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The Final Cut

di Marco Luceri
  Un'immagine del film
Data di pubblicazione su web 10/05/2004  
La vendetta è un piatto che va servito freddo": così si apriva la pellicola di Kill Bill vol. 1. Eppure, passati pochi mesi di spasmodica attesa, il cappa e spada infinito della sposa Uma Thurman riprende per deliziarci di sangue, amore e follia. Nel suo infinito cortocircuito postmoderno, Tarantino ci guida nel suo (o nostro?) mondo di violenza epica, commovente ed artificiale, come nei b-movies da lui tanto amati ed elevati a poesia. In questo caso, poesia del cinema. Scopriamo le carte allora: questo Kill Bill (Vol. 1 e Vol. 2, intendiamoci, impossibile pensare quest'opera d'arte se non come un unicum), film della maturità per il ragazzaccio di Hollywood, è un capolavoro assoluto, un film importantissimo, di cui si continuerà a parlare anche nei prossimi decenni, se non altro perché le sue rutilanti immagini sono già di diritto entrate nel mito del nuovo secolo.

Tutto ci si sarebbe aspettato da Tarantino, tranne che sarebbe diventato lui (sì, proprio lui!) il regista che avrebbe dettato la linea, che avrebbe detto al mondo del cinema quale strada percorrere oltre il Novecento (che si è chiuso, cinematograficamente parlando, con il funereo epilogo riassuntivo di Eyes Wide Shut). Il "chi siamo e dove stiamo andando" tarantiniano ha però il cuore che batte ancora nel pulp, nel pop, nella centrifuga ossessività della violenza americana, nelle contraddizioni di una cultura fatta ancora di fantasmagorie, velleità, miserie e splendori. Ma la storia del cinema si fa anche così.

La seconda parte di questa epica saga postmoderna si apre, infatti, proprio nel bianco e nero sgranato delle vecchie pellicole, che ci riporta là dove la storia si era interrotta, alla fine del Vol. 1, sulla zona d'ombra di un aereo, in cui la giovane sposa compilava la sua "Death five list", con in fondo il nome di Bill, lo sposo omicida. Da subito però l'onirica ed ironica sequenza di uccisioni surreali che aveva contraddistinto la prima parte lascia il posto all'intimità, ai sentimenti, alle bicromia argentata di Bill Richardson, al flashback.

Dopo l'apparizione di Beatrix (finalmente il suo nome dantesco non è più coperto dal beep) davanti a un falso fondale in stile hitchcockiano, si fanno le prove generali delle nozze che di lì a poco si trasformeranno in massacro. Dall'interno della chiesa, il portale che si apre sugli sterminati spazi deserti è lo stesso di Sentieri selvaggi, ma Uma Thurman non è John Wayne e Tarantino non è Ford, quindi il gioco delle citazioni, ironico quanto velato, si ferma subito per scoprire lui, Bill (David Carradine), straordinario mix di calore paterno e perfida minaccia.


Vivica A. Fox, Michael Madsen, Lucy Liu, Daryl Hannah

 
Questa sequenza iniziale ha una costruzione da manuale, con un serratissimo alternarsi di dettagli: prima i piedi che avanzano (con lo schermo diviso perfettamente a metà), poi gli occhi che si scambiano gli sguardi, con la Thurman che sembra improvvisamente al posto di Charles Bronson nell'incipit di C'era una volta in west. Poi, il sangue, la violenza, ma niente ci viene mostrato! Tarantino non fa ri-vedere la scena del massacro privandoci di quel sadico, divertente piacere del sangue assaporato nel Vol. 1. È uno smacco allo spettatore, ma il regista mette subito in chiaro che ci troviamo di fronte ad una pellicola diversa da quella vista in precedenza, almeno per due aspetti: riferimenti cinematografici e sviluppi tecnico-narrativi.

