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Una lezione rosselliniana

di F.F.
  David Coco
Data di pubblicazione su web 30/08/2003  

Dell'ultimo film di Paolo Benvenuti, che riapre in qualche modo il processo ai responsabili della strage di Portella della Ginestra, si è già molto discusso.

L'episodio fu per il regista pisano l'inizio di una lunga strategia della tensione, attuata dai governi democristiani in collaborazione con i servizi segreti americani, col fine di indebolire il movimento comunista in Italia. Una vicenda archiviata in maniera oscura, con l'omicidio del super-testimone Pisciotta e la collusione di politici italiani con uomini di mafia, della Chiesa e di Washington. L'accusa è durissima: la storia repubblicana italiana del dopo-guerra sarebbe nata da una menzogna e un occultamento di prove.

Le prove che Benvenuti porta per dimostrare tale teoria sono esposte apertamente, vengono fatti i nomi dei responsabili ed alla base del film c'è una documentazione di sei anni e una sceneggiatura minuziosa che l'autore ha curato con la moglie Paola Baroni. Segreti di stato ricostruisce il processo di Viterbo del'51 alla banda di Salvatore Giuliano e l'indagine dell'avvocato Crisafulli per ricostruire la verità dei fatti di quel 1° Maggio '47 della strage. Le domande restano le stesse "Chi sparò alla folla?", "Chi c'era a Portella oltre agli uomini di Salvatore Giuliano", ma soprattutto "Chi e cosa c'era dietro a quel massacro?".

E' forse sterile, in questa sede, riportare e discutere le prove e del metodo storico-indagativo cui Benvenuti ha fatto ricorso, visto che il film li espone con chiarezza assoluta. Vale forse invece la pena di concentrarsi sugli elementi filmici dell'opera, notevoli e in questi giorni quasi del tutto ignorati dalla stampa generalista.

Benvenuti arriva a questo film come una delle figure più originali del cinema europeo. Ex- pittore, rigorosissimo nel ricorso alle fonti e nella messa in scena, è autore di altri 4 film storici, ambientati sempre in epoche piuttosto remote: l'età dell'Inquisizione messa a nudo nel recente Gostanza da Libbiano, il banditismo maremmano di fine '800 in Tiburzi e addirittura i giorni della predicazione di Cristo ne Il bacio di Giuda. Allievo di Rossellini, ma ancor più debitore stilisticamente nei confronti del cinema di Dreyer, Benvenuti è qui al primo film che inquadra un episodio di memoria storica relativamente recente che rappresenta per di più una ferita aperta della nostra storia. E il film arriva proprio quando al regista è per la prima volta garantita una distribuzione efficace, e ciò grazie al piccolo miracolo cinematografico della Fandango di Procacci, che ha deciso di sostenere un film all'apparenza di difficilissima fruizione.

Un film chiaramente sui generis nel nostro panorama, a partire dal genere in cui si potrebbe collocare: il legal-thriller, per quanto lontano anni luce dall'impostazione che questo filone ha avuto negli States, quello per intenderci che sfrutta la letteratura di Grisham e dei suoi emuli. Centro dell'azione è appunto l'indagine dell'avvocato Crisafulli (Antonio Catania) che tra carceri, archivi e ricognizioni sul luogo del delitto, ricostruirà la trama politica che portò all'eccidio, poi attribuito a Giuliano e i suoi compagni.

L'azione è lineare, chiara, al limite del didascalico e certe volte persino oltre, quando ad esempio è riordinato l'organigramma dei responsabili della strategia della tensione anti-comunista. Benvenuti ha fatto un film che doveva ricordare o addirittura spiegare agli italiani cosa fu Portella della Ginestra e lo ha fatto con chiarezza estrema, pur motivando le scelte storiche. Esasperando la linearità della ricostruzione dei fatti, egli sceglie però di non venire a patti con il suo stile, organizzando un numero limitato di location su cui però lavora con precisione e cura da pittore. L'impianto resta vagamente teatrale, come in Gostanza da Libbiano dove addirittura la macchina da presa non metteva piede fuori dalla chiesa in cui si svolgeva il processo, ma ciò che l'opera soffre in staticità guadagna ampiamente in cura dell'immagine, retaggio evidentemente del background pittorico del regista.

La debolezza del film sta forse nel ricorso eccessivo a una documentazione minuziosa, che giustifica in parte la gravità delle tesi sostenute, ma ingabbia il film in uno schema di dimostrazione storica che gli 86 minuti non bastano certo a sviscerare. Più che la verosimiglianza dei fatti, la mole di dimostrazioni finisce per penalizzare proprio l'efficacia dell'intreccio, e ciò nonostante l'originale ricorso a dei fumetti-storyboard che ricostruiscono gli episodi chiave che portarono alla strage.

Segreti di stato è stato letteralmente preso d'assalto dal pubblico della Mostra di Venezia, costringendo gli organizzatori a programmare proiezioni supplementari per chi era rimasto fuori. Nell'intervista Benvenuti ha detto che si è limitato a porre delle domande e segnalare delle coincidenze, ma il polverone che ha scatenato dimostra che Segreti di stato non è un film che possa passare inosservato. I nomi sono fatti con audacia quasi eccessiva, e arrivano fino ad Andreotti e Papa Pacelli. Troppo clamore mediatico ed un'ambizione di verità che mira così in alto (e soprattutto così ricca di rivelazioni sensazionali, al di là della loro attendibilità) finiranno certamente per penalizzare il film.

Tirandosi fuori dal chiasso mediatico e dall'inevitabile sdegno di certi politici, resta da contemplare lo stile di Benvenuti e la ripresa di un cinema d'impegno sociale alla Rossellini che ha il coraggio, e non la presunzione, di scegliere la fiction invece del documentario per raccontare uno dei misteri della storia d'Italia…

Segreti di stato
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