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Una tragedia affidata agli attori

di Gherardo Vitali Rosati
  Edipo re
Data di pubblicazione su web 29/06/2004  
Edipo, rannicchiato nel grembo della madre, le parla con modi infantili chiedendole notizie sul proprio passato e adoperando gli stessi atteggiamenti che caratterizzano i bambini a dialogo con i propri genitori. La sua ragione è ben lontana dal vero, ma i suoi sentimenti sono già chiari, almeno per noi che compatiamo profondamente la sorte di questo predestinato alla sventura. Ogni sua parola dunque riesce a scuoterci, forse perché grazie alla quasi totale assenza di scenografia non possiamo collocarla in un tempo lontano e siamo costretti a sentirla anche nostra o forse perché quelle parole, egregiamente tradotte da Salvatore Quasimodo, sono pronunciate con un ritmo tremendo che, se non ricreando la metrica classica, riesce comunque a ferirci e a costringerci a partecipare a quel profondo dolore.

E in effetti la scenografia non c'è: un ammasso di cadaveri riempie la scena ad evidenziare la disgrazia della peste, elemento motore dell'intera vicenda, forse a ricordo dell'epidemia che aveva sconvolto Atene pochi anni prima la composizione dell'opera. Oltre a questi, che saranno continuamente spostati nel corso dello spettacolo - tanto da perdere la loro sacralità, troppe volte inutilmente toccati – pochi altri elementi vengono introdotti per poter suggerire emozioni. Nella scena citata è un grande tappeto che occupa il proscenio e si trasforma ai nostri occhi in un letto regale, mentre a separarlo dagli indiscreti sguardi dei cittadini si erge una teoria di tendaggi bianchi, sostenuti da un coro di uomini.

Spetta dunque agli attori la parte centrale della tragedia: i ruoli principali sono affrontati da attori di rilievo che ne trasmettono il dramma interiore. Sebastiano Lo Monaco non abbandona il suo istrionismo nella prima parte dell'opera in cui dà vita ad un Edipo prepotente e sbruffone che minaccia di grandi mali l'assassino di Laio: la sua indole, comunque assai coinvolgente, si addolcisce nel corso dell'opera diventando ora pungente (nei dialoghi con i servi), ora più dolce (con Giocasta e le figlie). Accanto a lui spicca Tiresia nell'alta interpretazione di Mario Scaccia che si rivela ideale per dar vita ad un personaggio troppo lontano dalla contingenza per poter temere le minacce di Edipo. Veramente notevole è anche Francesca Benedetti che crea una Giocasta tanto forte in tutta l'opera quanto profonda nell'abissale dolore che la porta alla morte.

L'aspetto più problematico di questa rappresentazione risiede sicuramente nel coro: il tentativo di Michele Abbondanza di suggerire con le coreografie quell'atmosfera epidemica dovuta alla peste riesce solo parzialmente, risultando troppo macchinoso per poter esser fatto proprio dai singoli coreuti. Vediamo dunque un gruppo di uomini che eseguono strani movimenti che non gli appartengono, nei quali qualcun altro ha trovato un significato che rimane loro troppo distante. Il problema della parola è ancor più profondo, risolto spesso con eco infinite che permettono a molti elementi di ripetere lo stesso verso con passiva obbedienza.

Ma gli attori protagonisti riescono mirabilmente a trasmettere l'atrocità della tragedia: le minacce iniziali di Edipo come pure il suo finale abbraccio ad Antigone e Ismene, di cui noi conosciamo il tremendo destino ci sconvolgono profondamente, sicuramente aiutati da quel teatro povero potentemente citato. Il ritmo incalzante dell'Inchiesta del protagonista, quella ricerca affannosa che lo conduce alla rovina, è poi comunicato con le originali musiche di Dario Arcidiacono, che riescono a coinvolgerci nella tragedia.

 


Edipo re
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