Qualcuno dirà che non siamo mai contenti. Può essere vero. Ma anche i più scettici dei nostri piccoli lettori (che è una citazione da Pinocchio, comè noto: in realtà sono circa un milione e mezzo al mese) dovranno ammettere che, fra tutte le testate che di televisione si occupano in tutto o in parte, la nostra ha il merito del non conformismo. Ed è appunto una nota non conformista che stanno per leggere, sotto questo titolo ben poco ‘buonista.
Stiamo per chiosare rapidamente il 55° festival di Sanremo: quello di Bonolis, per intendersi, che ha battuto gli ascolti (negli ultimi anni depressi) e ha sollevato plausi dappertutto.
Non ci occupiamo qui dellabilità bonolisiana, nota. Bensì del tono che gli autori, e lui in primis, hanno voluto dare a questa fiera delle vanità e dello stupidario nazionale. Attenzione, distratto lettore (ammesso che i nostri lo siano): non usiamo laggettivo ‘nazionalpopolare, che in questi casi si è sprecato, perché non ha il senso che di solito chi lo usa gli dà. È un attributo che deriva da Gramsci, e se non altro per il rispetto storico andrebbe usato con parsimonia. Ma si sa: la specialità degli ‘opinionisti, in qualsiasi campo televisivo, è principalmente quella di avere opinioni banali.
Ci riferiamo allatteggiamento contrito, compreso, serioso, e naturalmente genericamente populista e buonista che le Cinque Giornate di Sanremo (ormai più celebri di quelle di Milano) hanno avuto in ogni momento della loro noiosa storiellona – salvo che quando cerano canzonacce, cantantacci, scemenze, cattivo gusto e tette al vento: cioè nel 99 per cento del tempo. Storiellona che si è intersecata, nel suo svolgersi, con alcuni momenti drammatici, come sappiamo. Che si è aperta con la commemorazione in diretta (o quasi: sembra che Bonolis abbia ritardato lannuncio per metterlo in un momento televisivamente più adatto) della morte di Alberto Castagna, con grande commozione dobbligo – fra una canzonetta e laltra e una sculettata e laltra. Era un grande uomo di spettacolo, che andava ricordato (così gli autori e Bonolis). Peccato che quel giorno ci avesse lasciato anche Corrado Pani, attore serio e bravo. Dimenticato, ovviamente: chi se ne frega del teatro. A dirla tutta, mi pare un onore: averlo ricordato fra quelle stupidaggini sarebbe stato un insulto.
Ma cè stato di peggio. Ed è stato il voler verniciare la stupidità, insomma la frivolezza della cosa (Sanremo è questo, comunque lo si guardi: e in sé non ci sarebbe neanche nulla di male), di serietà e di compunzione politicamente corretta.
Così la “vita” e i suoi drammi sono entrati a Sanremo. I bambini e la fame nel mondo (eh, come ‘tirano i bambini non cè niente), a cui è stato dedicato più dun siparietto e raccolte di fondi; banalità dautore sul “senso della vita” (abbiamo così ascoltato Erri De Luca, scrittore dal passato turbolento e dal presente mistico, che con rughe e maglioncino da profeta ha letto c. sfuse – pardon – sulla vita, fra una tetta della Clerici e una dichiarazione pensosa di Ambra); faccine doccasione del Bonolis che è capace di trasmutarsi in un attimo dalla battutaccia romanesca alla solidarietà per i morti in guerra; pensierini della sera sui caduti in Iraq affidati agli ‘opinionisti delle canzonette sul palco. Tutti contenti, o tutti buoni e seriamente compresi nella loro funzione di maestri del pensiero per una nazione che è, ormai, sanremescamente unita. Finalmente.
Così Sanremo è ormai divenuto locchio privilegiato attraverso cui interpretare il comune sentire della nazione. Malattia contagiosa. Al punto che il Tg Tre (e ti pareva) ha mandato uninviata a interrogare i cantanti (pardon: gli “artisti”) sul loro pensiero a proposito di Giuliana Sgrena e la morte dellufficiale del Sismi. “Stasera canterò con più rabbia”, ha risposto una delle “artiste”, e questa eletta opinione è passata al Tiggì come un pensiero di Leopardi.
Il giorno dopo la fine delle Cinque Giornate, anche la Venier (Domenica In) ha rivelato compunta e compresa di aver parlato a lungo con la Sgrena (che in questi giorni evidentemente tra interviste e paginate scritte sul Manifesto non deve avere un momento libero: o non è ferita e “sconvolta”? boh), che le ha detto non si sa cosa. E quindi in questo paese profondi pensatori come Bonolis, la Venier, in scelti luoghi del pensiero come Sanremo o Domenica In, si sono presi – da veri ‘maestri del pensiero – il fardello di interpretare, con le loro faccine, lanima profonda dellopinione pubblica, i sentimenti diffusi dei cittadini, il pensiero filosofico o sociale che noi, poveretti senza una guida, non sappiamo esprimere. E Sanremo, tanto buono e aperto al sociale, è diventato tra il plauso universale lo specchio, anzi il cuore e il cervello del Paese.
Ma che vadano a quel paese.
|
|