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L'amore sospetto (La moustache) di Emanuel Carrère

Spettabile redazione,
se non sbaglio il film L'amore sospetto non è stato recensito da Drammaturgia.it. Vi mando questa recensione, che so essere in ritardo rispetto all'uscita del film, ma potrebbe essere utile come analisi.

In attesa di una risposta porgo i migliori saluti,

Matteo Treleani

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L’amore sospetto

"Cosa ne diresti se mi tagliassi i baffi?" Un banale cambiamento. Marc si taglia i baffi e sua moglie, Agnes non se ne accorge. Anzi, sostiene che lui, Marc, i baffi non li aveva mai avuti. Forse Agnès ha un’amnesia, le foto dimostrano la verità, ma nemmeno gli amici ricordano nulla. Peggio ancora, non la memoria ma il mondo stesso pare cancellarsi rapidamente. Agnès non ricorda i viaggi recenti e i genitori risultano morti da anni. L’unica soluzione è fuggire, a Hong Kong, sperando di rendersi conto, al ritorno, di aver vissuto solo un brutto sogno. Finito in capo al mondo, Marc ritroverà proprio Agnès, in vacanza con lui, come niente fosse accaduto. Ma era davvero solo un’invenzione della mente?

La rottura di un equilibrio instabile e la catastrofe che ne consegue: Emanuel Carrère mette in scena un punto di frontiera neutro della vita borghese e il suo sconvolgimento per un minimo perturbamento interno. Il taglio dei baffi è l’elemento scatenante (pessima infatti la traduzione italiana che svia lo spettatore sulla storia d’amore più che sulla decostruzione identitaria del protagonista, l’originale era La moustache, baffi). Carrère, attivo romanziere (ma non si dimentichino gli esordi, con un’opera di saggistica su Werner Herzog), ha portato sullo schermo il suo La moustache, vent’anni dopo l’uscita del libro.

Quando le vite si reggono per miracolo, sul filo di rasoio di una casa minimalista dove ogni cosa è al suo posto, basta una minima vibrazione per far crollare tutto il sistema. Il sistema è quello dell’identità di Marc che si taglia i baffi e nessuno se ne accorge, né ricorda che li avesse mai avuti. Poco importano dunque le foto delle vacanze dove l’evidenza dimostra a Marc che è il mondo a impazzire e non lui stesso. Il perturbamento è iniziato e le cose crolleranno sempre più velocemente.

Ne L’Avversario, romanzo di Carrère portato sullo schermo da Nicol Garcia, la banalità della vita di Jean-Marc nascondeva un totale inganno, come a dimostrazione di un sistema borghese fondato sull’apparenza e sulla menzogna. Una serie di piccole vibrazioni portavano lentamente la situazione a degenerare fino al massacro. Ancora una volta a crollare è un sistema instabile fondato su fragili apparenze prive di contenuto.

La struttura narrativa de L’amore sospetto si fonda sul graduale e rapido sfaldamento del mondo di Marc, dove a cancellarsi è non la memoria, ma i suoi appigli esterni. Marc perde qualsiasi possibilità di relazionarsi col mondo. Passa dal non essere visto (il non riconoscimento del taglio dei baffi) al non poter vedere: i genitori non abitano più al loro indirizzo, le strade non sono più le stesse e dal finestrino del taxi la pioggia batte talmente forte da impedire una visione nitida delle cose.

Da qui il volo a Hong Kong è tutt’altro che una scappatoia ingiustificata. Hong Kong, la città ribaltata per eccellenza, verticale anziché orizzontale, acquatica e non più terrestre. E le atmosfere al tempo stesso rarefatte e convulse sono quelle del più fine cinema cantonese, da Wong Kar-Wai a Fruit Chan. Marc si perde nella frenesia di un traghetto che attracca e riparte, nella speranza di ritrovare l’identità nella ripetizione. Ma questo non basta e la vicenda non potrà che farsi circolare, con gli effetti che scatenano le cause, lasciando una molteplicità di possibili interpretazioni in un’apertura per niente fine a se stessa. La frammentazione non può che portare all’impossibilità di concepire il reale in un solo senso.

Carrère gira con trasparenza ed eleganza soffusa, così come la scrittura dei suoi romanzi tende alla neutralità. Trasparenza che nasconde una profonda ricerca in ogni immagine. La macchina da presa segue i personaggi e l’immagine si accentra sul protagonista, senza mai eccedere in profondità di campo. La vicenda scorre oggettivamente senza dare allo spettatore la coscienza del mezzo. Quelle poche oggettive irreali, come il turbinare della macchina da presa che segna una delle molteplici marche enunciative che paiono dare inizio a un sogno, portano verso interpretazioni oniriche, spesso auspicate dal protagonista stesso, che vorrebbe risvegliarsi da un incubo, ma sempre confutate da oggetti reali, come la cartolina nel finale. L’amore sospetto consente un coinvolgimento costante in una dimensione onirica.

Carrère opta per l’assenza della voce fuori campo, facendo parlare i volti, soprattutto quello di Vincent London, straordinario a portare tutto il peso dei baffi mancanti sul viso. Così come Agnès, una Emanuelle Devos che è perfetta nello sviarci verso l’ipotesi del complotto o della follia. Il silenzio e il rumore secco degli oggetti, il concerto per violino e orchestra di Philip Glass, a marcare azioni e decisioni di Marc, in crescendo di tensione di fronte a immagini apparentemente neutre costruiscono un’atmosfera onirica senza manierismi, in una spirale dove è impossibile stabilire la differenza tra sogno e realtà. Si pensi ai due amici conosciuti in vacanza, la cui prima apparizione pare una reinterpetazione onirica di Marc (lui era l’ex-marito di Agnès, ad esempio, come a dimostrare la gelosia di Marc). Anche dove personaggi e ambienti sembrano rimodulazioni mentali di un’unica vicenda ambientata in Asia, gli occhi sbarrati di London nel finale e la messa in scena onirica mettono in dubbio la veridicità di ciò che pareva esser reale. Ci troveremo, da spettatori, come Marc ad aggrapparci ad ogni lembo di reale nel timore di perderci di nuovo (diversi atti del protagonista sono volti a non turbare la realtà stabilizzata, come il non mostrare le foto).

Alla dissoluzione del mondo di Marc non c’è risposta. Che sia un sogno, o un’elaborazione della mente, forse per la fine di un amore, o che sia il mondo stesso ad essersi sfaldato non potremo mai saperlo. In tutto questo l’unica certezza resta quell’elemento minimo, il cui cambiamento ha perturbato un sistema instabile, fondato su vane e medio-borghesi apparenze. Un paio di baffi.


Matteo Treleani

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