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Amen di Costa-Gavras

di Laura Bevione
  Amen di Costa Gravas
Data di pubblicazione su web 27/05/2002  
I tronconi umani di Beckett sono più realistici dei calchi di una realtà che già la placano mediante la sua riproponibilità.
T.W. Adorno

L'ultimo film di Costa-Gavras, Amen, ha interessato le cronache soprattutto per il suo contestato manifesto - una croce e una svastica sovrapposte a formare un unico inquietante simbolo - frutto della "scandalosa" mente di Oliviero Toscani e capace di far passare in secondo piano lo spinoso argomento trattato dalla pellicola, vale a dire la passiva complicità della Chiesa di Roma al crimine nazista, mai apertamente condannato malgrado le molte prove offerte al Vaticano. Il mancato dibattito che ha accompagnato l'uscita in sordina del film in Italia - un paese, il nostro, in cui la tematica religiosa è ancora motivo di insofferenze e censure, come testimonia la vicenda del film di Bellocchio, distribuito nei cinema in questo stesso periodo - è indicativo di quello che osiamo definire "difetto" non solo della prosa di Costa-Gavras, ma, in primo luogo, della fonte del suo soggetto, ossia il dramma Il vicario, composto dal drammaturgo tedesco Rolf Hochhut nel 1963. Nello stesso anno la pièce venne messa in scena da Erwin Piscator a Berlino e da Michel Piccoli a Parigi, mentre altre compagnie ne proposero allestimenti a Londra e a New York. In Italia la mise en éspace curata dal Teatro Scelta di Gian Maria Volonté in un locale di Roma procurato dall'editore del testo Gian Giacomo Feltrinelli fu impedita dall'intervento delle forze armate: è il 13 febbraio del 1965.

L'opera di Hochhut, tuttavia, non suscitò polemiche di carattere esclusivamente politico - favorite, fra l'altro, dal clima e dai temi e dai toni del dibattito pubblico e storico del tempo cui il drammaturgo esplicitamente rimandava - bensì fu la miccia di un animato confronto di natura apparentemente solo estetica ma in realtà profondamente morale fra l'autore e Theodor W. Adorno. Documenti di questo acceso e pregnante scambio di opinioni sono due scritti: Die Rettung des Menschen (La salvezza degli uomini n.d.r.) di Hochhut, pubblicato in una raccolta di contributi in onore di György Lukács, e una Lettera aperta a Rolf Hochhut indirizzata da Adorno al suo "avversario" (disponibile in traduzione italiana in T.W. Adorno, Note per la letteratura, Torino, Einaudi, 1979, vol. II). I due ripropongono, da posizioni contrapposte, molti degli argomenti che alimentarono negli anni Sessanta l'annosa discussione sugli obiettivi e, in primo luogo, sulle forme dell'arte dopo la terribile tragedia della Seconda guerra mondiale, che aveva costretto l'umanità a confrontarsi con il proprio lato più oscuro e inquietante.

Semplificando molto la questione si può dire che mentre Hochhut si dichiarava sostenitore di un realismo senza mediazioni così da ritrarre "oggettivamente" la spietata e nuda disumanizzazione operata dalla guerra, Adorno evidenziava i limiti di una simile poetica, incapace di pungolare la mente e la sensibilità del pubblico e, in ultima analisi, di donare universalità ai temi trattati. Meglio, il filosofo sottolineava come la drammaturgia realista, quale quella messa in atto da Hochhut, si risolvesse in una sorta di tragica "beffa" alle spalle delle vittime dirette e, più in generale, di tutta l'umanità, per il tentativo che essa avrebbe rappresentato di attribuire ragionevolezza a realtà partorite da una follia senza possibili spiegazioni quale quella di Auschwitz.

Queste argomentazioni di Adorno ci aiutano a svelare il "difetto" che sottrae efficacia al film di Costa-Gavras, colpevole, come il dramma di Hochhut, di "realismo", applicato senza mediazioni estetiche e universalizzanti. La pellicola scorre quale un'inappuntabile ma inevitabilmente noiosa dimostrazione scientifica, senza riuscire a catturare la concentrazione sensibile e intellettuale degli spettatori. Non a caso i momenti che davvero funzionano, riuscendo a emozionare il pubblico, sono quelli in cui la tragedia viene suggerita e non esplicitamente ritratta, allusa anziché crudamente rappresentata. Un esempio è il primo piano dell'occhio di uno dei protagonisti, l'ufficiale delle SS Kurt Gerstein, invitato a spiare attraverso un foro esterno alle famigerate "docce". Il vile assassinio compiuto con questo mezzo nei campi di concentramento riacquista così la propria scandalosa tragicità che, in quanto tale, non può essere ricondotta in immagini realisticamente consuete che ne negherebbero invece l'inequivocabile e costituzionale assurdità.

Le tiepide e sostanzialmente non curanti reazioni del Vaticano sono la prova più lampante del fallimento di una drammaturgia che, anziché abbattere la rispettabile facciata delle scuse accampate a difesa del proprio colpevole comportamento da parte della Chiesa, paradossalmente dona a esse una riconoscibile e quasi rassicurante forma artistica.






il manifesto del film Amen

Il manifesto "contestato"
Amen
 
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