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Vittorio Storaro: scrivere con la luce

di Marco Luceri
  Vittorio Storaro
Data di pubblicazione su web 13/12/2003  
Sabato 6 dicembre Vittorio Storaro è stato ospite dell'Istituto Stensen di Firenze. In occasione della presentazione ufficiale del libro Vittorio Storaro. Scrivere con la luce - Gli elementi, il terzo dei volumi che la Electa Mondadori ha pubblicato sulla vita e l'opera del maestro (gli altri due precedenti sono La luce e I colori), il celebre direttore delle fotografia ha tenuto un seminario, aperto al pubblico, dal titolo Scrivere con la luce - Luce, colori, elementi.
Storaro ha presentato il suo lavoro non solo come un percorso professionale ed artistico (teorico e pratico), ma come un vero e proprio cammino esistenziale. La prima parte del seminario è partita proprio da una riflessione sull'uso espressivo che nel cinema si fa della luce. Anzi, dell'ombra. Muovendo dall'esperienza fatta nella lavorazione di Strategia del ragno (1970) di Bertolucci, Storaro ha approfondito il tema dell'ombra come metafora dell'inconscio, ricollegandosi proprio alla riflessione che il regista parmense ha fatto sulla psicanalisi nei suoi film del ventennio '60-'70. Le immagini stabiliscono un rapporto costante tra ciò che siamo e ciò che non siamo internamente; così l'ombra, che assorbe la luce e la contiene in sé, diventa simbolo del nostro inconscio che racchiude noi stessi. La lotta che a livello interiore si stabilisce tra conscio ed inconscio diventa nel cinema lotta per riportare la luce.


Attraverso l'ombra si concretizza visivamente il personaggio simbolico. E' il caso de Il conformista (1970) di Bertolucci, in cui si riprende, non solo a livello drammaturgico, ma anche a livello visivo, il mito platonico della caverna in cui gli uomini che vedono delle ombre, pensando che invece esse siano soggetti reali, non sono coscienti di stare assistendo ad una mera rappresentazione. Per Storaro è lo stesso mito fondante del cinema, la rappresentazione della realtà e non la realtà. Il conformista è un film fortemente influenzato dalla riflessione sulla filosofia e la pittura (senza le quali per Storaro il cinema non sarebbe neppure esistito). L'immaginario artistico di Giorgio De Chirico e di Tamara de Lempicka è stato il filtro per costruire visivamente il personaggio di Marcello (interpretato da Jean Louis Trintignant): se la pittura metafisica separa nettamente la luce dall'ombra, le fotografia del film è tutta costruita tra queste due parti non comunicanti: il conscio e l'inconscio di Marcello, la parte visibile e ciò che egli nasconde, due realtà coesistenti che però non comunicano tra loro. L'ombra rappresenta per lui un nascondiglio, egli occulta la sua natura vera, l'amore per il diverso. La luce tende proprio a rappresentare la dimensione claustrofobica del suo cervello in un film che diventa un viaggio psicanalitico nella mente del suo protagonista.
Il passaggio intermedio tra ombra e luce non può che essere la penombra, che diventa simbolo di della possibilità di comunicazione e di armonia tra gli elementi. Riferendosi alla pittura olandese a cavallo tra XVI e XVII secolo e a quella di Caravaggio (nelle opere di questi maestri la luce si apre agli oggetti, quasi abbracciandoli, ed il rapporto tra luce ed ombra è fondamentale per definire i soggetti della rappresentazione), Storaro apre il capitolo del rapporto tra Materia ed Energia, i due poli tra cui si muove la Vita. Se la luce è pura energia che arriva a coprire tutto la fisicità, facendo crescere il metabolismo corporeo, l'uso della penombra simboleggia l'unione, l'armonia tra due elementi (è il caso di Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, nelle sequenze iniziali che illustrano il rapporto tra i due personaggi interpretati da Marlon Brando e Maria Schneider).


