drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Joshua Reynolds e l'invenzione della celebrità

di Marina Longo
  Mrs Abington nelle vesti di Miss Prue
Data di pubblicazione su web 07/03/2005  

In questo rigido e prolungato inverno Ferrara Arte propone per la prima volta in Italia, in collaborazione con la Tate Britain e sotto la curatela di Martin Postle, un percorso artistico dedicato a Joshua Reynolds, pittore inglese del Settecento noto per il contributo al genere della ritrattistica e per il ruolo rivestito nella società aristocratica del tempo.

Quanto mai appropriato il titolo scelto per la mostra, a rivelare non pochi spunti, anche esilaranti, per la comprensione della nostra cultura dominante. Che l'aristocrazia, militare e politica, si leghi da sempre a una legittimazione iconografica è indubbio; ma che nella produzione di Joshua Reynolds emergano segni incontrovertibili di una "politica dell'immagine" ha dell'intrigante, soprattutto per una cultura, come la nostra del terzo millennio, intrisa di riferimenti multimediatici.


 

Autoritratto (c. 1747-48), Londra, National Portrait Gallery
Autoritratto (c. 1747-48)




Basta introdursi nella prima sezione del percorso, dedicata all'autoritratto, per scoprire in Reynolds una costante e astuta gestione di sé. Da una parte immerso nelle suggestioni italiane, con in mano i disegni di Michelangelo in un autoritratto della raccolta degli Uffizi di Firenze (al triennio 1749-1752 risale il suo soggiorno nelle maggiori città della penisola, fondamentali per la sua formazione pittorica), dall'altra stagliato sul fondo cupamente autorevole di Somerset House, sede di quella Royal Academy of Arts che egli presiedette per anni; dapprima raffigurato nella posa di un simbolico avvistamento con la mano alla fronte (il chiaroscuro fa pensare, come giustamente sottolinea il curatore, a Rembrandt), come perfetto esempio di quella poetica della modernità e dei suoi «nani sulle spalle dei giganti», poi addirittura immortalato nei panni di un pastore adorante della Natività, lo sguardo rivolto oltre la finzione, a noi spettatori, con un meccanismo di mise en abīme talmente disorientante nella convenzionalità del contesto da far pensare ai fotomontaggi dei rotocalchi londinesi (solita proiezione della cultura postmoderna). Con gli anni diventano inscindibili dalla sua persona gli attributi delle lenti e del corno d'argento, che al difetto fisico danno la legittimazione di intellettuale lungimirante e ben disposto all’ascolto, come lo mostra altrove una incisione di Richard Earlom che rappresenta una sorta di "piano d’insieme" dell'intellighenzia inglese di Antico Regime.

E appunto a questo demi-monde di generali, letterati e attori è dedicato il resto della mostra, estroflessione forse un po' tautologica di quel paradigma di immagine così evidente negli autoritratti. Nella seconda sezione, Eroi, campeggiano il duca d'Orléans, il marchese di Granby, l'ammiraglio Keppel, il capitano Robert Orme, Lord Heathfield, Augustus Hervey conte di Bristol. Sullo sfondo si intravedono roccaforti, marine, campagne dai colori autunnali, i riferimenti di attualità militare si intrecciano alle pure ambientazioni di genere, ma la centralità, statuaria e michelangiolesca, dei soggetti non è mai intaccata, si aggiunge semmai un surplus di allusioni che i destinatari dell'epoca dovevano avere ben chiare (come nel caso di Keppel ritratto durante la felice conclusione di un processo intentatogli dalla corte marziale, che segnò per Reynolds l'adesione al partito dei whig).

Scivolando attraverso la sezione degli Aristocratici, dove grande incidenza hanno i ritratti femminili, di giovani nobili virtuose e in età da marito e dunque committenti di una iconografia di «contrattazione matrimoniale» cui Reynolds si prestava volentieri (le sorelle Waldegrave o le due Montagu), oppure di affascinanti e chiacchierate signore dell'epoca georgiana, esaltate in più o meno verosimili pose materne (la duchessa di Marlborough o quella di Devonshire), si approda al Tempio della fama, che conserva alcuni dei ritratti più ispirati di Reynolds per amore del dettaglio fisiognomico lontano dalla cerimonialità. Sicuramente spicca quello di Laurence Sterne, con il volto ossuto, gli occhi provocatoriamente rivolti a chi guarda, le labbra dischiuse in un sorriso beffardo, quasi che stia meditando particolari satirici del suo Tristram Shandy.



