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Orfeo Ermafrodito

di Lorenzo Mattei
  Orfeo ed Euridice
Data di pubblicazione su web 11/10/2004  
La stagione lirico-sinfonica della neonata "Fondazione Petruzzelli" è stata inaugurata dall'Orfeo ed Euridice di Calzabigi-Gluck, nella primigenia versione viennese (con l'aggiunta di due balli scritti per l'adattamento parigino del 1774, tra cui quello accompagnato dal flauto solista, la cui infinita bellezza ne giustifica l'inserimento a discapito di pignolerie filologiche). Questa «azione teatrale per musica» – il cui autentico colore orchestrale resta un ens rationis, dato che nessun direttore tipo Christie, Rousset, Florio si è preso la briga di darne un'interpretazione – ancora oggi pone ardui problemi per una sua resa sul palcoscenico, non solo perché intrinsecamente legata allo spirito e alle durate della festa di corte, ma anche perché incentrata su una drammaturgia costruita per giustapposizione di quadri, opposta a quella concezione del dramma come un tutto unitario 'alla Verdi' che ci portiamo volenti o nolenti appresso come termine di paragone per giudicare l'efficacia drammaturgica di un lavoro teatrale. Se a ciò si aggiungono un'orchestra inadeguata e scelte direttoriali che non dinamizzano gli stacchi di tempo, che rischiano di fare collassare il discorso musicale, ben si comprende come la risorsa offerta dalla regia e dalla coreografia possa apparire unica ancora di salvezza per accattivarsi l'uditorio.


 

Orfeo ed Euridice




Il trentacinquenne attore neo-regista Antonio Latella, opta per un Orfeo uomo/donna – riallacciandosi a scelte registiche già collaudate da nomi celebri – in abiti muliebri identici a quelli indossati dall'amata; il binomio del titolo diventa così un personaggio 'doppio', dando luogo ad un gioco di rifrazioni efficace: quando Orfeo si volta per guardare Euridice – le due bravissime cantanti Silvia Tro Santafé (pronuncia perfetta alias grande tecnica) e Teresa Di Bari erano in ginocchio e di profilo – infondo egli vede se stesso come in uno specchio. Meno felice l'idea di rendere Amore come un clown uscito – non si sa perché – da un'opera buffa: Stefania Donzelli sfoggiava così gesti e movenze vocali da dramma giocoso (a voler rendere la calviniana leggerezza che contraddistingue l'Amore di Gluck le strade sono altre). Di autentico cattivo gusto, visti i tempi che corrono, la presenza di una serie di bare per il tombeau di Euridice (poi nel II atto issate per creare un doppio livello tra mondo superiore e inferiore). Altra scelta (questa volta suggestiva e idonea allo spirito dell'opera) sempre indirizzata a rendere dinamica la monumentalità e a far trascorrere gli insostenibili tempi della partitura, è stata quella di dislocare il coro degli spiriti beati (Vieni a' regni del riposo, una delle pagine corali più intense della Storia della Musica) nella platea per avvolgere l'ascoltatore e immetterlo nella trama polifonica gluckiana (tornando al tema dello specchio: i coristi ne avevano in mano uno che ponevano sotto gli occhi degli spettatori; e sempre specchi erano le sagome antropomorfe degli spiriti beati sorrette dai ballerini).



 

Orfeo ed Euridice

 


In uno spettacolo come l'Orfeo ed Euridice non stupisce che la coreografia svolga un ruolo di primo piano (lo fece anche nel 1762 con le invenzioni di Angiolini) e Deda Cristina Colonna si sbizzarrisce nelle idee (un'allegoria di eros e thanatos accompagna le note della sinfonia), pur seguendo la linea del regista: ovvero (1) giocare sull’ambiguità di identità sessuale (uomini e donne indossano crinoline, sfruttate poi per splendidi giochi compositivi: i ballerini nella scena infernale formano una sorta di Momix, un drago infernale, la cosa più bella dell'intera coreografia), (2) attribuire toni buffoneschi o ironici all'«azione teatrale» (perché tuttavia svilire gli stentorei e simbolici accordi – do min. fa min. sol min. – che precedono il coro di furie con gesti che ricordano i puttini della Fantasia disneyana?), (3) alludere alla sfera dell'erotismo (risolta poi in direzione procreatrice, vista la schiera di bebé tenuti in braccio dai coristi per la parata finale). 



 

Orfeo ed Euridice

 


Essenziale ma elegante la scenografia di Emanuela Pischedda (un'enorme cetra stilizzata sul fondo del palcoscenico e un altrettanto gigantesco pentagramma con rilucente 'notazione esagonale' per i balletti finali e l'ultimo coro – il cui montaggio ha però richiesto imbarazzanti minuti di silenzio alla gente che non sapeva se lo spettacolo fosse finito o no. Terribile la decisione di spezzare in un atto e mezzo + un atto e mezzo l'opera: se è vero che simili assembramenti oggi non sono inconsueti per melodrammi 'barocchi', qui nell'Orfeo separare la scena infernale da quella successiva degli Elisi che ne rappresenta l'antitesi luminosa è una pura follia che denuncia profonda ignoranza dell'operazione culturale che sta dietro all'opera (non succedeva nulla a dilazionare il caffè di una ventina di minuti! e il pericolo di stancare l'uditorio con un lavoro di durata così contenuta era inesistente!). Forse si dovrebbe completare la citazione dantesca proiettata sul sipario prima della sua apertura in questo modo: «Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate [di vedere allestito l'Orfeo ed Euridice nel suo autentico spirito]».

Orfeo ed Euridice
opera in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama


Orfeo ed Euridice


 
 
 

 
 
 
 
 

Orfeo ed Euridice





 
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