Il concetto fondamentale resta la luce. Leonardo da Vinci nella pittura la usava come elemento privilegiato di comunicazione tra il mondo umano e quello divino, come vera e propria forma di conoscenza. Storaro riprende la visione leonardesca sostenendo che, se il buio è ignoranza, non sapere, la luce è Parola, Energia ed esprime in se stessa la complessità dell'esperienza visiva. E' un passaggio, quello espostoci dal maestro, che illustra una vera e propria "drammaturgia della luce", con la massima accentuazione dei suoi caratteri simbolico-espressivi.
Il punto di arrivo di questo percorso è la fotografia di Apocalypse now (1979) di Coppola, film sulla ricerca di qualcosa che la civiltà tiene all'oscuro di se stessa. I riferimenti pittorici per Storaro qui si indirizzano verso le paurose e surreali giungle dipinte da Rousseau il Doganiere. Se il cinema contiene in sé una forte simbologia insita nei suoi mezzi espressivi, Apocalypse now non è solo un viaggio simbolico nella violenza tra due culture, ma è anche il conflitto di energia tra la luce naturale e quella artificiale. Il colonnello Kurtz (Marlon Brando) si mostra, nel suo uscire dall'ombra alla luce, piano piano, come se il suo volto si dovesse costruire come un puzzle. Il suo è un uscire dall'inconscio, dall'oscurità, per mostrarsi lentamente, in un percorso che dall'oscurità (l'inconscio, le tenebre), attraverso la luce, rivela il volto (il conscio). Il "cuore di tenebra" non è altro, allora, che il "cuore della luce".


Di questo percorso di studio sulla luce la prima tappa per Storaro (prima della collaborazione con Bertolucci) fu la fotografia del film Giovinezza, giovinezza (1969) di Franco Rossi, l'unico realizzato in bianco e nero, che gli permise di confrontarsi da subito anche sul rapporto tra luce artificiale e luce naturale. Ma la scoperta dei colori (e qui è partita la seconda parte del seminario) costituisce per Storaro un nuovo campo di sfida e di ricerca. I colori simboleggiano le tappe della vita attraverso la luce, perché in essi c'è lo sforzo della materia di farsi luce. Sono veri e propri "figli" della luce e dell'ombra perché stanno tra il bianco ed il nero.
La gamma dei colori parte dal nero che rappresenta al contempo la presenza e la negazione del corpo, il principio e la fine. Il rosso è il colore del contatto divino, del passato, l'inizio "attuale" di tutte le cose, è il primo dei colori primari, forma la vita, la luce, l'energia ed è rappresentato dal quadrato platonico. L'arancio è colore "domestico", trasmette tepore, unisce la passione, il sentimento e la coscienza (è il colore più usato non a caso ne L'ultimo imperatore di Bertolucci, in Dick Tracy di Warren Beatty e nella scena della morte di Kurtz in Apocalypse now). Il giallo è il colore della consapevolezza, della pubertà, cioè di quel passaggio così fondamentale nella vita che segna l'abbandono dell'innocenza per la maturità; è intuizione, suggestione, apertura affettiva; è il colore della luce, del mito, del sole (il giallo come simbolo terreno di una presenza divina è molto presente ne L'ultimo imperatore e ne Il piccolo Buddha di Bertolucci).


Il grigio è un colore indefinito, non è né oggetto né soggetto, segna però il confine tra due aree; è il colore della decadenza, dell'attesa, della riflessione prima dell'inizio di una nuova vita. Il verde rappresenta la conoscenza che permette di essere liberi, unisce la passione e la ragione, il passato e il futuro, la rinascita di ogni singola entità; è il secondo colore primario ed è rappresentato dal triangolo platonico per il suo significante di elevazione verso la conoscenza. Il blu è il colore più fortemente rappresentativo, esprime la massima forma di intelligenza, cioè la libertà; è accostabile alla luna (ed è, naturalmente, il colore dominante ne La luna di Bertolucci), perché è complementare del giallo; è il colore del futuro e della sua ampiezza, è il terzo colore primario ed è rappresentato dal cerchio platonico. I colori primari - rosso, verde e blu - corrispondono alle strutture della nostra mente - rispettivamente inconscio, conscio, "sovraconscio" - e alle età temporali - passato, presente, futuro. L'indaco è il colore della grande maturità, della potenza, del raggiungimento della vita materiale, inizia la fase del raccoglimento, di un nuovo equilibrio tra passione e ragione. Il violetto è il colore della ciclicità della vita, del passaggio del testimone verso una vita da "ri-vivere" in pienezza.
Il bianco è l'ultimo colore, quello che li contiene tutti, è la somma di tutte le età, e per questo rappresenta l'unione e la completezza della vita in sé. Con questa sua personalissima teoria dei colori, Storaro ha concluso il seminario parlando di luce e colori come della vera "prosa dell'arte cinematografica", facendo un omaggio diretto al maestro assoluto di quell'arte che era Ejzenstejn, il primo che (in tempi di avanguardie e sperimentalismi in cui l'uso del colore muoveva i suoi primi passi) parlò, anche per il cinema, della potenza rappresentativa e simbolica di un tracciato cromatico per raccontare una storia.


 



 
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