Per quanto riguarda i primi, alla passione per i cartoni, per il cinema di Bruce Lee e quello degli yakuza giapponesi si sostituisce lo spaghetti-western di Sergio Leone, le atmosfere alla Sergio Corbucci, l'horror-thriller di Lucio Fulci, e i film di arti marziali cinesi. Gli omaggi a Leone sono disseminati in tutto il film, che deve molto al crudo realismo, ai paesaggi sconfinati (ampio l'uso distorto che Tarantino fa del grandangolo), alla cerimonialità delle conversazioni e soprattutto all'insistenza sui dettagli, tutti tratti tipici del "western all'italiana"; non da meno è l'omaggio a Lucio Fulci nella terrificante, claustrofobica scena in cui la sposa è seppellita viva in una bara di legno, sottoterra: qui Tarantino ci lascia nel buio totale per oltre un minuto, privandoci del nostro unico, ma potente diritto di guardare; basta che la mdp entri in soggettiva perché noi, depauperati spettatori storditi, siamo scaraventati lì dentro a gemere e a sudare con Beatrix.

Ma niente paura, grazie ai magistrali colpi di arti marziali imparati dal maestro Gordon Liu (nei panni di Pai Mei), la Sposa dal nome dantesco saprà ripercorrere un'altra risalita dagli inferi. Impossibile, ma bellissimo. Il santone in questione è proprio l'eroe dall'interminabile barba bianca protagonista in moltissimi cappa e spada cinesi (figura speculare al Sonny Chiba del Vol. 1, che, a detta di Bill, odia i bianchi, le donne e gli americani. Eppure è stato lui ad addestrare, oltre a Bill stesso, tutte le sue deadly vipers, compresa Beatrix, che stoicamente ha accettato di patire ogni pena pur di compiacere la sua vocazione di natural born killer.

Se il gioco delle citazioni potrebbe essere infinito, merito assoluto di Tarantino è quello di aver confezionato una sceneggiatura perfetta, che dal punto di vista narrativo riempie alcune lacune presenti nel Vol. 1. Se la prima parte di Kill Bill deve i suoi maggiori pregi proprio alle rocambolesche scene in cui si consumano decine di delitti e all'adrenalina che tiene lo spettatore inchiodato alla sua poltrona, la seconda parte pone meno l'accento sull'azione per far emergere maggiormente le emozioni ed i sentimenti. Riappaiono infatti le logorroiche, surreali discussioni sui feticci della modernità, già magistralmente usate ne Le iene e in Pulp fiction; può capitare, così, di assistere ad equilibrismi verbali incentrati sulla fenomenologia di Superman o sulle fatali dosi velenose di un rarissimo serpente africano, usato dalla furiosa Elle Driver (Daryl Hannah) per truffare il decaduto e sciocco Budd (il fratello di Bill, interpretato da Michael Madsen). Tuttavia, ad un dilatarsi dei tempi lunghi (i dialoghi, i monologhi, le pause riflessive ecc.) corrispondono, con una simmetria quasi maniacale (una sorta di montaggio alternato all'interno della narrazione), le scene di violenza, via via più efferate, macabre e rivoltanti. Questo per ricordarci che siamo sempre in un film di Tarantino, un autore, cioè, che non ama certo le mezze misure e a cui piace creare quel pathos epico che conferisce al film un'aura di fatalismo molto marcato.


Uma Thurman

 
Ecco allora inquadrature ardite che si alternano a semplicissimi campi/controcampi oppure i brevi dettagli alla Leone che lasciano il posto ai lunghissimi piani sequenza: tutto asservito alla potenza demiurgica del regista, che però sa farsi (molto intelligentemente) spesso da parte e mettere la mdp al servizio dei suoi attori, per esaltarne al meglio le capacità di grandi interpreti. Se a ciò aggiungiamo che i signori in questione portano i nomi di Uma Thurman, David Carradine, Daryl Hannah e Michael Madsen è facile comprendere come Kill Bill debba molto anche allo straordinario lavoro fatto da Tarantino con e sugli attori.

Michael Madsen è perfetto nella parte di Budd, il penultimo degli scagnozzi di Bill che la Sposa deve ammazzare: un ex duro fatto e finito, un assassino decaduto, ma ancora pericoloso, che vive in una roulotte in pieno deserto; esibendo capelli lunghi, tatuaggi e un cappello da cowboy texano, gioca tutto sull'aggrottare le sopracciglia per scoprire, di volta in volta, un sorriso o un occhiata che possa uccidere; micidiale e sonnacchioso come molti dei personaggi interpretati da Madsen nella sua carriera (sempre in ruoli da poliziotto bruciato, detective insonne, assassino, carcerato: basti citare film come Le iene, Almost blue, Getaway, Donnie Brasco, Die another day).

