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Così infedele. Così fedele

di Sara Mamone
  La Traviata all'Arena di Verona
Data di pubblicazione su web 20/08/2004  
Delle opere presentate all'Arena di Verona in questo 82° festival (Madama Butterlfly, Aida, Il trovatore, Rigoletto e la multimediale La corona di Pietra, in collegamento megavideo con la costellazione dei teatri antichi del bacino del Mediterraneo) La traviata sembra l'unica tralignante dalla scelta di un'offerta pubblica di grande richiamo attraverso le potenzialità sceniche di uno spazio dalle dimensioni eccezionali. Aida è da sempre il simbolo di questa spazialità doviziosa e ipertrofica, dove sfingi, piramidi, latomie, trionfi egizi e celebrazioni misteriche possono trovare quell'espansione, appunto, faraonica che spesso le profondità pur ampie dei teatri al chiuso negano e comprimono.

Ciò che pare ideale per Aida (e insieme per tutte le altre opere quest'anno in cartellone), passibili di incanti spaziali nell'esigenza di spiazzamento spazio-temporale, sembra la negazione di Traviata. E infatti lo è. Modernissima al suo apparire, frutto di un colpo di genio di Verdi che affidò al suo librettista (e qui dobbiamo un po' dolerci dell'assenza della segnalazione dei librettisti nei programmi di sala del festival, quasi fossero elementi secondari dell'insieme) la vicenda palpitante di un fatto di cronaca che Dumas figlio non aveva voluto raffreddare nell'allontanamento metaforico dell'esemplarità la storia di Violetta Valeri, divenuta Margherita Gautier, non ha niente in comune con quanto fino ad allora (e anche molto dopo) scritto e musicato. Altro che vecchi libretti cavati fuori da vecchie improbabili storie di grandezze e di purezze, altro che fasti antichi.

 

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Nella Traviata tutto è vita e contemporaneità: una storiaccia di vizi sociali, di un demi-monde prepotente e frivolo, di apparenti valori ("pura siccome un angelo"), di prostituzione di alto bordo, di inettitudini maschili, di ipocrisie danarose ("si sa il prezzo di tutto e il valore di nulla", come dichiara con folgorante efficacia il regista Graham Vick nell'illuminante intervista in cui, per una volta, le parole lette sono veramente un viatico alla creazione scenica), di cinismi paterni ("curatevi, mertate un avvenir migliore", quando la poveretta, dopo il sacrificio in nome del buon nome della sconosciuta figlia di Germont è ormai agonizzante), di estreme vigliaccate amorose ("il tuo dolor m'uccide", come piagnucola il non impeccabile Alfredo, caricandola pure del senso di colpa finale), di rimorsi ormai privi di rischi ("Ah, tutto il mal ch'io feci ora sol vedo").


 

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Se non è opera da Arena nel soggetto, Traviata lo è ancor meno nel trattamento drammaturgico e nella musicalità intimista e psicologica, nella sostanziale riduzione della vicenda ad una dramma individuale, nella consumazione di un sacrificio in minore, nelle stanze private di una dimora piccolo borghese. Tutto quello che pare adatto all'estroversione spettacolare dell'Arena non è in Traviata. Eppure, o forse proprio per questo, l'allestimento veronese, con la non indimenticabile direzione di Daniele Callegari e un cast forse ineguale per qualità (non abbiamo sentito la Devia ma la sua apprezzabile doublure Inva Mula, il non travolgente Giuseppe Sabatini e il musicalmente eccellente ma scenicamente semplificativo Ambrogio Maestri) è ben più che una sorpresa, per quanto piacevole.

E' un allestimento esemplare di come un‘intelligenza registica colta e limpida, tesa alla conoscenza intima di un'opera musicale e non al suo package possa presentarsi davvero come una ri-creazione. Graham Vick è maestro di questa auscultazione del testo, anche se non sempre così totalmente felice. Qui l'intuizione è profonda, di quelle che, nell'apparente scombinamento delle carte, trovano un posto nuovo a tutto. Nasce da una lettura generale dell'opera e della sua aura, nasce dalla considerazione del rapporto tra la sua eroina e il pubblico. Riprovando senza saperla la folgorazione di un grande incendiario della regia moderna, Aldo Trionfo che aveva celebrato una Festa per il trionfo di Margherita Gautier santa di seconda categoria. Margherita e il suo mito aggiornati nei confusi miti platinati dell'oggi, Eva Peron, Marilyn, Madonna ma soprattutto, offerta su un piatto d'argento, o meglio su un tappetto infinito di fiori (i fiori del suo sudario mediatico presso i cancelli di Buckingam Palace in occasione della santificazione popolare post mortem) la stucchevole Lady D.


 


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In una società confusa in cui il prezzo e il valore non coincidono, e la mistificazione è la regola di base, eccoci pronti a ri-commuoverci per vicende che ci sono estranee, eccoci a spiare una società che non ci appartiene, o meglio alla quale non apparteniamo, eccoci pronti a stordirci con le vicende altrui, con le morti viste in tv, tra sipari di lustrini e sipari di lacrime. Tutto va a posto, anche il sacrificio dell'inerme fanciulla, che si esalta del sacrificio medesimo come prima si era esaltata della presunta appartenenza ad un mondo maestro di sfruttamento, che ne usava le fragili attrattive della giovinezza ingabbiandola poi nella fregatura del sacrificio. Eccoli, rutilanti e volgari come in un programma di intrattenimento mediatico, i costumi (che di solito si notano quando sono molto belli o molto brutti e qui sono un miracolo di inventiva pertinente e insieme autonoma, aggiornamento post moderno del fulgore degli "anni folli"), eccole - espanse nell'assenza di limiti dell'immenso palcoscenico - le scene "televisive" dell'insulsa mondanità parigina, ecco - ristretta alla miniaturizzazione di una casa di bambola - l'ultima dimora di Violetta, su un prato verde da pubblicità country. In questo sovvertimento delle dimensioni realistiche, il pathos riesce a concentrarsi sulla musica, a non far perdere il valore emozionante dei pianissimo, a dare risalto alle psicologie.

Da maestro Vick sa perfettamente quando disperdere l'occhio (e l'orecchio) dello spettatore nella vastità dell'insieme e quando invece concentrarlo nella luce dell'a parte. Sarà più che sufficiente a questo punto ricordare (e come dimenticarla?) l'attrazione che avvolge pian piano Violetta e Germont ("bella voi siete e giovane") durante la proposta indecente del sacrificio richiesto per la figlia (il puro angelo di cui giustamente Piave e Verdi si dimenticano nel corso dell'opera; che fine fa "l'amato e amante giovane cui sposa andar dovea"?) e che lascia sospese nell'aria le note di un amore ben diversamente rischioso (il buon Germont non dimentica certo al momento il mestiere della giovane da sacrificare e forse, perché no, da risarcire). Ma non vogliamo qui aprire il capitolo degli amori "paterni" verdiani. Né Vick forza mai le situazioni, al massimo fa vibrare corde non troppo consuete. Ha bisogno della musica di Verdi, dell'aura di Traviata per fare la sua, tutta nuova, così infedele. Così fedele.

 

Nota sulle immagini
Fotografia di Maurizio Brenzoni (per gentile concessione della Fondazione Arena di Verona).
Le riproduzioni dei bozzetti per i costumi dell'opera sono tratte dal programma di sala dell'82° Festival Arena di Verona.

La Traviata
melodramma in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama

 
 
 
 
 
Graham Vick
Graham Vick




 
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