il quadro a 2.55:1: formato, per esempio, del citato La tunica, di é nata una stella (A Star Is Born, George Cukor, 1954), o Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, Nicholas Ray, 1955). Infine, l'ulteriore aggiunta della tradizionale colonna sonora ottica, pretesa da tutti quegli esercenti che non potevano permettersi i costi dell'impianto magnetico, stabilizzò l'immagine CinemaScope, a partire dal 1956, al celebre rapporto 2.35:1 che ancora ci accompagna nelle proporzioni di tanta produzione contemporanea, dagli ultimi blockbuster americani al Muccino de L'ultimo bacio.
In verità il CinemaScope, fondato sul principio ottico dell'anamorfosi, non fu una genuina invenzione americana e tanto meno una novità. Senza scomodare il padre gesuita Schott, che di "magia anamorfotica" scriveva già nel 1657, il primo rudimentale brevetto di lenti anamorfiche risale al 1862. I sistemi anamorfici, gruppi ottici che sfruttano l'astigmatismo delle lenti cilindriche per comprimere la dimensione orizzontale di un'immagine, furono applicati alla fotografia cinematografica, per la prima volta, dal fisico olandese Ernst Abbe nel 1898, e sperimentate poi in modo convincente, alla fine degli anni '20, dal celebre professore di ottica francese Henry Chrétien.
L'Hypergonar di Chrétien era in grado di comprimere un'inquadratura molto ampia in una convenzionale pellicola 35mm, e, soprattutto, ottenere un'immagine panoramica sia orizzontale che verticale. Autant-Lara se ne avvalse, per esempio, nella realizzazione di alcune sequenze "speciali" del suo cortometraggio Costruire un feu: decentrò il tradizione formato 1.33:1, combinò fino a tre immagini contemporaneamente e presentò, facendo uso di un apposito schermo gigante a forma di croce, immagini panoramiche orizzontali e verticali. Acquistato dalla Pathé-Nathan nel 1929 ed impiegato in un altro paio di occasioni, l'Hypergonar cadde poi nel dimenticatoio per una ventina d'anni, diventando addirittura nel '50 di dominio pubblico.
È a questo punto che la Fox si inserì con eccezionale tempismo e, nell'ambizioso tentativo di realizzare un proprio dispositivo panoramico, contattò personalmente Chrétien. La tecnologia anamorfica avrebbe consentito alla Fox di implementare grossomodo tutte le caratteristiche spettacolari che facevano la forza del Cinerama, il dispositivo multicamera a schermo gigante che dal settembre '52 sfidò per primo la televisione, senza rivoluzionare radicalmente le convenzionali pratiche di esercizio. A differenza del Cinerama, cresciuto alla periferia dell'industria vera e propria, e mai fondamentalmente piegatosi agli imperativi dello Studio System americano, il CinemaScope fu un prodotto genuinamente hollywoodiano, cioè programmaticamente concepito e realizzato per soddisfare adeguatamente un mercato di massa.
Le ottiche di Chrétien, pur con tutte le riserve del caso, si rivelarono funzionali, e, mentre gli ingegneri della Fox procedevano ai perfezionamenti di sorta, il 2 febbraio del 1953, lo Studio annunciò pubblicamente che tutte le sue successive produzioni sarebbero state pellicole CinemaScope. Realizzando una nuova forma di intrattenimento compatibile con gli standard tecnologici esistenti, la Fox riuscì a soddisfare una grossa fetta di mercato per buona parte degli anni '50. MGM, Columbia e Warner cedettero presto alle sue lusinghe e nel giro di un paio d'anni tutte le cinematografie più importanti, Italia in testa, equipaggiarono i propri teatri e si convertirono alla produzione anamorfica, utilizzando le ottiche originali Fox o dispositivi autoctoni concorrenti.