 

Le Lady Waldgrave (c. 1780-81), Edimburgo, National Gallery of Scotland
Le Lady Waldgrave (c. 1780-81)


 

Non meno accattivanti le raffigurazioni di David Garrick, celebre attore shakespeariano nonché amico di Reynolds (che pure ne criticava l'ossessione narcisista...), nei panni di Kitely, il mercante della commedia di Ben Jonson Ognuno nel suo umore, e in una incisione celebrativa, conteso tra le muse della Tragedia e della Commedia, che tuttavia non consentono un riscontro approfondito dell'arte recitativa di Garrick, tanto decantata dai contemporanei per versatilità e naturalismo. Più caratterizzanti, tanto da far pensare a certi personaggi di goldoniana memoria, sono invece i ritratti del brillante impresario e drammaturgo Sheridan, del poeta musicista dandy Bampfylde, del Gibbon autore della Storia della decadenza e caduta dell'impero romano, che nell'aspetto flemmatico evoca la senescenza del suo amato oggetto di studio, oppure del necrofilo Selwyn, politico ineccepibile quanto inquietante.

La quinta sezione coagula altri ritratti di «grandi uomini» attorno a Streatham, casa del produttore di birra Henry Thrale che amava appunto commissionare quadri dedicati ai frequentatori della sua residenza affinché questi potessero rispecchiarsi in un doppio teatrale non del tutto adulatorio: Samuel Johnson con i suoi tic, il miope Giuseppe Baretti, il musicologo Charles Burney afflitto da sordità, la salottiera intellettuale e un po' prude Mrs Thrale. Quest'ultima non accettò il gioco di identificazione, ma si trattava dell'eccezione che conferma la regola: pur nell'ostentazione quasi caricaturale dei caratteri l'occasione pubblicitaria era imperdibile, lo dimostrava la diffuzione della stampa coeva.

Le ultime due sezioni della mostra, Ritratti femminili e Il teatro della vita, si addentrano in atmosfere di una mondanità più domestica e intimista, che avvolgono volti e corpi forse più cari a Reynolds, di amiche, amanti, modelle e muse ispiratrici. Come Kitty Fisher (ammirata anche da Casanova) che sfoggia una pietra preziosa nelle vesti di Cleopatra, oppure gioca divertita con un pappagallo; come Nelly O'Brien, rivale della Fisher, o come l'attrice Frances Abington, l'icona della mostra ferrarese, ritratta nei panni del personaggio di Miss Prue, seduta allo schienale di una sedia con il pollice sensualmente appoggiato sulle labbra (chissà che l'onnivoro Godard di A bout de souffle non avesse presente il quadro). Per quanto in trasfigurazioni allegoriche e celebrative la femminilità dei soggetti si trasmette in sintonie più immediate, come nei casi della cantante Elisabeth Sheridan trasfigurata in Santa Cecilia, di Elisabeth Billington che con il suo canto seduce i cherubini, della celebre attrice Sarah Siddons dipinta come musa della Tragedia, della meno nota attrice Miss Morris come incarnazione della Speranza che nutre Amore (ma la repentina morte della giovane vanificò lo scopo propagandistico, privando la personificazione mitologica del necessario rinvio connotativo).

Gli ultimi quadri aggiungono a questi omaggi più o meno galanti tocchi di esotismo alla moda, nelle raffigurazioni del giovane polinesiano Omai (sbarcato in Inghilterra nel 1774 e inevitabilmente visto come esemplificazione del buon selvaggio) o della «bella greca» Mrs Baldwin, che amava mostrarsi in pubblico in abbigliamenti orientali (Reynolds la ritrae con le ginocchia incrociate in atteggiamento volutamente anticonformista), ma c'è anche la leggerezza nostalgica delle mascherate attorno a cui ruotavano gli intrattenimenti dell'alta società inglese, come nel ritratto della piccola Miss Crewe (morta prima che la tela fosse portata a termine) che ricorda i volti evanescenti dei comici di Watteau. Suggestioni del tramonto di un'era. Forse non è un caso che Reynolds pronunciasse il suo ultimo discorso pubblico nel 1790, in piena tempesta rivoluzionaria: quelle lenti con cui vezzosamente si faceva ritrarre non gli avrebbero permesso oltre di leggere gli eventi, non al di là della cerchia illuminata ma autoreferenziale del suo mondo.

Si consiglia vivamente la visita, prima che i quadri riapprodino in terra natale, riuniti nella Tate Britain (da metà maggio) per riesumare il secolare patriottismo britannico.




Joshua Reynolds e l'invenzione della celebrità

Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 13 febbario-1 maggio 2005
 

 


David Garrick nelle vesti di Kitely (1767), per gentile concessione di S.M. la regina Elisabetta II
David Garrick
nelle vesti di Kitely
(1767)


 

 

Ferrara Arte S.p.a. in collaborazione con la Tate Britain.

Mostra a cura di Martin Postle



www.palazzodiamanti.it 


 

 



 



Omai (1776), collezione privata
Omai (1776)




 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013