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Il demiurgo divertito

di Marco Luceri
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Data di pubblicazione su web 29/08/2003  
Film d'apertura della 60° Mostra del Cinema di Venezia, Anything Else segna il ritorno di Woody Allen al Lido dopo un anno di assenza (il precedente Hollywood Ending fu presentato l'anno scorso a Cannes). Anche quest'anno dunque Allen non rompe la tradizione che vuole che ci sia ogni anno un suo nuovo film nelle sale dei festival europei più importanti, confermando la straordinaria prolificità creativa di questo maestro del cinema americano.

Peccato però che il film, attesissimo soprattutto dal pubblico, non si sia rivelato all'altezza delle aspettative. Infatti parte sostanzialmente da una premessa coraggiosa: tentare una sorta di passaggio di consegne generazionale tra lui (attore-regista-uomo di spettacolo) e una non ben definita prole di nuovi personaggi che raccolgono sulle loro spalle le tematiche più care sviluppate in trent'anni di carriera nel mondo del cinema e non solo.

Il percorso artistico di Allen si è sempre incentrato su una forte dose di autobiografismo che è riuscito, nel corso di tanti anni, a mantenere fresco un repertorio di situazioni, personaggi, vicende ed ambienti che hanno costruito nell'immaginario collettivo gli stilemi del suo modo di essere autore originale ed accattivante. Il jazz, il cinema, New York, la cultura ebraico-americana, il mondo dello spettacolo analizzato in tutte le sue fasi creative e produttive e poi le insicurezze, le nevrosi, i disagi esistenziali ecc. Tutti i temi, insomma, che ricorrono sempre nel cinema di Allen, sono presenti anche in Anything else, ciò che cambia è la prospettiva. Qui Allen decide di farsi da parte e di lasciare spazio e riflettori ad una sorta di suo alter-ego di quarant'anni più giovane, uno sceneggiatore dal futuro incerto coinvolto in una crisi di coppia con fidanzata ninfomane, con al seguito mamma alcolista e cocainomane, agente teatrale inaffidabile ed apprensivo, analista incapace. Il nostro allora non trova di meglio che chiedere aiuto al suo strampalato collega più anziano, dispensatore alacre di consigli, che come nel più classico Allen, porta a situazioni e battute al limite del grottesco e del parodistico.



Ma non bastano quattro battute per fare un film e per tentare di “svecchiarsi” - ciò fa perdere al film l'originalità che avrebbe potuto avere. Allen, spostandosi dal lettino alla poltrona, cioè dal ruolo dell'analizzato a quello dell'analista, perde il controllo pieno dei suoi personaggi e della storia, che finisce per protrarsi stancamente, diventando a tratti noiosa. Difetti di fondo che vengono ovviati solo in parte dalla solita maestria nel rendere atmosfere e gags dall'esito improbabile e dalla bravura dei due giovani attori (soprattutto di Jason Biggs, che Allen ha tirato fuori dai B-movie adolescienziali americani). La ventata di freschezza insomma si infrange su un meccanismo drammaturgico troppo cristalizzato e forse su un'eccessiva sicurezza che finisce per trasformarsi in sufficienza.

Per questi motivi Anything else appare come un coraggioso tentativo purtoppo non proprio riuscito, tentativo che però, paradossalmente, potrebbe essere un punto di svolta nella cinematografia di Allen; diversamente da film precedenti come Radio Days, Ombre e nebbia, Celebrity o Accordi e disaccordi (in cui la sua assenza come attore protagonista non cambiava né la prospettiva né la sostanza del suo discorso autobiografico ed artistico) potrebbe infatti essere (e qui il condizionale è d'obbligo) il primo film che apre una nuova fase, in cui l'Allen che abbiamo fin qui conosciuto tende a farsi da parte, a evitare la prima persona, e a proiettare nevrosi ed inquietudini in maniera diretta in un mondo di personaggi di cui si diverte a ricoprire lo strano ruolo di demiurgo (molto) divertito e (forse) divertente.

redazione@drammaturgia.it

Anything else
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la locandina del film
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Woody Allen
Woody Allen

 
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