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Edipo della trilogia

di Sara Mamone
  Edipo a Colono
Data di pubblicazione su web 21/05/2004  
Edipo a Colono è, tra le tragedie di Sofocle, una delle meno rappresentate, schiacciata tra l'immensa grandezza della precedente Edipo re e il fascino più moderno e comprensibile di Antigone che si dividono più o meno equamente i favori di una moderna riproposizione del mito: la prima con la inarrivabile efficacia del ritmo drammaturgico che ne fa il più serrato (e certo il più grande) giallo della storia, la seconda con la creazione del personaggio femminile più capace di offrirsi a letture politiche senza subire le deformazioni dell'ideologia, oggidì, in particolare, quella femminista.

Se si va un po' più indietro nel tempo c'è però un altro grandissimo e non troppo ameno testo che incunea i suoi nervi e il suo sangue nella tessitura mitica dei due momenti estremi della vicenda della progenie dello sfortunato figlio di Laio, portando a compimento gli effetti della maledizione del destino (e di Edipo stesso) nei confronti dei figli che lo hanno scacciato da Tebe e creando le premesse per la successiva tragedia di Antigone: I sette contro Tebe, in cui Eschilo mostra gli effetti della lotta fratricida tra Eteocle e Polinice, figli di Edipo che hanno tradito il patto di governare a fasi alterne e che si ritrovano tra le mura di Tebe a capo di due eserciti ostili e su quelle mura moriranno, consegnando il potere nelle mani di Creonte, l'arrogante fratello di Giocasta, madre e nonna, insieme, degli sfortunati fratelli.

 

Toni Bertorelli in Edipo a Colono
Toni Bertorelli in Edipo a Colono


Del serial dei Labdacidi Mario Martone ha costruito una trilogia politica nel senso alto e "ellenico" del termine, in cui l'espunzione della più attraente Antigone a vantaggio della più dura e collettiva tragedia di Eschilo mostra (senza i possibili malintesi del sentimento di cui è intrisa ogni possibile moderna lettura della tragedia sofoclea) le lacrime e il sangue di cui gronda ogni potere, la radice amara della pur grande, la più grande delle civiltà, basilare per la costruzione delle regole della nostra società civile. Il progetto di Mario Martone, se non è il risultato di un'ossessione (ché Martone ci pare troppo ragionevole per essere abitato da demoni) è certamente il frutto di una meditata e sincera passione politica, di lunga durata, di grande respiro anche cronologico: la prima prova, I sette contro Tebe, per il teatro Nuovo di Napoli, con la collaborazione di Andrea Renzi, poi parzialmente confluita nel film Teatri di guerra è del 1996; la seconda, Edipo re, per lo stabile di Roma al teatro Argentina è del 2000). E il progetto trova in questo Edipo a Colono, presentato nel suggestivo e immenso spazio multifunzionale del teatro India di Roma, il suo spazio ideale.

Martone è figlio, culturalmente, della generazione dei grandi che hanno portato il teatro fuori dal teatro all'italiana, inventandogli spazi nuovi e decisamente più suggestivi, imprevisti, coinvolgenti: Peter Brook, Ariane Mnouchkine, Peter Stein, Luca Ronconi, Eugenio Barba etc., coloro che hanno restituito al teatro il senso dell'eccezionaltà e dell'"evento". Quindi è lì che vanno cercate le cifre stilistiche e di riferimento del regista napoletano, insieme ad una personalissima ricerca spaziale e figurativa che trova, in questo caso, in Mimmo Paladino il partner scenografico ideale, autore di una spazialità specifica che si sposa a meraviglia con quella strutturale del luogo. Pensiamo alla scena d'inizio, nel piazzale dismesso dell'ex Mira Lanza, al calar del sole, quando l'immensa pietra circolare fa da sfondo all'arrivo sperso dei due fugghiaschi (padre e figlia) schiacciati dalla miseria, dalla fatica; alle centinaia di candide scarpe infisse nel muro alle spalle degli spettatori a suggerire forse il senso, liberato da ogni pesantezza fisica e quasi favolistico, di un lunghissimo peregrinare.

Belle e significanti invenzioni visive sono poi la grande piscina posta sullo sfondo della reggia di Teseo ad Atene, la città dove i fuggiaschi sono giunti a chiedere riposo e ospitalità (la piscina, lavacro lustrale che purifica padre e figlia prima dell'ingresso nella reggia, si tinge poi di rosso, contaminata dal sangue di uno scherano di Creonte quando il tebano viene a imporre la sua logica di guerra e aggressione), e il piano inclinato sul quale, apertesi le mura del palazzo sul misterioso vuoto della natura Edipo sparisce alla vista di tutti, seguito soltanto da Teseo, il generoso, il giusto, che avrà da lui l'ultimo vaticinio e soprattutto si assicurerà, con la presenza del suo corpo nel territorio della città, la vittoria nell'imminente guerra.

Questi gli elementi che potrebbero fare di questo un grande spettacolo, insieme alla lettura attenta del testo, che qui per la prima volta appare ben più complesso e teatrale di quanto comunemente si creda, ben più sfumato nella sua monoliticità, tanto da accettare senza troppo soffrirne la manipolazione finale che attribuisce ad Antigone una carica anarchica a nostro avviso incongrua ma che - lo ripetiamo - non stride troppo con la coerenza generale. Tra i meriti dello spettacolo il protagonista Toni Bertorelli il cui impegno fisico, la gestualità, la mimica sono sempre fortemente ancorati al testo di cui, anche nei momenti di maggior possessione interpretativa, costituiscono interpretazione e sottolineatura, mai virtuosistica dissonanza. Formidabili tra gli altri, oltre ai più evidenti e facili momenti di intenerimento e sofferenza quelli, mai come in questo allestimento messi in evidenza, del non sopito, e niente affatto nascosto, rancore nei confronti dei figli. Rabbrividente la sua maledizione nei confronti di Polinice, interpretato con inedito e rassegnato smarrimento dall'eccellente Valerio Binasco, in un duello col padre che ci fa intravedere quanto grande sarebbe stato questo spettacolo con un diverso interesse verso il complesso degli interpreti e con un più ferma mano registica.

Se infatti Andrea Renzi regge con la consueta intelligenza e con più che accettabile dignità il ruolo "positivo" del re ateniese e Gianfranco Varetto interpreta correttamente un Creonte inopportunamente ridotto a "malamente" di quartiere con un ammodernamento tanto incongruo quanto superficiale, gli altri sono francamente al di sotto di ogni linea interpretativa. Pare proprio che Martone si sia riservato il compito di gestire la creatività spaziale e gli altri debbano un po' arrangiarsi. Certo la faciloneria con cui Creonte viene ridotto a macchietta mentre è, piaccia o non piaccia, l'esponente di una antica e non democratica, ma pur sempre coerente, idea di stato e di governo, non depone a favore di un approfondimento complessivo della ricchissima tessitura del testo. E anche l'abbandono di personaggi importanti come Antigone e Ismene alla soggettiva buona volontà degli intepreti non giova. O l'incomprensibile sciatteria dei costumi, di segno banale, brutti e "insignificanti" come di rado accade di vedere. Per fortuna Loredana Putignani ci risparmia stivali e redingotes, cosa di cui le siamo grati, ma non basta. In uno spettacolo che comunque va segnalato per impegno e ampiezza di respiro, di giuste ambizioni in tempi di penuria, sarebbe stato doveroso impegnarsi di più.

Edipo a Colono
cast cast & credits
 




Edipo a Colono
Edipo a Colono



Toni Bertorelli
Toni Bertorelli



 
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