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Haru No Saiten / Un sacre du printemps

di Marina Nordera
  Compagnia Ariadone
Data di pubblicazione su web 03/06/2001  
Il Gruppo Ariadone, unica compagnia di danza butoh tutta al femminile, diretta da Carlotta Ikeda e Ko Murobushi, ha presentato Haru no Saïten - Un Sacre du Printemps. Il riferimento al Sacre di Stravinsky cui il titolo allude è innanzi tutto un pretesto che introduce al tema del rito di iniziazione, di passaggio e di trasformazione. Dal punto di vista musicale si percepisce, nel momento culminante della pièce, la campionatura del tema parossistico finale della composizione di Stravinsky, mentre attraverso la struttura compositiva sapientemente costruita del lavoro di Ikeda, emergono citazioni coreografiche dalle versioni storiche del Sacre, di Nijinsky, di Martha Graham e di Pina Bausch.

Nelle intenzioni di Ikeda la pièce mette in scena la transizione dal Caos, all’Eros al Cosmos. Sei giovani donne che compaiono in scena dall’indistinto e si compongono in un cerchio, da cui tutto inizia, intraprendono un percorso in cui si alternano la lentezza del movimento portata al limite dell’immobilità e il parossismo scatenato dalle pulsioni erotiche. Dallo stato di quiete (sonno o non essere) le sei danzatrici si muovono in pericoloso equilibrio tra grottesco e ironico, mostrando come la bellezza nasconda sempre l’insidia del suo contrario. I loro corpi sono scossi da movimenti violenti che evocano in modo esplicito e quasi didascalico le contrazioni proprie degli attacchi di isteria e del parossismo delle tarantolate.

Impressionante la sequenza delle urla inespresse che sconvolgono volti e corpi delle danzatrici mute. Al culmine della climax parossistica compare Carlotta Ikeda, con la femminilità matura dei suoi sessant’anni, in un incedere ieratico che si svela come stato di trance, a guidare il passaggio da un età all’altra del femminile. La transizione induce trasformazioni del corpo e dell’immaginario, sboccia sulla scena una luce intensa e frastagliata, ad annunciare una primavera conquistata o ritrovata, una rinascita della natura che può avere origini soltanto nel contrasto e nell’incontro delle differenze. Il rito così immaginato e messo in scena, oltre che avere una dimensione esistenziale, sembra celebrare anche il felice incontro tra tradizioni coreiche distanti nel tempo e nello spazio, quella orientale e quella occidentale, secondo un progetto che Ikeda persegue da sempre.

Dopo aver ricevuto una formazione di danzatrice classica in Giappone negli anni Sessanta (prende il suo nome d’arte dalla celebre ballerina italiana Carlotta Grisi), si avvicina al modernismo espressionista di Mary Wigman, incontra poi la danza butoh, fino ad allora elaborata e interpretata principalmente da uomini. Nel 1974 crea la propria compagnia, composta di sole donne e negli anni Ottanta ci stabilisce in Francia.

In Haru no Saïten - Un Sacre du Printemps tre delle danzatrici (giapponesi) compaiono in un polveroso e sfilacciato tutù, ironiche, goffe e ammiccanti. Le altre tre (europee), negli accenti interpretativi della qualità del movimento e della gestualità tipica della danza butoh, rivelano l’appartenenza a una cultura altra. E ancora, mentre la costruzione coreografica è attenta a preservare gli equilibri formali tra corpo e spazio in un classicismo compositivo che ha fatto tesoro della tradizione europea, il disequilibrio, la crisi, il disarmonico e il grottesco, la decostruzione e la spinta all’annientamento sadomasochistico e necrofilo del corpo cui la danza butoh tende, qui sono affidate principalmente all’espressività individuale. Ed è proprio nella compenetrazione profonda e consapevole delle due tradizioni che si rivela la forza dello spettacolo.


Haru No Saiten / Un sacre du printemps
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