drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Memorie cinematografiche

di Marco Luceri
  Bu-san
Data di pubblicazione su web 30/08/2003  
Avevamo lasciato Ming-Liang nel 1994 proprio qui al Lido, dopo che ebbe ricevuto il Leone d'Oro per Vive l'amour, film che commosse e colpì per la sua intensa originalità. Una vecchia conoscenza della Mostra, dunque, questo regista malesiano classe 1957 con uno dei più attesi tra i film in concorso.


 

Bu-san è un film che più di ogni altro forse risente del profondo amore che il regista nutre per il cinema vissuto, quello che si viveva nel mondo prima dell'avvento della TV, il cinema delle sale piene fino all'inverosimile, dove si andava non solo "per vedere un film", ma anche per ridere o piangere insieme e magari sognare. L'approccio di Ming-Liang è denso sì di nostalgia, ma anche di profonda amarezza per quell'epoca perduta e infatti la storia di Bu-san è ambientata oggi, nella notte precedente la chiusura di un vecchio cinema. La sala, in cui si sta proiettando un vecchio successo di 36 anni prima, Dragon inn, sembra vuota, è silenziosa, eppure la giovane protagonista vi scorge qualche spettatore. Stessa cosa toccherà ad un suo coetaneo, che in cerca di compagnia, incontra misteriosamente un uomo che assomiglia ad uno degli attori del film proiettato. Uomo o fantasma? Forse non c'è risposta, anche perchè nei corridoi dell'edificio sembrano aggirarsi altri vecchi attori: seduti, soli, consumati dalla vecchiaia, siedono piangendo.

Il quadro è dunque molto triste, eppure in questo edificio che prima aveva vissuto un'epoca fastosa, in questo non-luogo o luogo della memoria ci sono ancora tracce di esistenze nel silenzio soffocante e triste dei corridoi, della sala, dei bagni, della cabina di proiezione, della biglietteria. Fantasmi si diceva, forse, e non personaggi che il cinema Fuhe ancora raccoglie, proseguendo la sua dignitosissima attività: emarginati, donne zoppe, giovani irreqiueti, bambini solitari.

 

La costruzione tecnica che Ming-Liang è riuscito a fare in poco più di un'ora è pregevole quanto coraggiosa: praticamente quasi assente la sceneggiatura (in tutto il film non ci sono più di dieci battute, se si esclude la canzone del finale e le didascalie recitate all'inizio!), l'immobilismo asfissiante del film si nutre esclusivamente di due elementi: le azioni, lentissime, meccaniche ed insicure dei personaggi e la macchina da presa che procede per quadri, per inquadrature fisse in campo largo. Si ha la sensazione di essere in una sorta di labirinto abbandonato, molto spesso l'inquadratura è costituita da piani che si intersecano (scale e rientranze sembrano costruire quasi un montaggio interno all'inquadratura) o da semisoggettive che fanno guardare allo spettatore un altro spettatore interno al film che guarda un altro film: un continuo rimbalzare dei punti di vista che confonde e spiazza. La fotografia contribuisce in maniera essenziale alla resa di questi luoghi spogli e tetri: gli ambienti sono quasi sempre scuri e la fonte di luce è lontana e ben poco riconoscibile da chi ne dovrebbe essere illuminato. Gli unici sussulti sonori sono legati quasi unicamente alle porte che si aprono, agli sciacquoni dei bagni, al goffo rumore che fa una donna zoppa mentre sale i gradini delle scale o percorre con una lentezza disarmante i lunghi corridoi, o a quello che fanno due spettaori solitari che mangiano patatine e caramelle.

Solitudini, silenzi, pochi vecchi e tristi fantasmi, una sala completamente vuota (mostrataci in un'inquadratura fissa e larga che dura oltre tre minuti!), si riavvolge per l'ultima volta la pellicola e poi cala inesorabile la saracinesca, le luci si spengono, e la pioggia scrosciante accompagna nel freddo la giovane donna; solo ora possono partire la musica e le parole di un vecchio successo radiofonico che parla di amore e di addii. E forse questo non poteva essere finale migliore per un atto di amore di un uomo di cinema verso un'epoca già troppo lontana, che irrimediabilmente non tornerà più, vista con nostalgia ed amarezza. Resta, sottile, solo il filo della memoria, anche se, come recita la frase finale di uno dei vecchi attori, "di noi ormai non si ricorda più nessuno".


Bu-san
cast cast & credits
 



 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013