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Da Simon a Simon. Da Firenze a Parma

di Gianni Cicali
  Simon Boccanegra
Data di pubblicazione su web 24/05/2004  
Un quadro, un libro, un film sono quello che sono e lo rimangono per sempre. Un testo teatrale, anche se segnato, vergato, scritto e riscritto dal proprio autore con tutte le didascalie immaginabili, darà sempre vita a testi, alias spettacoli, diversi. Il piacere risiede nell'assistere alla vita che ad un testo i suoi interpreti sanno dare.

Il nuovo allestimento del Simon Boccanegra al Regio di Parma, ha offerto questa opportunità, certo non unica, visto che ogni sera in tutto il mondo uno stesso testo ha vite diverse a Londra, a Roma o a Los Angeles. Non poteva sfuggire il paragone con il Simon andato in scena al Maggio Musicale Fiorentino nel 2002. Ma non vogliamo addentrarci in paragoni musicologici tra le difficili sfumature interpretative date da due grandi direttori, Abbado nell'occasione fiorentina, Bartoletti in questa di Parma.



 


Simon Boccanegra



 
Il Simon non è stata opera che ha dato grandi soddisfazioni a Verdi. Fischiata clamorosamente alla Scala, fu rivista dall'autore molti anni dopo, durante un ripescaggio voluto dal vecchio Ricordi (la versione definitiva dell'opera scritta da Verdi è del marzo 1881). Tralasciando i pur importanti aspetti storici e musicologici, l'impressione lasciata dalla serata fiorentina e da quella parmense è profondamente diversa. Non interviene solo una diversa sensibilità artistica, quanto soprattutto l' 'esigenza' del luogo. Nella messinscena del Maggio, a parte una regia sospesa tra genio e banalità (Peter Stein), prevaleva la ricerca di una fluidità come principio di lettura di questa drammaturgia musicale verdiana. Si sentiva l'esperienza mitteleuropea di Abbado che ha 'letto' Verdi come poteva fare un ex direttore dei Berliner. Inevitabilmente il segno di quella 'traduzione' della drammaturgia musicale era spostato verso una lettura più musicale e forse meno attorico-spettacolare.

A Parma, invece, abbiamo assistito non a uno spettacolo diverso (ovvio), ma soprattutto a un modo di fare spettacolo e di intendere l'opera diversi. L'orchestra, il coro e gli interpreti nel loro insieme hanno offerto una scansione drammaturgica necessariamente più esposta alla paratassi, a una frammentazione espositiva. A Parma i cantanti e le loro performances sono tutto, sono importanti e attesi nella loro prestazione atletico-artistica più che in altri teatri. È naturale che la direzione e la regia ne tengano conto e ne siano, volenti o nolenti, influenzati.

Il ricordo della fluidità, dell'amalgama musicale, lasciato dall'interpretazione di Claudio Abbado a Firenze, è sostituito dal succedersi di arie e 'quadri'. La struttura, ancora segnata dalle 'convenienze' (cioè il numero e la tipologia di arie che spettavano a un ruolo, ossia a una prima donna, a un tenore e così via), si offre quasi come una struttura ad edicole di un palcoscenico per una sacra rappresentazione medievale in cui la drammaturgia si 'spostava' da un un punto all'altro in attesa dell'evento rappresentato in uno dei luoghi deputati (il tempio di Gerusalemme piuttosto che la bocca dell'inferno).



 

Simon Boccanegra

 


Quale delle due 'letture' proposte (Abbado-Stein, Bartoletti-De Ana) sia migliore, a prescindere dall'impegno dei singoli, è solo una questione di gusti. Resta il fatto che sia il modo fiorentino, sia quello parmense hanno proposto due grandi spettacoli di una grande opera. La scenografia allestita per Parma è stata particolarmante suggestiva. Un grande bassorilievo isocefalo di stile medievale sospeso sul palcoscenico compariva tra un atto e l'altro. Rappresentava una cerimonia di dignitari, come quelle che si vedono in tanti sarcofagi latini, e dava il 'La' a un allestimento a tratti claustrofobico, chiuso tra immense quinte di legno ruotanti che mostravano sia l'intelaiatura di legno - quasi fosse l'interno di grandi portali - sia preziosi bassorilievi dorati, sempre di gusto medievale, per l'interno della reggia del doge. A tratti, quando il mare, così presente in quest'opera di Verdi, 'entrava' in scena, le quinte lignee si aprivano per gettare il chiarore della natura nell'oscurità avvelenata delle stanze del potere.

