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Chi ha paura della storia del teatro?

di Maria Ines Aliverti
  Garofalo, Il trionfo di Bacco (part.)
Data di pubblicazione su web 15/12/2002  
Riceviamo da Maria Ines Aliverti, docente di storia del teatro e dello spettacolo all'Università di Pisa, un intervento su un recente convegno di storici del teatro che abbiamo a suo tempo segnalato (vedi Arte e Mostre). Le questioni sollevate ci paiono di grande interesse e investono anche i metodi e i principi che guidano l'allestimento di mostre che della storia dello spettacolo fanno un uso distorto quando un non-uso. Alle considerazioni di Aliverti aggiungiamo una nostra piccola chiosa.

Il convegno su Storia e storiografia del teatro, oggi. Per Fabrizio Cruciani, svoltosi a Bologna e a Ferrara nei giorni 14-16 novembre 2002, con la partecipazione di gran parte dei docenti universitari di storia del teatro e dello spettacolo ha certamente offerto interessanti spunti di riflessione in una fase in cui interrogarsi sui limiti e sullo sviluppo di queste discipline appare non solo utile ma anche doveroso.

La moltiplicazione recente dei corsi di studio universitari di teatro e di spettacolo imponevano questa pausa di riflessione. Il proliferare a volte un po' disordinato degli studi di questi ultimi anni, che si accompagna all'apparente diserzione da settori un tempo considerati strategici per il rafforzamento istituzionale della disciplina, una certa quale stanchezza che sembra colpire anche gli studiosi maggiormente creativi, rendevano questo appuntamento un'occasione da non sottovalutare. Che esso si sia realizzato nel nome e nel ricordo di Fabrizio Cruciani, appare solo in parte una coincidenza occasionale. Grazie quindi al comitato scientifico composto da una nutrita schiera di studiosi (Andrisano, Azzaroni, Canosa, Casini Ropa, Consolini, De Marinis, Falletti, Gandolfi, Mamone, Seragnoli) per averci data questa opportunità. Ripetendo ciò che non è nuovo, e molti lo hanno ricordato spesso nel corso di queste giornate, Fabrizio Cruciani è stato, tra coloro che hanno innovato la storia del teatro negli anni '70, quello più attento a percorrere in tutta la sua estensione il campo di studi (campo appunto e non disciplina) tracciando non tanto confini ma percorsi e direttrici, mai dimenticando pero l'apprezzamento globale del territorio nel suo insieme. Meno fantasioso di altri forse, ma più attento al dato istituzionale, è stato un lungimirante urbanista della nostra città di studio. La guida bibliografica Teatro (1991), in collaborazione con Nicola Savarese, è il segno tangibile di questo suo percorso dei percorsi: "la storiografia teatrale non nasce solo dagli studi di teatro" …così suonava l'avvertimento di Fabrizio.

Orbene a che punto siamo oggi, a distanza di 10 anni ? E' riuscito lo storico del teatro a farsi forte della sua situazione "fascinosa e disperante" (sono ancora parole di Fabrizio), oppure al contrario il carattere complesso e molteplice di questo campo di studi rischia nel tempo di non favorirne la riconoscibilità all'esterno ? Questo della riconoscibilità esterna non era un tema urgente negli anni '70 o '80, anzi per la verità era un tema di cui era anche vantaggioso non prendersi troppo riguardo. Una sorta di larvatus prodeo un po' scaramantico, che trovava giustificazione in un implicito rimando a radicate diffidenze. Corsari, ma anche un po' pirati, forse non era il caso di decidere subito. Ma è possibile oggi non curarsi della riconoscibilità dei nostri studi ? Quando parlo di riconoscibilità non intendo valutarla in termini di potere accademico (quanti posti il settore riesce a strappare nel chiassoso mercato delle facoltà), ma in termini strettamente culturali e scientifici: quale è il contributo dei nostri studi e in che termini viene riconosciuto questo apporto nell'ambito più generale degli studi umanistici. Alcuni interventi del convegno hanno riproposto questa concezione dilatata della storia del teatro che era anche quella di Cruciani sia facendone oggetto di una riflessione specifica (Claudio Meldolesi e Franco Ruffini), sia proponendo temi e ricerche di confine. Tuttavia a me pare -almeno per la parte del convegno che ho seguito- che l'attenzione sia ancora molto concentrata, a volte con un compiacimento che giudico eccessivo e ormai anacronistico, a celebrare il carattere "impuro" del campo disciplinare, senza interrogarsi su come il sistema culturale nel suo complesso recepisca ed elabori, utilizzi e ritrasmetta i risultati della nostra ricerca e delle nostre ricerche. Ciò si badi bene non conta solo per noi, ma anche per i molti studenti che ormai si laureano nelle discipline teatrali e dello spettacolo.

