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Alceste apre la stagione del Regio di Parma

di Gianni Cicali
  una scena dall'Alceste
Data di pubblicazione su web 28/12/2004  

L’Alceste di C.W. Gluck è andata in scena, come prim’opera della stagione operistica 2004-2005, al Regio di Parma. Si tratta di un capolavoro dal peso storico-musicale consistente. Rappresenta l’aspetto (il più avanzato del suo tempo) di un’opera italiana che intende riformarsi dall'interno, sfuggire alla dittatura dell’interprete ma anche alla rigidità degli schemi recitativi-arie di Metastasio, che a loro volta erano stati una risposta ordinatrice alla ‘confusione’ delle arie e delle strutture dell’opera del primo ’700.

Alceste debuttò al Burgtheater di Vienna nel 1767. La prima edizione della partitura (Vienna, 1769) contiene un’interessante prefazione di Gluck (forse aiutato da Ranieri de’ Calzabigi, autore del libretto) in cui si legge: «Quando presi a far la Musica dell’Alceste mi proposi di spogliarla affatto di tutti quegli abusi, che introdotti o dalla mal intesa vanità de’ Cantanti, o dalla troppa compiacenza de’ Maestri, da tanto tempo sfigurano l’Opera Italiana». L’intento è sottrarre sia l’opera italiana, sia il compositore alla dittatura esercitata dai cantanti dell'epoca su musica e drammaturgia a volte anche contro il ‘buon senso’ e andando solo nella direzione dell’esibizione del virtuosismo personale.

La struttura dell’Alceste può risultare a un pubblico più abituato all’afflato e all’energia romantiche e italiane di Verdi quella di un’opera algidamente rococò che apre e inventa il classicismo. Alceste, tuttavia, è adattissima, per l’importanza e lo spazio che i cori hanno al suo interno in forma affatto originale, a un teatro come il Regio di Parma in cui il coro, uno dei migliori in Europa, è spesso protagonista delle serate liriche parmensi.

L’Alceste di Liliana Cavani, chiamata alla regia insieme a Dante Ferretti, scene, e Alberto Verso, costumi, ha sofferto, a nostro avviso, di una lettura-traduzione che ha finito per allontanare il pubblico da una musica e da una drammaturgia che non concedono molto allo ‘spettacolare’. La scenografia intendeva giustamente rinviare al contenuto classico programmatico dell’Alceste  (ripresa della tragedia di Euripide) con una sorta di palazzo regio ‘emulo’ esplicito della scena fronte palladiana dell’Olimpico di Vicenza. Tuttavia, i costumi, un melange stilistico di abiti dell’aristocrazia-alta borghesia e dei militari di primo Novecento, non hanno funzionato, come non ha funzionato l’idea di una corte mittleuropea indefinita che sostituisse la Tessaglia del re Admeto e di Alceste. L’immissione di un elemento novecentesco non ha aiutato in questo caso a tradurre un’opera come l’Alceste di Gluck (dai molteplici significati: musicale, drammaturgico, massonico) attraverso un effetto straniante risultante dalla ‘collisione’ di drammaturgia, musica e costumi. Fuori luogo e ingombrante il treno diretto verso un non meglio identificato campo di prigionia o sterminio tedesco e usato per accogliere le anime in attesa di varcare il fiume infernale: non tanto per per l'evidente forzatura e per il suo significato, quanto per la stonatura tra l’oggetto e lo spazio-sfondo ‘palladiano’.


Figurini di Alceste
Figurini per le dame di corte


La musica di Alceste non è facile e non trascina le folle. Ha una struttura maestosamente adamantina che, proprio come le parole di Gluck nella prefazione del 1769 lasciano intendere, niente lascia al protagonismo virtuosistico dei cantanti che sono chiamati più a un ‘virtuosismo virtuoso’ piuttosto che a un brillante o scoppiettante inanellarsi di arie e festoni musicali-vocali. Inoltre la trama dell’opera è straziante e luttuosa: il sacrificio di Alceste, moglie del re Admeto malato, che chiede alle divinità di morire al posto del marito. Nella scena finale, Apollo (vero deus ex-machina), mosso a compassione dal gesto estremo della regina, riporterà Alceste in vita e all'affetto del consorte guarito e dei figli. Nell’edizione originale era previsto che il dio discendesse su una nuvola, 'strumento scenografico' in uso fin dal '400. Nella ‘visione’ della Cavani il nume arriva in veste di gentiluomo di campagna, quasi giovin signore, con corteggio di allegri villici con mazzi di spighe in mano e abiti chiari ed eleganti, quasi cechoviani. A volte si dovrebbe ripensare e riproporre fedelmente le soluzioni previste dall’originale dell’opera. Si otterrebbe un effetto straniante molto più ‘educativo’ e d’effetto mettendo in scena prime donne con i guardinfanti settecenteschi e divinità discendenti da nubi rococò piuttosto che un confuso miscuglio di uniformi parazariste e di aristocratici e borghesi da Baden-Baden.

Figurini dei costumi di Alceste (corteggio di Apollo)
Figurini (corteggio di Apollo)


Bravi gli interpreti, tra cui si segnala la notevole Alceste di Anna Caterina Antonacci, capace di interpretare un ruolo difficile e faticoso, dalle sfumature molteplici, vocali e drammatiche, e dalle difficoltà canore forse non così evidenti ma presenti e ardue. A parte il coro, ottimo come sempre, gli altri intepreti-personaggi si attestano tutti su un buon livello, come l’Admeto di Donald Kaash, anche se non aiutato da un gestire felice. L’orchestra, seppur eccellente e ottimamente diretta da Bruno Bartoletti, a tratti non è sembrata dare i giusti rilievi alla complessa e nitida partitura di Gluck e, sebbene non abbiano disturbato la resa generale, si sono sentite anche delle piccole, veniali, sbavature. Lo spettacolo è stato nell’insieme impegnativo (oltre quattro ore). Un’Alceste bella e ben interpretata, una produzione sontuosa che però, a nostro avviso, è parzialmente riuscita nella traduzione registica della drammaturgia musicale.







Alceste
tragedia in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama


C.W. Gluck, ritratto nel 1755 (Vienna, Kunsthistorisches Museum)
C.W. Gluck,
ritratto nel 1755
(Vienna, Kunsthistorisches Museum)
web:
Regio di Parma

 


 

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Anna Caterina Antonacci
(Alceste)



foto
Roberto Ricci
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