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Il primato della visione

di Marco Luceri
  Il ritorno
Data di pubblicazione su web 05/09/2003  
E' un film dalla bellezza quasi spiazzante Il ritorno, primo lungometraggio di Andrey Zvyagintsev, regista russo classe 1964, ex attore che viene dal teatro e dalla televisione. Spiazzante perché non ci aspetta da un autore esordiente una tale completezza di stile, un tale controllo sulla materia, una tale maestria nel rendere ambienti, paesaggi, suggestioni figurative e poetiche sempre affascinanti e mai compiaciute. Condensando la passione per il cinema di Michelangelo Antonioni e l'ammirazione per quello di Wong-Kar Wai, Zvjiagitsev ci regala un film poetico e suggestivo in tutti i sensi, fatto di atmosfere, pause liriche, silenzi, pittoricismo. Un vero e proprio piccolo saggio sul cinema come da tempo non se ne vedevano, soprattutto nel cinema russo.

La storia è semplicissima: un uomo di mezza età ritorna, dopo essere stato assente per molti anni, al focolare domestico e fa finalmente la conoscenza dei due piccoli figli. Un giorno decide con loro di compiere un viaggio verso un' isola dove i tre passeranno alcuni giorni a pescare e, naturalmente, a conoscersi in maniera più approfondita. Il padre che si dimostra a volte affettuoso, ma il più delle volte burbero quando non odioso. I due figli Andrej e Ivan nutrono nei suoi confronti sentimenti contrastanti: mentre il primo è molto accomodante e si lega subito al padre, il secondo è sempre più ostile e non crede affatto nella sua buona fede. Il viaggio che si snoda tra le lunghe strade, i boschi ombrosi ed i nebbiosi, piatti paesaggi lacustri della Russia nord-orientale (il film è stato girato tra S. Pietroburgo e la Finlandia), evolve in una storia che non ha né un prima né un dopo ed elude tutte le possibili domande che lo spettatore potrebbe porre proprio sulla trama. Infatti procede dall'inizio alla fine per sottrazioni: non si chiariscono né l'identità del padre, la sua vera provenienza, il motivo della sua assenza e del suo ritorno, né tantomeno il perché dell'avventuroso, rischiosissimo viaggio sull'isola e di tutto ciò che ne consegue. Il fatto che queste domande concernenti così profondamente il tessuto narrativo restino abilmente eluse, spiega chiaramente come tale elemento sia solo un pretesto per creare un vero e proprio poema (a tratti apologetico) sul mistero delle immagini.




 

La narrazione pian piano si scioglie e lascia il posto alla visione (è qui che il giovane regista russo sembra rifarsi ad Antonioni), con i personaggi che vengono gradualmente risucchiati nel paesaggio, diventando marginali, evanescenti. Si veda a tale proposito come viene presentata la figura del padre, nella postura dormiente del Cristo del Mantegna (citazione già presente in Mamma Roma di Pasolini), e poi come viene lasciata alla fine, mentre si inabissa nelle acque del lago. Tra queste due inquadrature, l'una iniziale e l'altra finale, la caratterizzazione del personaggio, invece di chiarirsi, diventa sempre più misteriosa e sfuggente. Anche i due ragazzini, narrativamente molto più caratterizzati del padre, continuano a muoversi in questa situazione sospesa di marginalità, in una dimensione che non può definirsi passata, ma nemmeno inscrivibile in un qualsiasi presente.

La sottile, costante marginalizzazione dell'elemento narrativo è compensata da un' altrettanto crescente attenzione a quegli elementi puramente filmici, inscrivibili nella categoria del visibile, che conferiscono più di altri all'opera il suo potente impatto visivo. La resa dei paesaggi è un elemento essenziale nella decostruzione della narratività. Il lago, il mare, l'isola, i campi avvolti nelle piogge e nella nebbia, le spiagge (suggestioni tarkovskijane?) sono tutte zone di confine (fisiche e di senso), ampie vacuità liminari in cui affondare lo sguardo della macchina da presa che indugia, nasconde, rende le atmosfere misteriose e stranianti. L'inquadratura è spesso costruita in maniera assolutamente priva di centralità: la pari importanza data a paesaggio e personaggi fa si che questi ultimi non siano mai al centro dell'attenzione visiva e quindi o diventano minuti come se facessero essi stessi parte del paesaggio, o spropositatamente grandi tanto da diventare paesaggio essi stessi. In tal modo la loro marginalizzazione si rafforza sul piano narrativo, ma molto di più su quello visivo; non ci si sorprende infatti se i movimenti di macchina siano spesso lente panoramiche sul vuoto degli ambienti, sempre in campo largo, seguiti da quadri fissi dal forte impianto pittorico. Tutto ciò conferisce al film quell'aura di mistero, di vuoto che ben accompagna l'alienazione dei personaggi fino al tragico finale in cui nulla viene risolto.

Impossibile alla fine non vedere ne Il ritorno molto più che un semplice esercizio di stile. Piuttosto si presenta come un intelligentissimo (anche nella sua semplicità) sforzo di raccontare una storia fuori dal simbolismo e dalle metafore, affidando il senso vero della comunicazione non alla narrazione, ma alla visione, che riacquista in questo film tutta la sua potenza misteriosa, la prima fonte di cui il cinema si nutre.

 


Il ritorno
cast cast & credits
 




Andrey Zvyagintsev alza il Leone d'oro
Andrey Zvyagintsev alza il Leone d'oro




 
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