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Casi di famiglia

di Roberto Fedi
  Lando Buzzanca e Giovanna Ralliri
Data di pubblicazione su web 07/01/2003  
Che la famiglia sia importante l'ha detto anche Ciampi a fine anno. Che alcune famiglie siano più importanti di altre lo sanno tutti. Che in Tv di famiglie si parli spesso, in serials e in trasmissioni le più varie, anche di attualità e 'del dolore', è sotto gli occhi di tutti. La cosa andrebbe, secondo noi, analizzata seriamente da un punto di vista sociologico: essendo la Tv, quasi sempre, un falso specchio della vita reale, il fatto che non si possa aprire il televisore senza vedere madri e padri che cercano figlie e figlie, e viceversa, che si abbracciano fino a strozzarsi e piangono di tenerezza, e che si vogliono un bene dell'anima, dovrebbe far pensare.

Insomma, è probabile che l'unico modo di parlare di famiglia sia oggi, per essere verosimili, quello di metterne insieme una per caso. Magari funziona anche meglio.

È quello che accade nel Tv-movie di Camilla Costanzo e Alessio Cremonini Una famiglia per caso (domenica 5 gennaio, Rai Uno), che raccoglie un po' di generi cinematografici 'a caso' (anche qui): un po' di femminismo, un po' di giovanilismo, i problemi dell'anzianità e della solitudine (ma Giovanna Ralli, anni 68, che qui si rivede volentieri, appartiene a una età un po' troppo chirurgicamente indefinibile), i casi (ma sarebbe meglio dire i casini) dei figli con genitori assenti.

Il tutto è intrecciato con una risibile vicenda di diamanti rubati (anche qui per caso), di mafiosi che li ricercano, di killer della mafia all'inseguimento; e con la struttura di un road-movie su e giù per qualche località turistica dell'Italia insulare e peninsulare - o così sembra: come sempre, nei Tv-movie italiani non si capisce mai dove si svolgano i fatti, perché lo sfondo non ha mai una funzione connotativa per la natura della realizzazione e dello script, che assomigliano troppo alle sit-com televisive; e soprattutto per le solite incapacità registiche che li contraddistinguono (per contrasto, si veda come sia importante, quasi 'parlante' la Sicilia di Montalbano).

Il che non toglie che il filmetto sia gradevole, purché non si prenda sul serio. Lando Buzzanca, nei panni di un poveraccio ormai anziano che ha perso il lavoro, vedovo e con l'unica consolazione di un cane, e che per disperazione sta per uccidersi (e anche qui: è mai successo nella realtà che una scuola di musica - che a dire il vero non si capisce bene cosa sia - finanziata dal Comune licenzi in tronco un insegnante, addirittura mandandolo a chiamare mentre fa lezione? a proposito di realismo), più che ricordare Umberto D. fa venire in mente le gags che faceva una volta in televisione; i due killer della mafia, vestiti come i Blues Brothers, non sono né comici né tragici, ma grotteschi (e poi: chi affiderebbe diamanti per 6 milioni di euro a Francesco Salvi?); Adriano Pappalardo e Andy Luotto nei panni dei capibastone della mafia che fanno la faccia feroce sembrano usciti da una sit-com di Canale5, magari con Raimondo Vianello; e così via.

Il che, intendiamoci, non è del tutto un limite, visto che il Tv-movie vuole deliberatamente muoversi su un piano di agrodolce comicità: ma, appunto, in questi casi si richiede qualcosa di diverso, e la parte 'leggera' deve scaturire nel corso della storia quasi per caso, dalle situazioni, dalle scelte di regia, e non dalla buffoneria degli interpreti (durante una corsa in macchina dei due killer-Blues Brothers, improbabile come poche, la macchina sbanda e va a finire in un laghetto: "aveva bisogno di una lavata", dice il trucido Salvi tornato fradicio a riva). E poi, per giustificare il fatto che il giovane protagonista è orfano, come si fa a inventargli due genitori saltati in aria nell'auto bomba? Mescolare il dramma vero, che tante volte abbiamo visto in questo paese, alle scempiaggini di una commediola è da bocciatura senza appello alla scuola per autori cinematografici.

L'abbiamo già detto altre volte: la fiction televisiva italiana soffre di due mali opposti. Se affronta argomenti seri o drammatici (la guerra, le lacerazioni esistenziali) è poco credibile per modeste locations, modesti attori, leziosaggini varie, difetti di sceneggiatura e di soggetto, banalità di regia; se va sul 'leggero', magari cercando di mescolare l'aspro al dolce, finisce spesso nel grottesco, caricando le situazioni e gli interpreti: e non c'è di peggio che cadere nel grottesco, quando si vuol essere amabili. Così, anche qui, non si può far interpretare la figura di un padre assente e distratto, con una figlia abbandonata dal fidanzato e che si scopre incinta (quindi, una situazione dura, tagliente, drammatica), da Giobbe Covatta: per fortuna sta in scena poco, ma per tutto il tempo sembra solo di essere al Maurizio Costanzo Show.

Postilla
La co-regista di Una famiglia per caso, Camilla Costanzo (qui alla sua prima prova), è appunto la figlia di Maurizio. La famiglia italiana sarà in crisi, casuale, sgangherata, ma accidenti se regge. Eccome.

Una famiglia per caso

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