La risposta del pubblico fu a dir poco strepitosa, tale da polverizzare, nel giro di qualche settimana, ogni precedente record d'incassi, ma l'accoglienza della critica fu controversa. Dalla assunzione condivisa che il CinemaScope, per via delle proporzioni e dimensioni dei suoi schermi, avrebbe inevitabilmente comportato l'abbandono del montaggio rapido e dei piani ravvicinati, le diverse scuole critiche trassero considerazioni opposte. Se infatti i redattori dei Cahiers du Cinéma, capitanati da André Bazin, auspicavano che la nuova tecnica divenisse motivo stilistico, nella direzione di un cinema realista, i critici di Sight & Sound e Cinema Nuovo temevano una eccessiva teatralizzazione della messa in scena. In verità, i problemi di distorsione che rendevano problematici i primi piani, connaturati alla tecnologia anamorfica, furono presto risolti, e nel giro di un paio di anni ogni risorsa del montaggio classico venne implementata con successo dai vari Samuel Fuller, Nicholas Ray, Douglas Sirk.
Ormai cinquanta anni sono passati, e il CinemaScope è stato trionfalmente celebrato alle conferenze internazionali di Parigi e Bradford, rispettivamente lo scorso dicembre, alla Sorbona, e lo scorso luglio, al National Museum of Photography, Film and Television. Anche in Italia è giunta l'eco dei festeggiamenti, tanto che la 17° edizione del Cinema Ritrovato di Bologna non ha perso l'occasione per organizzare una retrospettiva commemorativa: sotto l'etichetta "Il cinema più grande della vita", i festivalieri hanno goduto le proiezioni dei primi 'Scope' di Nicholas Ray e Samuel Fuller, oltre, ovviamente, alla citata Tunica. L'anniversario, oltre a riportare un po' di attenzione sugli svariati dispositivi, comunemente detti panoramici, che nel giro di qualche anno rivoluzionarono inesorabilmente le pratiche di produzione ed esercizio in tutto il mondo, costituisce una buona occasione per riflettere più compiutamente sulla tecnica come elemento fondante del gesto cinematografico, e, soprattutto, sulla rimossa questione del formato immagine in quanto parametro della rappresentazione.
Galleria fotografica:
I primi due lungometraggi fotografati in CinemaScope
La tunica
(The Robe)
di H. Koster, CinemaScope 2.55:1
''I primi piani sono possibili e tremendamente efficaci in CinemaScope, ma sono raramente indispensabili. Penso che non ci siano più di cinque primi piani stretti in tutto il film, e comunque impiegati esclusivamente nelle situazioni più drammatiche. E ciò a dispetto del fatto che avevamo volti molto interessanti con cui lavorare, come quelli di Richard Burton, Jean Simmons, Victor Mature''
(Leon Shamroy, direttore della fotografia de La tunica)
Victor Mature, ''La tunica''
Richard Burton, ''La tunica''
''Con il CinemaScope è possibile filmare contemporaneamente fino a cinque personaggi in figura intera, con il volto di ciascuno grande e intimo come se fosse proiettato su uno schermo convenzionale, in cui però solo un personaggio alla volta può essere in primo piano''
(Leon Shamroy, direttore della fotografia de La tunica)
''La tunica''
''La tunica''
[Le citazioni sono tratte da L. Shamroy, Filming the Big Dimension, in ''American Cinematographer'', XXXVI 1953, n. 5 p. 217. Traduzione dell'autore dell'articolo]
Come sposare un milionario
How to Marry a Millionaire
di J. Negulesco, CinemaScope 2.55:1
''La storia non aveva niente a che fare con La tunica, soggetto ideale per il nuovo medium (...). Era da girare soprattutto in appartamenti, ristoranti, night club e altri ambienti di lusso. Era essenzialmente una commedia. La questione che tormentava me e altri era questa: poteva il CinemaScope raccontare una storia intima?''
(Jean Negulesco, regista di Come sposare un milionario)
Marilyn Monroe, ''Come sposare un milionario''
''Come sposare un milionario''
''Nessun regista aveva il potere di catturare, con il montaggio o con campi lunghi tradizionali, la magnificenza e lo spirito di New York come abbiamo fatto in questo film con una singola inquadratura dello skyline di Manhattan al crepuscolo. L'inquadratura era così toccante che il pubblico, ad una dimostrazione del CinemaScope, lo applaudì con vigore per quanto ci fosse una orchestra sinfonica che suonava''
(Jean Negulesco, regista di Come sposare un milionario)
''Come sposare un milionario''
''Come sposare un milionario''
[Le citazioni sono tratte da J. Negulesco, New Medium-New Method, in New Screen Techniques, a cura di M. Quigley Jr., New York, Quigley Pubblishing Co., 1953, pp. 174-176. Traduzione dell'autore dell'articolo]
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