drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Non si va a Roma senza passare per Napoli. I "Decemviri" di Scarlatti

di Gianni Cicali
  La caduta dei decemviri
Data di pubblicazione su web 19/07/2004  
Da diversi anni il Festival Opera Barga, piccola ma preziosa creatura 'inventata' dai coniugi Hunt e curata adesso dal figlio Nicholas, propone delle rarità barocche. Quest'anno l'apertura è stata affidata al rarissimo Scarlatti della Caduta dei decemviri che andò in scena al teatro reale di San Bartolomeo di Napoli (o forse, prima, a palazzo reale) nel dicembre del 1697. Non entrerò nel merito musicologico, pur importante, della partitura di Scarlatti (che affido ai validi 'barocchisti') ma mi soffermerò su altri dati emersi dallo spettacolo.

Questi piccoli festival sono occasioni a metà strada tra il vacanziero-chic (très chic) e l'occasione musicale e artistica di alto livello. Potrebbero essere il luogo di felici e interessanti sperimentazioni ma non ci sembra che questa sia la volontà primaria, nonostante la raffinata intelligenza di proporre un tale repertorio. Repertorio tuttavia anche obbligato se si vuole dare una rilevanza a una microscopica realtà spettacolare (e per microscopico non intendiamo certo qualcosa di negativo, anzi tutt'altro considerando la peste di musical caciaroni, delle bocelliate e delle pavarottiate).

Opera Barga ha sempre, con alterni risultati, 'costretto' in un certo senso, i propri registi a trovare soluzioni ingegnose che facessero convivere dei limitati mezzi economici (e l'esiguità spaziale di un teatrino accademico di provincia) con l'obiettivo di un'offerta che deve comunque presentare uno oggetto-spettacolo compiuto, originale e degno del livello delle riscoperte di partiture e libretti sei-settecenteschi.
 

Sandro Botticelli, Storie di Virginia (Bergamo, Accademia Carrara)
Sandro Botticelli, Storie di Virginia
(Bergamo, Accademia Carrara)


L'allestimento di questa Caduta dei decemviri è stato affidato ad Alessio Rosati, giovane costumista e scenografo che sta iniziando anche un'attività registica 'parallela' che gli auguriamo intensa e ricca di soddisfazioni. Nonostante una scrittura registica calligrafica non ci si discosta, anche in questi Decemviri scarlattiani, da una tendenza oramai consolidata: riproporre sempre più 'fedelmente' costumi e scene che diano un'idea di per sé 'straniante' di un passato operistico-spettacolare. Quindi grandi parrucche Luigi XIV per i personaggi aristocratici (segno che li distingue dai plebei) e costumi che ricalcano filologicamente (quasi) quelli secenteschi, in una cornice di felici (perché semplici) soluzioni scenografiche che alternavano cupi fondali dipinti con scene di battaglie cruente ad ariose scenografie 'all'aperto' con giardino risolto attraverso raffinate sineddochi, fino a cupe gallerie (il canone delle scene, in parte anche per le opere comiche del secolo successivo, è sempre articolato in galleria, giardino, piazza, gabinetto ecc.).

Ma, a parte i bei costumi (bella l'idea dei preziosi drappi-strascico semiologia di una gerarchia dei ruoli) e le scene, che raggiungono l'obiettivo di soddisfare gradevolmente un pubblico particolare, la lettura-interpretazione del testo non è stata forse degna dell'occasione o, piuttosto, è stata un'occasione mancata. Infatti, non si può dimenticare che la storia della plebea Virginia sacrificatasi durante il decemvirato dell'antica Roma (la trama è ripresa dal III libro di Tito Livio) fu, con finale cambiato in happy end (Virginia sopravvive 'miracolosamente' al colpo mortale che le infligge il padre per sottrarla al disonore della lussuria del decemviro Appio), rappresentata a Napoli, il che ebbe un suo importante peso nelle scelte drammaturgiche sia dell'autore del libretto, sia dell'autore delle musiche.

La drammaturgia presenta un originale inserimento di personaggi buffi (il servo Flacco e Servilia, governante di Virginia) che nell'opera del '600 e in parte del primo '700 agivano di solito nelle scene finali degli atti, ma che qui, invece, partecipano attivamente alla sviluppo della vicenda oltre a prodursi in lazzi al limite dell'osceno. Proprio il fatto di essere andata in scena a Napoli consente a quest'opera, dunque al librettista, una più agile, libera e creativa gestione della parte comica. Nella capitale del Sud la tradizione dei buffi all'interno di opere règie è più sensibile che altrove. Ancora, il servo Flacco che per sfuggire alla punizione dopo la caduta del suo padrone, l'aristocratico Appio, si traveste da donna, anzi, seguendo esattamente la didascalia, da vecchia (III, 14), e che per non farsi riconoscere finge di tartagliare è la cifra dell'importanza che la specificità localistica assume in questa drammaturgia. Infatti, il ruolo di vecchia è tipicamente napoletano e in quella città aveva una lunga tradizione interpretativa.