Aleggiava un 'ricordo-ispirazione' proveniente dalla reggia della zarina-Dietrich (The scarlett empress) ricostruita per 'suggestioni' dalla mente barocca di von Sternberg. I personaggi, imprigionati in pesantissimi e bellissimi costumi (alcuni dai lunghissimi strascichi che anch'essi ricordavano il cinema 'dei' mantelli infiniti di Ivan il terribile di Ejzenstein), davano vita a questa rappresentazione paratattico-medievale dalla trama purtroppo brutta, complicata e 'malgestita' da Francesco Maria Piave. Il Simon Boccanegra di Carlo Guelfi (Simone anche a Firenze) è stato sostenuto, oltre che dall'ottima interpretazione vocale, da una recitazione che, pur seguendo un cliché, è risultata efficace; frutto anche dell'esperienza dell'interprete in questa parte. Grande prova per Riccardo Zanellato-Jacopo Fiesco, in una parte a metà strada tra il ruolo di padre-tiranno e padre nobile; molto applaudito Fabio Armiliato nella parte di Gabriele Adorno, un ruolo da innamorato in cui ha potuto dar lustro a una potente e solida voce tenorile. 



 

Carlo Guelfi



 

Daniela Dessì nella parte di Amelia/Maria Boccanegra, la figlia 'ritrovata' di Simon, ha certo dimostrato mestiere e qualità, ma ha privato il suo personaggio di certe caratteristiche 'leggere' da innamorata facendo divenire 'donna', piuttosto che giovane innamorata, Maria Boccanegra. In breve, le è mancato un registro interpretativo 'evocativo', in particolare nella sua prima aria sullo sfondo del mare privata di quelle sfumature ‘magico-sognanti’ che le sono proprie (atto primo, scena I, "Come in quest'ora bruna / Sorridon gli astri e il mare!"); un'aria che segna un brusco passaggio dal clima congiurante e complicato del prologo a quello del primo atto che si apre, appunto, con una scena esposta che si stempera tra notte e alba: brezze marine, sogno, malinconia di una giovinetta. Gianfranco Montresor ha dato all'infido Paolo Albiani carattersitiche sospese tra il villain e il fool, specialmente nella parte finale in cui è arrestato e condotto al supplizio.

Infine il coro. Il celebre coro del Regio di Parma ha come di solito concesso una prova eccellente. Tuttavia la regia di Hugo de Ana (anche scene e costumi) non ha saputo, a nostro avviso, calibrarne bene l'azione e le 'irruzioni' in scena, tanto che i movimenti delle 'masse' sono risultati poco efficaci e intempestivi smorzando così l'effetto che la musica prevedeva per loro. Una piccola pecca in un allestimento in cui scene, costumi ma soprattutto orchestra, coro e cantanti sono stati degni dei pur alti standards del Regio di Parma. Poco convincente l'illuminazione artificiale della coppa di veleno somministrato a Boccanegra. Ricordava in forma bricolage il bicchiere di latte dell'Ombra del dubbio di Hitchcok senza ottenerne minimamente l'effetto e, in fondo, la didascalia prevedeva semplicemente "Un tavolo: un'anfora e una tazza".

Il Simon ha aperto in modo degnamente spettacolare l'ormai consueto e prestigioso Festival verdiano che si concluderà a giugno inoltrato e presenterà, tra gli altri appuntamenti, opere come La dannazione di Faust di Berlioz e Il corsaro di Verdi.

Simon Boccanegra
melodramma in un prologo e tre atti


cast cast & credits
 
trama trama



Daniela Dessì
Daniela Dessì


 



 


 

Roberto Scandiuzzi
Roberto Scandiuzzi




 

 
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