Ed è certo qualcosa di paradossale quanto è accaduto a Ferrara non nel convegno, ma appunto in margine a esso, ai confini del campo. Almeno di questo paradosso mi sono resa conto con sgomento andando a visitare due mostre ferraresi aperte in questo periodo, proprio in concomitanza con la nostra riunione: Il trionfo di Bacco. Capolavori della scuola ferrarese a Dresda (catalogo a cura di Gregor J.M. Weber, edito da Umberto Allemandi), e Lucrezia Borgia (catalogo a cura di Laura Laureati, edito da Ferrara Arte)

In entrambi i cataloghi sarebbe stata pertinente la citazione, almeno in bibliografia, degli studi numerosi sul teatro e le feste ferraresi (anche sotto l'aspetto della relazione spazio di corte/ spazio urbano, o per le ipotesi relative alla struttura e collocazione di spazi e sale teatrali all'interno del palazzo di corte ecc.). Mi riferisco certamente all'imprescindibile Ferrara. Il sipario ducale di Ludovico Zorzi (1975 e 1977), vero e proprio seminal work negli studi del teatro rinascimentale, ma anche al saggio di Elena Povoledo, sulla Sala teatrale a Ferrara… (1976), a quello di Alessandra Frabetti, sul Teatro della Sala Grande a Ferrara (1984), alla pubblicazione dei materiali del volume mai realizzato su Ferrara di Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti e Franco Ruffini (1994). E fin qui per non citare che i contributi più rilevanti.

In particolare, nel catalogo Il trionfo di Bacco, la scheda n° 7 si riferisce alla celebre tavola della Raccolta della manna, copia da Ercole de' Roberti. Il commento di Elisabeth Hipp contiene un riferimento inevitabile al carattere scenografico dell'impianto della raffigurazione. Tuttavia la studiosa sembra trarre questa considerazione esclusivamente dalla monografia di Joseph Manca (The Art of Ercole de' Roberti, Cambridge 1992) e nessun accenno, neppure nella bibliografia del dipinto, viene fatto al fondamentale studio di Zorzi.

Nel catalogo dedicato a Lucrezia Borgia, infine, non si sente neppure il bisogno di menzionare il pur pertinentissimo in questo contesto Teatro nel Rinascimento. Roma 1450-1550 (Roma 1983) di Cruciani, testo base di riferimento per le feste rinascimentali romane.

Ci si può consolare in tanti modi: dicendo che queste mostre sono pacchetti comprati all'estero, elaborati da studiosi che non conoscono e non si curano di conoscere la produzione italiana, oppure che si tratta di operazioni che puntano più all'immagine che alla sostanza, grazie anche all'orpello di una scenografia ridondante (qui sì che il teatro c'entra, ma non nella sua accezione migliore), o ancora che escono troppe pubblicazioni e quindi le bibliografie mirano all'essenziale (ma questo sarebbe giustificato solo se ci si riferisse a piccoli contributi). Possiamo anche ignorare la cosa , convinti come siamo che la poliedricità o l'impurità intrinseche dei nostri studi basti da sé a soddisfarci e a legittimarci.

Non so se questo sarebbe il parere di Fabrizio Cruciani, ma presumo - e mi piace presumere- che non lo sarebbe. "Impostare (…) lo sguardo, partendo dalla molteplicità della materia e non dalle unità concettuali" (è ancora Cruciani) è senz'altro il senso della nostra operazione come storici, obbligare gli altri a vederci e a capirci, obbligarli a inserire la storia e la cultura del teatro in una concezione "non coloniale" della storia della cultura, dovrebbe essere l'indispensabile riflesso e la determinata risultanza di quel nostro sguardo.

 



 

 
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