Nella prima napoletana del 1697 Flacco fu interpretato niente meno che da Giovan Battista Cavana, basso buffo tra i più importanti del suo tempo. Al teatro di San Bartolomeo, così come nella Cappella Reale di Napoli, erano sempre scritturati, almeno fino agli anni Quaranta del Settecento, buffi di alta qualità (col termine buffo erano definiti gli interpreti delle parti comiche), impegnati sempre negli intermezzi comici (o direttamente nella 'trama' dell'opera seria) e che potevano fregiarsi del titolo di "virtuoso della Real cappella". Cavana aprì una tradizione di buffi forestieri che ebbe il suo culmine con Gioacchino Corrado, buffo bolognese che però agì sempre, tranne una volta (forse), a Napoli come buffo 'regio'.

E Napoli ritorna sensibilmente nella musica esplicitamente napoletanissima per l'aria di Appio (II, 16) "Del caro mio tesoro". Operisticamente la città del golfo non è un luogo come un altro; il fatto che un'opera, specialmente di quell'epoca, abbia avuto una 'prima' al San Bartolomeo ha una sua importanza che forse andava tenuta in maggior considerazione.

Ci si chiede, assistendo a questi begli spettacoli di Festival Opera Barga, se sia giusto riesumare tali preziosi reperti drammaturgico-musicali del passato in queste forme. L'operazione non ha avuto carattere strettamente filologico, direi 'grazie a Dio' perché la filologia applicata all'opera barocca soffre e soffrirà sempre di una lacuna fondamentale: si possono (forse) ricostruire le modalità di esecuzione, le partiture, i libretti ma non si può ricostruire un pubblico e i suoi modi di assistere a un'opera. Quindi, 'sciropparsi' testi integrali con tutti i "da capo" e così via se non si può agire come spettatori dell'epoca (che chiaccheravano, 'si guardavano', copulavano, mangiavano, stavano in piena luce essendo la sala illuminata, erano serviti da lacché che si affollavano nei retropalchi, inviavano messaggi - come oggi con gli sms ma allora con bigliettini - a qualche dama o cavaliere, si facevano portare l'orinatoio dal servitore ecc.) potrebbe diventare una tortura. Napoli e Venezia, per fortuna, non erano Bayreuth, non ci si concentrava in raccoglimento mistico per ascoltare un'opera, anzi si mangiavano gelati (sorbetti) mentre una seconda parte (cioè un cantante di poco conto) cantava-recitava un'aria sbrigativa (le cosiddette arie del sorbetto).

Quindi ottima e intelligente la scelta di operare ampi tagli sul libretto per sveltire il percorso che drammaturgia e pubblico devono fare insieme. Tuttavia, la filologia si poteva 'recuperare' non ignorando il 'dato' napoletano presente in questa Caduta dei decemviri anzi esaltandolo in modo appropriato. Un dato, ripeto, a nostro avviso fondamentale, se anche un Cavalli aggiunse alla sua Statira 'napoletana' importanti e originali inserti buffi non presenti nella sua Statira 'veneziana'.

Per ciò l'invito - nonostante l'apprezzamento per una regia intelligente, e per una pulita esecuzione dell'orchestra barocca "Il Rossignolo" (diretta da Ottaviano Tenerani) e dei cantanti (soprattutto Elena Cecchi Fedi Appio; Lucia Sciannamico Servilia; Ivan Garcia ottimo Flacco e la bella e brava Stefanna Kybalova Virginia) - è dimenticarsi un calligrafismo anche colto ma pur sempre da vetrinismo di lusso in favore di una lettura non filologica in senso integralista ma in senso più ampio e 'spettacolare'. E infatti il pubblico ha apprezzato soprattutto le scenette caricatamente comiche di Flacco e Servilia tributando loro i più calorosi applausi. Non so quanto questo sia positivo o negativo.

Forse questi piccoli, amabili, preziosi festival dovrebbero concedersi maggior coraggio nella 'lettura-proposta' di queste rarità, anche se comprendiamo che, data la composizione e le attese del pubblico (composto anche da raffinati turisti americani o tedeschi), la direzione artistica non intenda intraprendere scelte che potrebbero snaturare un lieto connubio pubblico-Opera Barga ormai consolidatosi nel tempo e di cui siamo felici e che fa onore alla direzione di questo piccolo-grande evento estivo in uno dei più bei paesini della Garfagnana.

La caduta dei decemviri / Festival Opera Barga
opera in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama
 


 


La caduta dei Decemviri



 

 


 

La caduta dei decemviri




 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013