Splendida anche Daryl Hannan (l'ex acrobatica androide del mitico Blade Runner e soprattutto ex Sirena a Manhattan) nella parte dell'assassina più pericolosa, Elle Driver, forse il personaggio più "assoluto" del film, la cattiva per eccellenza (una sorta di Bette Davis all'ennesima potenza e, naturalmente, con una katana di Atori Anzo in più), connotata da una benda sull'occhio destro e dal macabro fischietto già udito nel Vol. 1. Bionda, sinuosa, esile, slanciata, vestita sempre di cuoio nero, Elle Driver è "solo" una spietata macchina di morte, pronta a tutto, ai colpi proibiti e agli inganni più perfidi e meschini, quelli fuori dai codici d'onore di qualsiasi arte marziale. Ma paradossalmente sarà proprio la sua furia omicida così bassa e meschina ad esserle fatale e non ci sarà nessun serpente a proteggere il suo occhio superstite dalla sete vendicativa di Beatrix.

David Carradine (interprete del memorabile Cole Younger, il fuorilegge sudista della banda di Jesse James, immortalato in I cavalieri dalle lunghe ombre di Walter Hill, oltre che del telefilm dei primi anni '70 Kung Fu) invece dà volto e voce a Bill, la cui morte è l'obiettivo della vendetta e la ragione etica del film: nella parte che inizialmente doveva essere di Warren Beatty, Carradine ci regala, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera, un indimenticabile farabutto filosofeggiante, un killer che, suonando il flauto, mischia il sorriso grottesco con il ghigno suscitato dalla nostalgia o dal dolore: un cattivo che prima di abbracciare il Male ha conosciuto, per così dire, "il lato chiaro della forza", ed è perciò il più pericoloso e questo giustifica, forse, la lunga odissea che la Sposa deve compiere per ucciderlo su un nuovo, sanguinario altare, quello della vendetta.

Forse è superfluo dire che Kill Bill è Uma Thurman e viceversa: il film è uno straordinario atto d'amore di Tarantino per quella che ormai è la sua attrice simbolo, il volto e il corpo che identificano il suo cinema. Se in Pulp fiction, nella parte della cocainomane fatale Mia Wallace, si era ritagliata una parte importante, ma non di protagonista assoluta (la struttura frammentaria del film non lo permette), in Kill Bill la Thurman ha tutta la scena per sé, come nella migliore tradizione delle eroine regali: una nuova Medea con gli abiti di Bruce Lee.


Uma Thurman

 
Nel Vol. 2 conosciamo di Beatrix il lato più femminile, quello materno, e in lei si concretizzano i valori assoluti dell'esistenza umana: l'odio, la forza, la fede, ma soprattutto l'amore e l'attaccamento alla vita. Tutti sentimenti forti che giustificano, nell'ottica di Tarantino, questa straordinaria avventura di sangue e violenza, che è la storia di ogni "terribile" viaggio di conoscenza vissuto dall'uomo nel suo immaginario. La risata finale della Sposa che, portata a termine la vendetta, abbraccia la sua bambina singhiozzando ripetutamente "grazie" è l'ultima forma di liberazione dal male e dall'angoscia, oltre che uno straordinario epilogo giocato sulla semplicità dei sentimenti eterni.

È per questo che Kill Bill è un manifesto, altezzoso e provocatorio, un luogo di celluloide dove vanno a convergere i ritmi e la violenza visiva dei nostri tempi. Epico, ossessivo, paranoico, veloce, retrò, trendy, trash, pop conserva però, e ciò lo rende un capolavoro, ogni possibile sentimento lirico. L'immagine non è più simulacro della vita: sentimenti ed emozioni, la violenza come la dolcezza, sono "la" nuova lingua della settima arte, e dunque del mondo. Questo nuovo linguaggio, sorta di grado zero da cui poter ripartire, è una linea di confine, una (conradiana) zona d'ombra tra tutti gli altri autori e Tarantino. Rispettivamente: da una parte i film, dall'altra il Cinema.  

Kill Bill Vol. 2
cast cast & credits
 


 

 


 

 




 

 
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