drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Medea nel siculo purgatorio "dantesco"

di Giulia Tellini
  Medea
Data di pubblicazione su web 10/03/2004  
Nel desolante microcosmo delimitato da quattro persiane fatiscenti e dal portone di una chiesa si muove la Medea incinta di Iaia Forte che, elegante e colta, si trova per caso catapultata in uno sparuto villaggio siciliano abitato da un prete-padre, da cinque donne sterili (interpretate da uomini) e da un lascivo re obeso. Le voci straniate e le ancestrali melodie dei fratelli Mancuso, stornellatori-menestrelli sul limitare della scena, fanno da eco alle vicende di Medea proiettandole in una poetica dimensione quasi fiabesca. Ora ride ora piange, ora schiaffeggia ora bacia, ora urla ora bisbiglia, ora ama ora odia questa Medea-Grande Madre che, ora in abito da sposa ora in lutto, ora tarantolata ora affabulatrice, dà vita e la toglie circondata dalla grottesca sterilità di un coro di donne-lumaca incatenate alla propria persiana e al proprio dialetto. Al contrario, Medea parla italiano (come anche Giasone e Creonte) e la sua parte rimane fedele al dettato euripideo. «Il lavoro più grande che sto facendo – dice la regista Emma Dante – è sul coro. Tutto riscritto». Esce, all'inizio, dal portone della chiesa. Nella chiesa la protagonista ha trovato rifugio in un indifferente, desertico, asfittico borgo meridionale dove i suoni (pettegolezzi e gorgogli di pance che sognano, invano, una gravidanza) provengono solo dall’interno di persiane chiuse. L'unica che può avere dei figli - che ne avrà - non li vuole e, nel primo tempo, rischiando un aborto naturale, si pugnala il grembo con lo stesso cucchiaio usato dalle donne del coro per imboccarla («Magna Medea, nun ce penzà. Ridi Medea, tu'ssì figlia du'Sole»). Fra corredini ricamati, bacinelle d'acqua, lumini, ex voto, confessionali, coccarde azzurre e rosa, inquietanti bambolotti ed ostie, si snoda una storia antichissima, avvicinata alla sceneggiata napoletana e condita, scrupolosamente, in salsa newage. 

 
Rimangono nella mente alcune scene da antologia: la danza bacchico-animalesca di una Medea posseduta, scalza, scarmigliata e in sottoveste intorno al re Creonte che, in mutande e con l'elmo addosso, si sta facendo la barba. Al termine di questo perturbante cerimoniale, l'elmo è sulla testa di Medea che si trova, a sua volta, fra le gambe del re. Memorabile anche l'arrivo di Giasone, l'arricchito, l'arrinisciuto, («puttaniere» lo apostrofa il coro), catenella al collo e codino, la valigia piena di giocattoli per i figli, il portafoglio di soldi per l'ex moglie e la bocca di collosa retorica da quattro soldi («io quella l'ho sposata per te, tu sei fortunata» dice mentre si asciuga le ascelle con le tendine di una persiana e si pettina davanti al suo specchietto). 


Iaia Forte
Iaia Forte



Più delirante e onirico rispetto al primo, il secondo atto, deliberata apologia del kitsch levatino, sembra ormai sganciarsi dalla matrice classica e volgersi stancamente verso un tipo di cinema che mescola a reminescenze pasoliniane, il colorismo elettrico di Fassbinder e i dogmi acquosi di Von Trier. Acqua benedetta, acqua per lavarsi, liquido amniotico: «Mi piace – dice la Dante – che ci sia sempre il rumore dell'acqua come se si fosse dentro questo grande ventre di Medea». Arriva il momento in cui le acque si rompono e Medea partorisce sulla scena cinque gemelli per tutte le donne del coro che, cullandoli, intonano "Son tutte belle le mamme del mondo" accompagnate dallo struggente arrangiamento dei Mancuso. Acceca, poi, questo secondo atto un allucinato e allucinante flash surrealista (Medea vestita da sposa che, soffocata da un velo-ragnatela, attraversa il palco micromuovendosi, alienata, a scatti meccanici): «E' come se si anticipasse – spiega la Forte – l'immagine di Creusa agonizzante nelle fiamme e come se Medea, dopo il parto, ritornasse vergine». Bussa e bussa Giasone, in lacrime, al portone della chiesa mentre Medea sta annegando i figli nell'acqua del battesimo. Il prete, il messaggero di Dio, dopo aver teso uno spago di persiana in persiana, impartisce, davanti ad una carrozzina funebre, la comunione alle donne del coro che si avvicendano nello stendere ad asciugare i panni gocciolanti dei bambini morti. Medea piange in un angolo. Intanto i Mancuso cantano, con potente climax tragica, una avvolgente Ave Maria sicula intorno ad un Giasone che, distrutto, contempla la propria fine.


Frutto di tre anni di incubazione, lo spettacolo è studiato nei minimi dettagli e denso di suggestioni etniche. Si sovrappone, però, all'immediato entusiasmo provocato dall'ultima scena un vago, lì per lì inspiegabile, disagio. Ritrovatasi la Dante in una selva oscura di cori riscritti e di corpi scrutati e mossi con perizia da burattinaia, smarrisce nel mezzo del cammin la diritta via tracciata da Euripide che ogni tanto fa capolino, ospite non desiderato, nei monologhi della protagonista come quello conclusivo con i figli fra le braccia: Iaia Forte, nerovestita, immobile in mezzo alla ribalta con in collo cinque bambole, recita, la voce rauca mantenuta sempre su un registro tenue, il celebre pezzo di bravura, croce e delizia del virtuosismo di generazioni di grandi attrici. «Ho voluto togliere – dice la Dante – la medeite a questa Medea». Più che altro, la Dante ha adottato Medea credendo che fosse ormai orfana di Euripide. Preso spunto dal testo greco, ha tessuto un elaborato saggio intellettualistico e viscerale, fra psicanalisi ed antropologia, delle proprie mitologie e idiosincrasie. Di conseguenza, ha perso per strada (volutamente) la tragicità del testo, ha abbandonato un po' a se stessa e ad Euripide l'attrice principale mentre era impegnata a concentrarsi sul coro e su vari colpi di genio registici.


Complimenti, comunque. Alla giovane Emma Dante, al coraggio, alla vivace fantasia visionaria ed alla ricchezza di estro. Con la speranza che in futuro dosi meglio se stessa ed il testo scelto o metta in scena testi propri senza rischiare così di inciampare ancora nella frammentarietà. Complimenti ai ragazzi-tuttofare del coro. Complimenti all'affascinante Tommaso Ragno che dà vita a questo Giasone fratello ricco di Stanley Kowalsky. Ed una menzione d'onore, infine, a Iaia Forte che ha reso con umiltà e protervia, delicatezza e violenza l'enigmatica «cangiantezza» metateatrale della protagonista.


Medea
cast cast & credits
 



Iaia Forte e Tommaso Ragno
Iaia Forte
e Tommaso Ragno


 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013