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L'orditura della memoria

di Carmelo Alberti
  Ascanio Celestini
Data di pubblicazione su web 12/10/2004  
L'ultima proposta della Biennale prosa 2004, negli spazi teatrali dell'Arsenale di Venezia, ha visto un concorso di spettatori davvero eccezionale, per assistere l'applauditissima esibizione di Ascanio Celestini, che ha raccontato fino a notte inoltrata le memorie di suo padre sulle vicende dell'ultimo conflitto mondiale. Scemo di guerra. Roma, 4 giugno 1944, in prima assoluta alle Tese delle Vergini, si snoda secondo una struttura descrittiva circolare, come un reticolo di storie individuali, di punti di vista che continuano ad incrociarsi, a sovrapporsi, a compattarsi, al pari della tessitura di un tappeto poco prezioso, ma molto utile. L'abilità di Celestini consiste nel rendere visibile l'ordito, nell'evidenziare i nodi di congiunzione e gli elementi che danno luogo ad una comicità spontanea ed elementare, soffusa da una profonda malinconia.

Lungo il sentiero della narrazione balzano, di tanto in tanto, in primo piano gli occhi e lo sguardo attonito di un bambino (lo stesso attore-artifex), che impara a convivere con i rischi della guerra, orinando nell'elmetto di un soldato tedesco che porta impressa sul volto un'immensa voglia rossa, ampia come una carta geografica. Tale particolare tornerà continuamente nel corso del racconto, che evoca figure reali, descritte con rara incisività a partire ai loro difetti naturali. Sullo sfondo c'è la città, le strade e i quartieri popolari di Roma, da San Lorenzo al Quadraro, in un perido strano, in cui non si comprende chi sia l'alleato e chi l'occupante: la confusione è tale che qualcuno pensa che americani e tedeschi si siano coalizzati. Poi, da una grata si protende minaccioso il braccio smagrito dello scemo di guerra, che reclama una cipolla caduta a terra: il pericolo non interrompe la vocazione a commerciare, anzi accentua l'arte di arrangiarsi e di sopravvivere.

La voce di Celestini scandisce e consolida i singoli passaggi della storia, restando in apparenza distaccato dalla materia che pone in campo. Formula le corrispondenze e poi le abbandona, per ritrovarle nel raccordo successivo. Alla fine la parola del padre, alla stregua di un suono che riaffiora da una memoria mai perduta, ripete le stesse frasi dell'avvio, secondo il sistema dell'eterno ritorno, che mentre avvia la narrazione la sospinge verso una dimensione universale, oltre i silenzi della storia.

 


Scemo di guerra
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